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LA BATTIGIA
di Trilussa



29/5/2009- LA NOSTRA TERRA
Ho assistito l’altra sera ad una interessante discussione su un argomento molto importante e che meriterebbe veramente una maggiore attenzione da parte di tutti. L’argomento era la nostra terra, il nostro territorio, i nostri campi...


LA NOSTRA TERRA

Ho assistito l’altra sera ad una interessante discussione su un argomento molto importante e che meriterebbe veramente una maggiore attenzione da parte di tutti.

L’argomento era la nostra terra, il nostro territorio, i nostri campi, che sembrano oramai destinati ad una diffusa indifferenza. E qualcuno pare si azzardi anche a parlare di degrado quando si riferisce a terreni “semplicemente” coltivati, ma in questo caso il degrado va cercato forse in un’altra direzione.

Perchè siamo nati tutti contadini e se non lo erano i nostri padri lo erano certamente i nostri nonni, e la terra ci ha allevato, ci ha permesso non solo di sopravvivere ma anche di sviluppare quel certo benessere che ora non ci basta più e che rischia addirittura di riportarci indietro.

Sembra infatti di soffrire di un’amnesia collettiva tanto che il territorio che ci ha nutrito ha perso il suo valore intrinseco di fornitore di prodotti, di fonte essenziale della nostra alimentazione, di elemento fondamentale della nostra economia ed è diventato, nello sguardo di molti, solo come terreno da sfruttare per nuove costruzioni, per nuovi insediamenti.

Le nostre coste, luoghi pregiati da rispettare e sfruttare turisticamente, in molte parti d' Italia sono state violate spesso da costruzioni abusive e solo ultimamente una certa sensibilizzazione ambientale si sta facendo strada, sia pur con grande fatica, nell’opinione pubblica (ancora prima che negli organi amministrativi) e comincia finalmente ad ottenere qualche risultato. Sta passando piano piano il concetto che una costa violata serve solo a pochi mentre una costa salvaguardata è un bene per tutti.

Un identico concetto si può applicare oggi alla nostra campagna, dove il problema si pone oramai con la medesima urgenza anche se forse meno appariscente e per questo più tollerato.

Ogni nuovo insediamento abitativo o commerciale o industriale, anche se non deturpante e odioso come quello costiero, consuma comunque terreno, cancella la vegetazione che produce ossigeno, riduce la capacità di assorbimento dell’acqua piovana, riduce la superficie coltivabile. Non solo ma ogni nuova abitazione ha necessità di acqua, che già scarseggia in molte regioni, di elettricità, di gas. E produce rifiuti, inquinanti ambientali, ha necessità di infrastrutture come strade, viali di accesso, piazze da usare come parcheggio per le auto o svago o semplicemente per motivi urbanistici modificando ulteriormente l’ambiente circostante e consumando ancora altro terreno.

I paesi vicino alle città, la campagna circostante, si stanno trasformando lentamente e inesorabilmente in una semplice e anonima periferia urbana, cambiando anche il contesto sociale in cui ognuno di noi aveva deciso di vivere la propria vita. Arriva prima o poi anche al linea urbana e i rapporti umani si riducono fino a perdersi definitivamente nel trinomio oramai acquisito di casa-lavoro-sonnellino televisivo.

I contadini sono sempre più rari e se voglio sopravvivere devono convertirsi a quell’agricoltura industriale che niente ha a che vedere con i metodi tradizionali. Diminuendo gli spazi ed avendo da tempo perso l'agricoltura il valore di fulcro della nostra economia chi lavora in questo settore per sopravvivere è costretto a cercare non tanto il valore e la qualità del prodotto quanto la sua quantità.

Per questo si nutrono le vacche da latte non più con l'erba dei campi ma con farine di cereali (talvolta addizionate con farine animali responsabili in passato del famoso fenomeno della mucca pazza) che trasformano addirittura la fisiologia digestiva di questi animali e riducono al loro vita produttiva a soli due anni. Dopodichè vengono macellate e svendute alla grande distribuzione che ce le rifila incellofanate nei banchi frigo dei supermercati o in qualche intruglio ben propagandato in televisione o in qualche catena di fast food.
Pare che anche i contadini cinesi siano in grande difficoltà. Prima hanno avuto il fenomeno della moria delle api (uno sterminio annunciato considerando l'attenzione all'ambiente di questa tigre orientale che non bada tanto per il sottile pur di spingere la sua crescita economica) e che hanno risolto andando con il pennello a impollinare gli alberi da frutto dato che le api, scomparse, non potevano farlo. Ora la mancanza di terreno agricolo da coltivare pare abbia spinto il Governo cinese all'acquisto di enormi appezzamenti di terreno coltivabile in Africa. Non certo un contributo alla risoluzione del problema emigrazione presente ovunque esistano popolazioni logisticamente assai vicine ma con possibilità economiche e alimentari enormemente diverse.

Lo stesso discorso si può fare per l'acqua che gli esperti prevedono insufficiente per tutta la popolazione mondiale solo fra pochi decenni e che sarà (lo è già in qualche parte del mondo, ad esempio in Palestina) uno dei principali motivi di guerre e migrazioni di massa nei prossimi anni.

Un problema quindi, quello del territorio, ampiamente sottovalutato non solo a livello internazionale ma anche a livello locale dove le sensibilità sembrano ancora piuttosto scarse.

Sono ancora troppi gli amministratori pubblici che considerano lo sfruttamento del suolo come unica fonte di sviluppo e che misurano il benessere della comunità in base al numero di case, strade o edifici che vengono costruiti. Ancora peggio chi usa questo strumento solo a scopo finanziario non avendo l’intelligenza e la capacità di trovare fonti alternative di reddito compatibili con la salvaguardia e la conservazione del proprio territorio.

Ogni edificio costruito privato o pubblico diminuisce il suolo pubblico, quello che appartiene a tutti, modifica in maniera irreversibile l’ambiente, cambia per sempre le prospettive, modifica stabilmente il paesaggio, altera in maniera decisa la qualità della vita della comunità.

Solo la consapevolezza responsabile della irreversibilità di quello che facciamo può limitare questo abuso, la consapevolezza che quello che abbiamo non è di nostra proprietà e non ne possiamo disporre a nostro piacimento.

Alcuni comuni virtuosi hanno tracciato una nuova strada, pochi ancora e con molte difficoltà.

Tuttavia esistono e non ho remore né timori a menzionare Cassinetta di Lugagnano, un comune nella provincia milanese guidato dal sindaco Domenico Finiguerra che ha avviato un’esperienza senza precedenti che sta dando ottimi risultati.

Se ne parlerà a Report domenica prossima 31 maggio in prima serata: un invito a tutti per saperne di più.

Trilussa
 
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