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Nei giorni 26-27-28 aprile verranno presentati manufatti in seta dipinta: Kimoni, stole e opere pittoriche tutte legate a temi pucciniani , alcune già esposte alla Fondazione Puccini Festival.Lo storico Caffè di Simo, un luogo  iconico nel cuore  di Lucca  in via Fillungo riapre, per tre mesi, dopo una decennale  chiusura, nel fine settimana per ospitare eventi, conferenze, incontri per il Centenario  di Puccini. 

. . . per questo neanche alle 5. 50 prima di colazione. .....
. . . alle nove dopocena non ciai (c'hai) da far altro? .....
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Ieri 19 Marzo ci ha lasciato un Vs. concittadino Renato .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Il sole nutre
col suo splendore
il croco il bucaneve
la margherita. . .
Il cuore
cancella il dolore
se alimentato dall'amore
essenza della vita
Quando .....
Oggi è venuto a mancare all’affetto di tutti coloro che lo conoscevano Renato Moncini, disegnatore della Nasa , pittore e artista per passione. .....
di Alessio Pierotti
Ma veramente il problema Italiano è l'articolo 18 ?

26/10/2014 - 9:04

   MA VERAMENTE IL PROBLEMA ITALIANO È L’ARTICOLO 18 ?  


L’autunno del 1969, in Italia, fu un autunno particolarmente caldo. Non per il clima, ma per la grande mobilitazione sindacale che rappresentò l’apice di quello che viene solitamente denominato il decennio operaio. L’autunno 1969 fu l’inizio di una lunga stagione di lotte che pose in discussione non soltanto gli aspetti salariali e normativi ma anche e forse soprattutto la capacità di rappresentanza dei sindacati, messa in discussione dalle spinte spontaneiste provenienti dal movimento studentesco  e dai comitati di base. Le lotte dell’autunno del 1969 vissero una partecipazione di massa  che innalzò i contenuti, le forme e gli strumenti dell’azione dei sindacati e del lavoratori: fu l’autunno degli aumenti uguali per tutti (la lotta iniziò proprio per la questione del rinnovo triennale dei contratti di lavoro), delle 40 ore, dei delegati che presero il posto delle vecchie commissioni interne e delle assemblee.

Fu l’autunno che visse la strage di piazza Fontana,  il primo atto di quella che sarà definita la strategia della tensione. Se il 1968 fu l’anno degli studenti, il 1969 fu l’anno degli operai. 
Uno dei frutti dell’autunno 1969 è la Legge 300 del 20 maggio 1970: lo Statuto dei lavoratori. Una legge a tutela della libertà e della dignità dei lavoratori e della libertà e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro. L’articolo più discusso di questa Legge è sicuramente il diciottesimo: una tutela reale dei lavoratori contro i licenziamenti “senza giusta causa o un giustificato motivo”. In base all’articolo 18 se un licenziamento deve essere considerato nullo se non è dovuto a valide e giustificate ragioni ma soltanto a motivi discriminatori.

L’articolo 18 impone quindi al datore di lavoro il reintegro del dipendente nel posto da cui è stato ingiustamente licenziato, con le stesse mansioni e la stessa retribuzione che aveva in precedenza. Nei casi di aziende don meno di 15 dipendenti, il reintegro può essere sostituito da un indennizzo pari a 15 mensilità di stipendio.


Nel corso degli ultimi quindici anni, l’articolo 18 è diventato una delle norme più discusse della legislazione italiana, con schiere di strenui difensori e accaniti detrattori. In realtà dei tentativi di modificare l’articolo 18  vennero provati da Democrazia Proletaria, partito di estrema sinistra nato nel 1975 e scioltosi nel 1991, già nel biennio 1981-1982 e nel 1990. La proposta di DP era quella di allargare il campo di applicazione dell’articolo 18: i referendum proposti da DP vennero però bocciati, per motivi diversi, dalla Corte Costituzionale e la proposta non ebbe seguito.
La discussione sull’articolo 18 riprese a metà degli anni ’90 dell’ormai scorso secolo, con proposte e iniziative di segno decisamente contrario a quello che aveva animato DP.

L’articolo 18 diventa (improvvisamente) l’emblema della rigidità della legislazione italiana riguardo il mercato del lavoro e della eccessiva protezione del lavoro dipendente. L’anno di inizio di questo ‘nuovo corso’ dell’articolo 18 è sicuramente il 1997, quando il senatore dell’Ulivo Debenedetti propose un disegno di legge (SA 2075/1997), ispirato da Ichino, in cui si chiedeva la modifica dell’articolo 18, sostituendo di fatto sostituiva l’obbligo al reintegro (applicato residuamene ai licenziamenti discriminatori) con un indennizzo economico.  Nello stesso anno il direttore generale di Confindustria Cipolletta chiedeva una maggiore liberalizzazione dei licenziamenti, sia individuali che collettivi (affermazione liquidata dall’allora  Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro come una semplice battuta e per di più infelice e ridimensionata dal presidente della stessa Confindustria come una richiesta di maggiore flessibilità), mentre i radicali di Marco Pannella iniziarono la raccolta delle firme necessarie per un referendum per l’abrogazione dell’articolo 18.  I sindacati, ed in particolare la CGIL, intervennero in questo dibattito attaccando con forza la proposta Debenedetti, accusato di collusione con le pulsioni degli industriali.
Del 1997 è anche il cosiddetto ‘Pacchetto Treu’, ovvero la Legge 197 del 24 giugno: legge finalizzata a contrastare la disoccupazione nel paese attraverso la regolamentazione delle forme di occupazione ‘non-standard’. La contrattazione sindacale pose dei limiti alla flessibilizzazione del lavoro avviata dalla legge, come ad esempio quello dell’otto per cento come quota dei lavoratori interinali (figure  introdotte appunto dal Pacchetto Treu). L’azione dei sindacati venne interpretata dagli imprenditori ed in particolare da quelli di ispirazione liberista come una dimostrazione della (per loro) indebita capacità dei sindacati di bloccare progetti di riforma ad essi sgraditi per motivi ideologici.
È nel 1997 quindi che l’articolo 18 diventa un tema critico, forse il principale, dei rapporti tra gli attori del mondo del lavoro italiano. Ovviamente non è mia intenzione riassumere qui il dibattito sull’articolo 18 e come questo sia evoluto dal 1997 ad oggi: altri ne hanno scritto decisamente meglio del sottoscritto. Mi limito a ricordare che l’articolo 18 è stato sottoposto ad un vigoroso riassesto dalla Legge 92/2012, la famigerata Riforma Fornero: sulla base di questa legge il reintegro del lavoratore  è previsto soltanto per i licenziamenti discriminatori o espressamente vietati (come per le lavoratrici madri) o, nelle imprese con più di 15 addetti, in casi eccezionali. Negli altri casi la Riforma Fornero prevede una tutela esclusivamente economica .
Quella che voglio condividere è una riflessione su come l’articolo 18 sia, per storia e tradizione, un tema sacrale: un punto troppo sensibile del sistema nervoso del paese. Il senso comune degli italiani verso l’articolo 18 emerge dall’analisi del voto del referendum voluto dai Radicali a cui abbiamo accennato e di quello successivo del 2003 promosso da Rifondazione Comunista. Quest’ultimo riprendeva la proposta di DP, intendendo estendere il diritto di reintegro a tutti i lavoratori dipendenti indipendentemente dalla dimensione d’impresa.

Entrambi i referendum non raggiunsero il quorum, invalidando così le consultazioni: chi però espresse il suo voto lo fece a difesa dell’articolo 18. Nel referendum radicale il 66,4% dei votanti si espresse contro l’abrogazione dell’articolo 18; in quello di Rifondazione l’86,7% dei votati era a favore dell’estensione dell’articolo 18 (un ‘suggerimento’ di cui la Fornero nel 2012, come detto, non ha tenuto conto).
Ha ragione Renzi quando dice che l’articolo 18 è un ‘totem’, una bandiera di antiche e gloriose battaglie sindacali: forse è proprio per questo che non lo possiamo accantonare. Oggi più che mai, in questa spaventosa crisi che viviamo ormai da tempo, l’articolo 18 ha un valore ‘simbolico’ altissimo per i lavoratori italiani: è la sicurezza non soltanto di una efficace tutela del posto di lavoro ma anche, e soprattutto, la difesa di quella che per molti è l’unica fonte di reddito della loro famiglia.
Ha ragione chi sostiene che la discussione sull’articolo 18 è inutile, perché l’articolo 18 non è un problema. Siamo sinceri: la crisi che vive il mondo del lavoro in Italia non è dovuta all’articolo 18 come alcuni vogliono farci credere (le statistiche ci dicono peraltro che i ricorsi contro i licenziamenti non sono poi così frequenti e che spesso prevalgono ipotesi di accordo). Anzi, esperienze pregresse ci suggeriscono che la tutela dei lavoratori e del loro posto di lavoro può essere un elemento moderatore molto efficace sull’equilibrio dei consumi interni e quindi sull’economia di una nazione.
L’articolo 18 deve essere mantenuto, anche soltanto per un problema di opportunità politica (se proprio non per convinzione). Questo non significa però che non possa essere modificato, magari introducendo  strumenti di tutela più efficaci ed avanzati e progetti politici e sociali seri e finalizzati al reinserimento dei lavoratori. Il centro del dibattito sul lavoro, la lente riformatrice del Jobs Act, deve però concentrarsi su altri e più importanti aspetti, progettando azioni in grado di portare cambiamenti significativi negli indicatori economici (compresi quelli occupazionali). Come ad esempio la riduzione del costo del lavoro, lo sviluppo di sistemi concreti a sostegno di nuove forme imprenditoriali, il garantire l’accesso al credito per le aziende, il potenziamento dei servizi di formazione, riqualificazione, informazione ed orientamento ecc.   Il tutto magari non scimmiottando sistemi esistenti in altri paesi, ma costruendo un sistema completamente ‘italiano’. Questa la grande sfida che attende Renzi. L’articolo 18 lasciamolo stare però: è un pezzo importante della storia italiana e parte integrande dei nostri valori.
Scusandomi per la lunghezza (una compensazione alla sintesi richiesta durante il lavoro),

ALESSIO PIEROTTI

PS: una curiosità. L’articolo 18 è difeso a spada tratta dai sindacati. La Legge 108 del maggio 109 esonera però “tutti i datori di lavoro che svolgono senza fini di lucro attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione o religiosa e di culto” dall’obbligo di reintegro del dipendente. I sindacalisti quindi non godono dell’articolo 18 !

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27/10/2014 - 20:17

AUTORE:
Don Bairo

...vorrà dire che al 27 del mese ci mangeremo "un pezzo importante della storia italiana e parte integrante dei nostri valori"

Voglio provare a cucinarlo impanato, con un filo d'olio