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L'articolo di oggi non poteva non far riferimento alla festa del SS. Crocifisso che Pontasserchio si appresta a celebrare, il 28 aprile.Da quella ricorrenza è nata la Fiera del 28, che poi da diversi anni si è trasformata in Agrifiera, pronta ad essere inaugurata il 19 aprile per aprire i battenti sabato 20.La vicenda che viene narrata, con il riferimento al miracolo del SS. Crocifisso, riguarda la diatriba sorta tra parroci per il possesso di una campana alla fine del '700, originata dalla "dismissione" delle due vecchie chiese di Vecchializia. 

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per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Colori u n altra rosa
Una altra primavera
Per ringraziarti amore
Compagna di una vita
Un fiore dal Cielo

Aspetto ogni sera
I l tuo ritorno a casa
Per .....
Oggi è venuto a mancare all’affetto di tutti coloro che lo conoscevano Renato Moncini, disegnatore della Nasa , pittore e artista per passione. .....
"Uno strano imbroglio" 4°

26/7/2015 - 11:39


Breve riassunto delle puntate precedenti. 

 In Bocca due pescatori abusivi trovano nella propria rete il cadavere di un uomo di colore. I carabinieri, avvisati in forma anonima, fanno rimuovere il cadavere e fanno i primi rilievi del caso da cui non emergono dati sospetti. Il cadavere sembra solo un annegato trasportato dalla corrente  ma l'autopsia rivela che l'uomo non è morto annegato come si pensava ma a causa di traumi multipli fra cui la frattura del cranio con lesione cerebrale. Delle indagini sul caso viene incaricato il maresciallo Silvestri, reintegrato per l'occasione in quanto sospeso da tempo dall'Arma per un oscuro motivo disciplinare. Il maresciallo è rientrato da poco in paese accompagnato da una giovane ragazza, di nome Chiara, conosciuta in occasione di una dolorosa vicenda accaduta in una città del Nord dove il Silvestri si arrabattava, per sopravvivere, con piccoli lavori di sorveglianza e sicurezza dato il suo temporaneo allontanamento dal servizio. Il maresciallo comincia le difficili indagini.

 

 

 “Pronto, Sivestri? Silvano…? Sono Luvisotti, come stai?”

“Luvisotti!! Ma guarda, volevo proprio te.. senti: sai Luvi con tutto il tempo che ho a disposizione da quando mi avete cacciato mi sono dato anch’io all’enigmistica!

“Silvano dai non scherzare, lo sai che ti voglio bene ed ho una buona notizia per te. Una buonissima notizia che ti farà piacere: il colonnello Caponi ti ha rimesso in servizio….da oggi, ho qui l’ordinanza, rientri in famiglia, finalmente, dopo… quanto… due anni?”

“Due anni, tre mesi e una ventina di giorni, se non sbaglio”

“Dai Silvano sono contento, lo sai che ti sono sempre stato amico. Da oggi sei nuovamente in servizio attivo, puoi passare a ritirare i documenti e a firmare tutte le carte….. che non mancano mai, sai…. non è cambiato niente da quando…….da quando…….e anche a visionare quello che abbiamo sul caso a cui sei stato subito destinato, quel morto sai, quel nero trovato morto sulla bocca del fiume”

“Sì, ho letto, ma non era un caso di semplice annegamento? Così almeno diceva il giornale”

“Sì, ma sul corpo c’erano delle lesioni, delle fratture, a cui non si è voluto dare troppa importanza per non suscitare paura, per non far parlare troppo i giornali, sai com’è. Comunque le lesioni ci sono e il colonnello pretende un minimo d’indagine. Una cosa piccola ma se è servita a farti tornare da noi ben venga l’indagine sul morto”.

Di nuovo in servizio! Sembrava impossibile. Dopo più di due anni in congedo forzato, con il rischio della Commissione Disciplinare, addirittura della radiazione dall’Arma ecco che tutto si risolve per la morte di un nero, di un semplice affogato.

Silvano rimase con la cornetta del telefono in mano e si domandò perché non riuscisse ancora a sentire niente, perché il sollievo e la gioia della notizia inattesa ancora non scoppiassero dentro di lui. Era rimasto immobile, con la mente assente, come in attesa. Perché quella gioia, quel sospiro di sollievo, quello scatto di rabbia liberatorio dovevano pur arrivare. Dovevano esprimere, con la loro violenza, i due lunghi anni di amarezza, di solitudine, d’inutilità, di senso di colpa, di depressione che lo aveva spinto fino a fare brutti pensieri Due anni passati lontani dall’Arma, dal suo paese che amava, dal suo lavoro che adorava. Doveva comunque arrivare. Magari dopo, più tardi, dopo giorni magari, ma sarebbe arrivato quando ci fosse stata la consapevolezza, l’assoluta certezza dentro la sua mente, che quello che stava vivendo non era un sogno ma era la realtà. Troppo bello e grande per accettarlo subito, doveva accoglierlo con prudenza perché se fosse stato solo un sogno sapeva che l’avrebbe distrutto. Troppo dolore nei due anni di lontananza dal servizio e da tutto quello che amava.

Durante il tragitto in auto per la caserma Silvano si sforzava di non pensare per non farsi prendere dall’emozione. In fin dei conti stava semplicemente andando al lavoro, niente di particolare, ma la realtà era che da quel giorno di due anni e rotti prima non aveva più percorso quella strada. Anzi aveva sempre cercato di evitare di passare di lì, facendo a volte grandi e inutili giri con scuse spesso strampalate pur di non vedere il luogo a cui aveva legato la sua esistenza per  quasi una trentina d’anni. Un luogo dove aveva vissuto momenti di fatica e di sconforto ma anche momenti di esaltazione e gioia. Per un abbraccio ritrovato, per una paura finalmente passata, per un’angoscia alla fine sfociata in un grande pianto liberatorio. Era poco più che ventenne quando era entrato a far parte dell’Arma e vi era rimasto fino a quel piccolo pasticcio…ma meglio non pensarci.

Ora, sia pure in maniera inaspettata, era di nuovo effettivo e gli era stato affidato un caso. Certo un caso minore, una semplice rottura di scatole, un’indagine purtroppo dovuta ma considerata poco più di una semplice formalità. Una pura e semplice perdita di tempo ma era comunque un’indagine dì cui lui era il responsabile e questo bastava. Come sempre lui avrebbe dato il meglio, come aveva del resto fatto sempre in tutta la sua vita professionale. Se poi era servita a farlo rientrare tanto meglio.

La caserma era un grande edificio quadrato a due piani. Il piano terra era composto di alcune stanze adibite a ufficio e separate da un corridoio centrale piuttosto disadorno dove stavano morendo di sete, e forse anche di inedia, alcune piante ornamentali in vaso, alcune trattenendo ancora in maniera sgraziata antiche vestigia di confezionamento regalo: retine gialle e verdi, fiocchi di vario colore. Qualche caso risolto magari, qualche permesso accordato, qualche intervento pacificatore, chissà! In fondo al corridoio, proprio di faccia,  una stanzetta chiamata impropriamente prigione. Impropriamente perché si sarebbe sentita meglio se fosse stata correttamente definita ripostiglio.

Al piano di sopra l’appartamento privato del Maresciallo Maggioni che vi viveva con la moglie, petulante piccola e sgraziata signora che aveva avuto in sogno, non si sa da chi ma sicuramente da qualcuno molto in alto, l’incarico terreno della beneficienza con due ordini di seri problemi, anche conseguenti: continuo rompimento di scatole per tutti (e con una preferenza scontata per i sottoposti del marito, cioè noi) e oggetto di frequenti e molto colorite discussioni col comandante, suo pur sopportevole consorte.

Il vecchio ufficio di Silvestri era diventato un archivio (ma tornerà il Silvestri? Chissà…probabilmente no, io penso sarà radiato! Mah…. intanto mettiamo le scatole lì) e per il momento gli fu assegnata la scrivania di un carabiniere in congedo per motivi di salute. Un sardo piccolino e silenzioso arrivato in caserma solo da pochi mesi con problemi di coliche renali, in congedo per malattia e che probabilmente non sarebbe più rientrato.

L’arredamento della caserma era sempre lo stesso ma Silvano non si stupì. C’era sì un nuovo casellario, con più cassetti, ma le poltroncine, le scrivanie e gli armadi erano quelli che lui aveva lasciato due anni prima. C’era qualche computer, questo era vero, ma non su tutte le scrivanie e si vedevano e si sentivano ancora le vecchie macchine da scrivere meccaniche. Un rumore a cui Silvano non aveva mai veramente fatto caso, una componente scontata e spesso fastidiosa in un ufficio dove lavoravano più persone, ma che in quel momento lo colpì e si accorse improvvisamente, e con un certo stupore, quasi di amarlo. Si rese conto di quanto gli fosse mancato quel piccolo e fastidioso insignificante rumore. Ascoltarlo di nuovo gli aprì il cuore e gli fece capire che era tutto vero, che forse……… finalmente….era di nuovo a casa.

La cartellina che gli fu affidata sul morto conteneva veramente poco, solo la relazione della scoperta, la trascrizione approssimativa della telefonata anonima, un buon numero di foto del cadavere, la relazione dell’appuntato che non diceva niente, il reperto autoptico i cui mancavano ancora i referti degli esami chimico-tossicologici e le risposte delle stazioni dei carabinieri poste lungo tutto il fiume che dichiaravano di non avere avuto nessuna denuncia di persona scomparsa. Anche i Comuni a monte del corso d’acqua avevano dato risposte negative, comunicando che nessun loro concittadino pareva mancasse all’appello.

Non era molto, anzi era niente, da cui si poteva dedurre che il cadavere apparteneva a una persona probabilmente non residente, senza che  nessuno ne avesse denunciatola scomparsa. Rimaneva tuttavia il fatto inequivocabile che il cadavere aveva delle fratture, di cui una probabilmente era stata la causa del decesso, e che, cosa fondamentale e importantissima per l’indagine, non aveva acqua nei polmoni. Non poteva quindi essere semplicemente affogato ma caduto, o gettato, nel fiume già cadavere.

Morto quindi sulla terraferma e la sua presenza nel fiume indicava con relativa sicurezza che qualcuno ve lo aveva gettato. Difficile pensare ad un malore mortale sulla riva, o su di un ponte, con relativa caduta in acqua già cadavere per un ragazzo intorno ai venti anni e in buona salute. Poteva essere ubriaco ed essere caduto da solo in acqua, ma in quel caso sarebbe morto affogato e i suoi polmoni sarebbero stati pieni d’acqua. Ubriaco caduto per caso da un ponte e battuta mortalmente la testa su una roccia o un masso e quindi morto prima di entrare in acqua? Possibile ma poco probabile.

Diede un’occhiata alle fotografie che mostravano un ragazzo giovane, scuro di pelle, un bel ragazzo anche se la permanenza in acqua aveva stravolto in parte i suoi lineamenti. Osservò com’era vestito. Non sembrava uno straccione. Aveva una maglietta con una firma famosa, un paio di jeans piuttosto normali e un paio di tennis anch’essi di buona fattura. Silvano da questo dedusse che forse il ragazzo aveva un lavoro, o comunque un reddito che gli aveva permesso di comprarsi quei capi di abbigliamento non eccessivamente costosi ma comunque abbastanza nuovi, ti tipo occidentale.

In tasca non avevano trovato niente, non carte che lo potessero identificare, ma nemmeno soldi o chiavi o qualunque altra cosa che la gente comune tiene in tasca, anche se non sa di dover cadere o essere gettata in un fiume. Sembrava quasi che le tasche fossero state svuotate prima, cosa almeno insolita per una persona comune che in tasca ha sempre qualcosa: un fazzoletto, un foglietto, una ricevuta, una gomma o una caramella. Forse la permanenza nelle acque del fiume, il trascinamento……possibile certo, ma che nelle tasche non fosse rimasto niente di niente faceva pensare più ad un opera dell’uomo, orientava per  uno svuotamento volontario piuttosto che per una casualità o per un meccanismo esterno.

Purtroppo non c’era altro quindi:

-Ragazzo giovane di circa venticinque anni, di colore (scuro quindi forse africano e non magrebino)

-Forse con un lavoro o comunque con un reddito (capi di vestiario di buona fattura)

-Morto prima di finire nel fiume (caduto? GETTATO?)

-Frattura di omero e cranio (percosse? caduta?)

-Identità sconosciuta

-Nessuna denuncia di scomparsa (senza famiglia? Mancata denuncia per paura? Sconosciuto perché arrivato da poco? Non denuncia per concorso in reato?)

Dopo questo schema Silvano pensò a come poteva muoversi per cercare di avere altre informazioni.

In paese c’era una piccola comunità di extracomunitari cui poteva chiedere, con la dovuta discrezione, se qualcuno conosceva il morto. Poi c’erano i pescatori di frodo, che conoscevano tutti, ed anche loro dovevano essere sentiti, sempre con la necessaria discrezione e in maniera naturalmente non ufficiale. Forse poteva anche, con un po’ di fortuna e molto tatto, arrivare ai famosi anonimi che avevano trovato il corpo.

Lo avevano tirato su dal fiume loro oppure era già sulla riva? Lo avevano toccato, lo avevano perquisito e magari prelevato loro quello che il morto aveva in tasca? Erano domande importanti che avrebbero dovuto avere una risposta.

Passò tutta la mattina e parte del pomeriggio a sistemare le sue cose e la scrivania mettendo in un cassetto quello che non gli apparteneva (solo qualche penna, fermagli, una spillatrice mal funzionate e un blocco bianco intonso che faceva pensare che il carabiniere con le coliche avesse altri progetti) e organizzando il posto di lavoro come ai vecchi tempi. Sistemato il suo nuovo ufficio, passò il resto del pomeriggio a fare nuovamente il punto della situazione, per essere sicuro che non gli fosse sfuggito niente, e a telefonare ai colleghi delle caserme poste lungo tutto il corso del fiume per sapere se avevano qualche notizia di persone scomparse, o comunque erano a conoscenza di qualche chiacchiera o notizia, anche non ufficiale, che poteva riguardare il caso.

La sera si accorse di non aver fatto nessun passo avanti, i pochi dati raccolti erano rimasti gli stessi della mattina. Anche continuare a guardare la cartellina non sarebbe servito a molto per cui Silvano infine la chiuse, la mise nel cassetto della scrivania e uscendo si premurò di fare il giro delle altre stanze per salutare i colleghi presenti al lavoro davanti alle loro scrivanie. In ogni stanza trovò parole di benvenuto e di affetto, auguri e sorrisi che a lui parvero sinceri e se ne rallegrò.

Uscendo si trattenne un attimo sulla porta della caserma, guardò in alto il cielo che cominciava a perdere l’azzurro per vestirsi dei colori caldi del tramonto, respirò a fondo più volte l’aria della sera ancora mite e un grande e prolungato sospiro liberatorio alla fine arrivò. Sembrò colmare, come per incanto e in quel preciso istante quei due lunghi anni in cui era stato lontano da quel luogo e da quelle persone.

Il maresciallo Silvestri era finalmente tornato al suo lavoro.

S’incamminò lentamente per andare alla sua vecchia Punto ma prima si ritrovò invece a fare un giro attorno alla caserma, per rivedere i luoghi, per riconoscere le forme, per rivedere i pochi malandati mezzi di cui disponevano, la minuscola officina per le piccole riparazioni, la fonte dell’acqua che ancora perdeva, il melo in fondo alla rete ingiallito con ancora i suoi frutti butterati e immangiabili. Toccò, con le mani, sfiorò le auto, la fonte ma poi si accorse che si stava commuovendo e non voleva farsi vedere in quello stato: il Silvestri, il duro, il coriaceo, che si abbandonava così al sentimento. Si trattenne ancora un po’ e poi si avviò verso l’auto, parcheggiata poco distante.

Le giornate cominciavano a scorciarsi ma non era ancora notte, la luce ora era di quella tonalità indefinita che affievolisce tutti i colori in attesa del buio e le prime stelle si vedevano appena, anche se quella sera a Silvano sembrarono più luminose del solito. Non c’era un alito di vento, e lui camminò lentamente, senza pensare a niente lasciandosi accarezzare piano piano da quella sensazione dolce, da quello strano benessere che nasce quando ci sentiamo soddisfatti o felici di qualcosa pur senza ancora averne realizzato il motivo, senza averne ancora percepito completamente il perché. Una sensazione gradevole che lasciamo avanzare lentamente, che lasciamo emergere piano piano, senza fretta, fino alla consapevolezza per rendere ancora più dolce la scoperta.

La sua Punto verdolina era al solito posto nel parcheggio. Cercò le chiavi in tutte le tasche fino a che non le trovò proprio nel momento in cui stava cominciando a pensare di averle lasciate in ufficio. Era una macchina vecchiotta ma comunque della ultima generazione elettronica, e poi Silvano vi era affezionato. Non era come la sua prima auto, una Fiat 600 che la mattina faceva soffrire per partire e stava spesso dal meccanico che provava e riprovava per trovare il guasto. Ora il meccanico che conosceva Silvano non era più un individuo con la tuta blu piena di grasso che ti parlava pulendosi le mani morcose con un cencio altrettanto sudicio, ma un individuo vestito di bianco (molto più pericoloso!) che ti collegava i cavi della batteria a un monitor e ti diceva subito, senza sporcarsi un dito, che la batteria era scarica, la cinghia di trasmissione da cambiare, la pompa dell’acqua e i freni quasi alla fine presentandoti subito anche il conto da saldare.

La Punto infatti partì al primo colpo, Silvano si mise la cintura e prese la strada del ritorno. La strada che percorreva era quella accuratamente evitata per più di due anni, ma non gli dette stavolta nessuna sensazione. Come se un filo si fosse nuovamente annodato con tranquillità, una storia avesse ripreso il suo lento cammino senza alcuna soluzione di continuità, nessun apparente scossone. Solo una breve parentesi oramai chiusa, una parentesi per un verso molto dolorosa (il congedo forzato, il rischio di radiazione, la trasferta nella grande città, la solitudine) ma anche con alcuni momenti veramente importanti e significativi come l’incontro con Chiara.

 Chiara…..era bello pensarci…. oramai nel suo cuore come una seconda figlia.

(continua)      

 
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