Tornano, dopo la pausa estiva, i racconti storici di Franco Gabbani.
Un articolo, come per altri in precedenza, legato interamente alle vicende personali di una persona dell'epoca, una donna che ha vissuto intensamente una vita, ragionevolmente lunga, che potremmo definire di ribellione al ruolo che ai tempi si riconosceva alle donne, in aperta opposizione ai vincoli, alle scelte e al giudizio che la società di allora le riservava.
Gli atti vandalici e in particolare quelli al patrimonio pubblico sono davvero insopportabili e l'indignazione di fronte a tali malefatte è unanime. È per questo che, di fronte alla locandina che ci informa degli ennesimi e ripetuti danneggiamenti alla palestra di Molina di Quosa, ci alteriamo davvero tanto.
Ma l'indignazione generale e la maledizione nei confronti dei presunti colpevoli sono oggi sufficienti? Forse non sarebbe giunto il momento di una più utile ed efficace riflessione sul modello di gestione dei nostri impianti sportivi che li vede sempre più in abbandono?
Ripartire da quando erano considerati il fiore all'occhiello delle nostre amministrazioni è a nostro avviso fondamentale. Ricordiamo che questi erano considerati "ricchezze sociali" e mantenuti vivi da una gestione pubblica che, seppur nelle difficoltà, attraverso le associazioni e le polisportive del territorio, riusciva a organizzare “lo sport per tutti”, creava luoghi di incontro sportivi e aggregativi soprattutto per i giovani che in quegli spazi sperimentavano la socialità e l'importanza dello "stare insieme". Agli enti locali, a noi contribuenti, costavano un po’, è vero, ma il risultato dell'impegno economico-finanziario era l'indubbio vantaggio di restituire alla comunità la propria vita sociale e soprattutto la buona formazione dei propri figli.
Poi c'è stato l'avvento delle privatizzazioni nella pubblica amministrazione che ha riguardato anche gli impianti sportivi. Gli amministratori degli enti locali, ad un certo punto, non sono stati più disponibili ad investire in quella che fino a poco tempo prima era considerata una ricchezza sociale. Hanno sostenuto, propinato, dettato una scelta in nome del "costo zero", hanno deciso di sacrificare una parte importante di loro stessi.
Il risultato di questa scelta è sotto gli occhi di tutti: la lenta ed inevitabile morte delle associazioni sportive e delle polisportive schiacciate dagli ingenti costi di gestione, l'impossibilità per le giovani generazioni di avvicinarsi in massa allo sport se non a costi troppo elevati per le famiglie già gravate pesantemente dalla crisi economica in atto, bandi di assegnazione che vanno deserti.
La mente va allo stato di degrado in cui fu trovato l'impianto de La Fontina al momento dell'occupazione da parte dei cittadini organizzati in comitato, alla difficile situazione degli impianti di Campo, agli impianti di Asciano ormai quasi completamente inesistenti e in generale al degrado diffuso in cui versano anche gli impianti sportivi dei comuni limitrofi dell'area pisana.
A nostro avviso c'è l'esigenza impellente di rivedere un modello di gestione che forse non è dei più indicati e che non rappresenta certamente l' esempio di come si mantiene, si valorizza e soprattutto si rispetta la cosa pubblica.
Secondo noi la mancanza di questi punti di riferimento, di spazi sociali e di aggregazione giovanile ha contribuito non poco a formare inconsapevoli vandali assorbiti da solitudine, smartphone e ozio. È il tipico caso in cui "le colpe dei padri ricadono sui figli" e su questo la politica e gli amministratori pubblici devono velocemente interrogarsi e dare fattive risposte alle comunità.