In questo nuovo articolo di Franco Gabbani le vicende storiche, incentrate tra la fine del '700 e l'inizio dell'800, travalicano i confini della Valdiserchio, come già accaduto in diverse occasioni, e d'Italia, espandendosi in Europa.E' la storia di un giovane costretto a seguire la carriera militare per problemi e ripicche amorose, con l'inevitabile nefasta conclusione, raccontata utilizzando le stesse parole dell'ussero, che ci danno uno spaccato di un'esistenza iniziata negli agi della famiglia gentilizia e terminata sui campi di battaglia
Caracas "città morta": chiudono le botteghe, vuoti i supermercati
La capitale venezuela è duramente colpita dalla crisi.
Negozi con le saracinesche abbassate, violenza nelle strade, povertà in aumento e sempre più gente in fuga verso i Paesi vicini
Sono scomparsi anche i colori. Le facciate adesso sono grigie, compatte, uniformi, divise solo dalle serrande a grata e le saracinesche chiuse come se volessero esprimere un grande lutto. Non si sa quando riapriranno.
La crisi colpisce duro a Caracas. Nicolàs Maduro non molla ma soprattutto non è capace di gestire un paese. Un giorno una libreria, un altro il parrucchiere amico, poi il bar, quello dove andavi tutte le mattine e il ristorante. Il ristorante! Perfino lui. Le strade dello shopping, un tempo vivaci, allegre e rumorose, sono un deserto. Le vetrine senza più vestiti, con i manichini nudi, pochi clienti che passano lanciando sguardi malinconici.
La depressione non è più solo umana, con il cibo che scarseggia e le famiglie costrette a mangiare una sola volta al giorno, con le file ai supermercati, anche questi spogli, in attesa di prodotti che non arriveranno mai.
E’ una depressione economica che trasforma la stessa Caracas. Il prodotto interno lordo del Venezuela è crollato di un altro 14 per cento nel 2017, secondo il Fondo Monetario Internazionale; era già sceso di un 16,5 per cento l’anno prima e l’inflazione ha superato il 2.400 per cento.Perfino le tradizionali botteghe dove si vendono le arepas, aperte giorno e notte, come le famose Doña Caraotica e la Casa del Llano, tappa obbligata nelle albe dopo le scorribande in discoteca il fine settimana, hanno chiuso i battenti.
Stessa cosa i ristoranti Punta Grill e la Fonda, punti di riferimento a Altamira, La Castellana e Las Mercedes, alla fine hanno gettato la spugna. Chi ha visitato Caracas nelle ultime settimane racconta di una città avvolta da un clima sordo e cupo.
Un’anomalia per una città sempre vivace e rumorosa, con la musica sparata a palla che usciva da case e locali. “Una città senza commercio”, commenta sconsolato Victor Maldonado, presidente della Camera di Commercio della capitale, “è una città morta. Perfino le areperas”, conferma, le panetterie simbolo della tradizionale culinaria dei venezuelani, cominciano ad essere una specie in estinzione”.Leggi anche:
A sorpresa anticipate le elezioni presidenziali : "Si vota entro aprile"Caracas conta 40 mila esercizi commerciali. Nove su dieci sono piccoli negozi a conduzione familiare. “Fino a 15 anni fa”, ricorda Maldonado, “ce n’erano 80 mila.
Ma la povertà e la fame li ha ridotti alla metà. Le botteghe di strada sono le uniche ad aver resistito perché i proprietari possono fare a meno degli impiegati, tirano avanti come possono, chiudono e aprono sapendo bene di non poter usufruire dei finanziamenti in dollari del governo che hanno premiato solo 20 mila degli oltre 200 mila che ancora resistono in tutto il Venezuela”.
La paura e la violenza hanno contribuito a questa desolazione. C’è una sorta di coprifuoco autoimposto che scatta alle 7 di sera. Con il buio le strade restano vuote ed è raro vedere passanti che si avventurano nel silenzio della città. Questo non accade solo nel centro o nei quartieri popolari. Anche nelle zone frequentate da giovani e studenti i tipici ristoranti sempre affollati perché economici oggi aprono solo di mattina. Il ristorante cinese Aiqun, a Colinas de Bello Monte, nel sudest di Caracas, ha chiuso a gennaio.
Altri negozi e botteghe asiatiche, famosi per i prezzi stracciati a cui vendevano birre e panini, hanno mollato già l’anno scorso. Discovery bar, il locale dove si esibivano le tante bande rock e di raggaetón, ha chiuso i battenti. L’ultimo concerto dal vivo è stato a settembre scorso. Non c’è solo il diffuso senso di insicurezza e i controlli ossessivi degli uomini del governo alla base di questo disastro.
Caracas ha resistito più di altri centri dell’interno del Venezuela. Ma i ripetuti blackout di energia elettrica, le interruzioni nella distribuzione di acqua e della rete di internet rendono tutto più difficile. Ad ottobre scorso due terzi dei negozi della capitale era intenzionato ad abbassare la saracinesca. Moltissimi vogliono lasciare il Venezuela. A malincuore. Non hanno alternative. Sono obbligati a farlo.
Il 70 per cento dei giovani tra i 15 e i 25 anni non vede più un futuro nel paese. Lavoricchia per raccogliere i soldi di un biglietto aereo.
Chi non se lo può permettere fugge via terra. A bordo di bus, macchine colme di masserizie, moto, carretti e bici, spesso a piedi.
L’obiettivo è la frontiera con la Colombia, la più vicina. Quindi il sud: Ecuador, Perù, Cile. Per ricominciare.
In attesa che il Venezuela torni ad essere il paradiso dell’America Latina.