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Tornano, dopo la pausa estiva, i racconti storici di Franco Gabbani.
Un articolo, come per altri in precedenza, legato interamente  alle vicende personali di una persona dell'epoca, una donna che ha vissuto intensamente una vita, ragionevolmente lunga, che potremmo definire di ribellione al ruolo che ai tempi si riconosceva alle donne, in aperta opposizione ai vincoli, alle scelte e al giudizio che la società di allora le riservava. 

CERTO CHE E UN PARADISO PER I CANI, MA ESSENDO PARCO .....
esiste un luogo meraviglioso dove i cani possono esprimere .....
Fino ad adesso non mi sono espresso sulla "svolta" .....
Cani: quando è obbligatoria la museruola?
La museruola .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Incontrati per caso...
di Valdo Mori
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di Emanuele Cerullo
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Incontrati per caso...
di Valdo Mori
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Dal Wueb
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Quest'aria frescolina allieta,
desta
gìà da quando si traffica in cucina
con la moka, primiero pensiero
dopo la sveglia mattutina
Con queste .....
Nel paese di Pontasserchio la circolazione è definita "centro abitato", quindi ci sono i 50km/ h max

Da dopo la Conad ci sono ancora i 50km/ h fino .....
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Bati, Cecco e gli altri cacciatori del "confino"

1/5/2018 - 19:36

Ecco un altro capitolo del libro "Gente del Confino": I cacciatori

(un po' ridotto ma poco poco)

I cacciatori sono numerosi: conosco diversi nomi e cognomi e alcuni soprannomi. L'attività della caccia era molto seguita, praticata in molte famiglie sia come attività sportiva. sia come lavoro.
Per cominciare vorrei partire dai cacciatori del lago.
Erano un “fottio” avrebbe detto Giova’ di Lorda. Sì, erano veramente tanti e molto bravi. Tanto era il lavoro preparatorio: avere un barchino sempre in ordine, accudire alla postazione, che poteva essere una botte o un capanno, provvedere alla pulizia degli argini dei canali con il taglio del falasco, effettuare la costruzione e la pitturazione delle stampe, che servivano per richiamare uccelli acquatici, la pulizia del fucile e la preparazione delle cartucce.
E la divisa da cacciatore? Guai a non avere la giacca con la “catana”; il cappello, gli stivali a coscia, il cane, il vero amico e leale servitore del padrone. Insomma i cacciatori del lago avevano qualcosa in più degli altri.
Fare i nomi e facile; raccontare qualche storia è più difficile. Ma di storie ce ne sono tante, anche inventate, visto che i cacciatori di bugie ne raccontavano a ripetizione.
Cominciamo con Bati.
Era l’uomo che rappresentava la caccia nel lago. Titolare dello “Chalet Emilio” era il punto di riferimento dei cacciatori, dei pescatori e dei turisti che affluivano a Torre del Lago per visitare la Villa del Maestro Giacomo Puccini. Il locale svolgeva attività di ristorante, ma anche di bar; accoglieva la gente che cercava di fare una gita in barca o doveva noleggiare barchini. Conosceva tutti i paesani e i cacciatori che venivano da fuori: Con lui si trattavano e si concordavano gli appuntamenti anche per la pesca. Con il personale di famiglia, conduceva la cucina, la cui specialità era la caccia e piatti di terra; provvedeva al servizio ai tavoli, e faceva funzionare il bar dalla mattina a motte inoltrata. Lo Chalet era non solo un punto di ritrovo obbligato, ma era anche l’unico locale, collocato sulle sponde del lago costruito con gusto senza recare offesa all’ambiente.
Bati, anagraficamente era Manfredi Vittorio, fratello di Teti e zio di Bacchione. Torrelaghese puro sangue era uomo piacevole di buona stazza, sempre disponibile. Un buon parlatore, competente nel suo lavoro e apprezzato da tutti.
Ricordo che dopo le tele alle folaghe, egli si buttava nella mischia, quando nascevano litigi fra cacciatori che si contendevano una preda presa dal cane di un altro. I litigi erano forti e spesso accesi, ma Bati subito rasserenava gli uomini, invitandoli ad andare a prendere un aperitivo al suo bar. I cacciatori sapevano che la sua presenza li avrebbe calmati, anche perché dalla cucina usciva un buon profumo di arrosto e buoni piatti caldi pronti per essere degustati. Anche lui cacciava con la sua combriccola formata da paesani cresciuti insieme, o in compagnia di agiati personaggi della Toscana, clienti abitudinari.
Era un uomo di mondo tenace e sempre pronto a dare le risposte giuste o fare battute spiritose con gusto. Sul Lago di Massaciuccoli la sua figura era un simbolo e rappresentava una certezza.
La famiglia, i parenti, tutti Manfredi, hanno gestito lo chalet fino a pochi anni fa. Pian piano il locale divenne un comune ritrovo di riferimento frequentato dai paesani e dai turisti.
Un altro ristorante, intanto, prendeva notorietà, grazie al suo gestore, anche lui cacciatore chiamato Cecco, denominato “Cecco Bo”.
A lanciare il suo ristorante fu un piatto divenuto famoso, “le pappardelle sulla lepre” al quale si aggiunsero piatti squisiti di cacciagione della Maremma. Il suo locale divenne in pochi anni il ritrovo dei cacciatori vip e dei bongustai di tutta la Versilia.
Un successo e una fortuna per la famiglia Manfredi, che affittava tenute in Maremma e teneva contatti con cacciatori di un’area più vasta.
Cecco portava con se molti clienti e preparava battute di caccia per farli divertire e far loro assaggiare gustosi piatti della sua cucina, a base di cinghiale, daino e altra cacciagione con polenta.
Di Cecco e di Bati si potrebbe parlare a lungo. Hanno rappresentato un’epoca e hanno scritto anche la locale storia della caccia. Ogni cacciatore che prediligeva il lago, doveva avere un contatto con loro.
Anche chi aveva il barchino di proprietà o aveva avuto il permesso di mettere la botte lungo gli argini, o allestire un capanno, aveva come punto di riferimento Bati o lo Chalet Emilio.
Gran passione per la caccia l’aveva anche “Polvere” al secolo Picchi Gino, figlio di Spolverone, amico di Bughere (Pardini Vittorio) che abitava in via Marconi.
Polvere, oltre a onorare l’orario del proprio lavoro, come dipendente comunale, si alzava presto la mattina e coinvolgendo altri colleghi, se ne andava a caccia nella nostra pineta, o alla sera faceva lunghe attese per aspettare il passaggio della beccaccia.
Attrezzato di ogni “arnese” si preparava da solo cartucce a pallini, a pallettoni o a palla, da usar ora contro i volatili, ora i conigli, ora il cinghiale. Salendo sul tetto della casa colava il piombo fuso, usando colini con fori più o memo grossi, facendoli raffreddare a terra in una vasca piena d’acqua fredda. Faceva tutto da sè. Comprava la polvere, gli stoppacci, pressava dentro i bossoli polvere e pallini, suddivisi dagli stoppacci e poi li chiudeva con una macchinetta che orlava il bordo del bossolo.
La casa di Polvere mei giorni di sabato e di domenica si riempiva di cacciatori. Venivano organizzati spuntini o pranzi quando nel carniere cadeva un daino o un cinghiale, oppure ci   si riuniva per studiare strategie per il giorno dopo.
Bughere, oltre il lavoro al mare, si ritirava nella sua bottega, dove si trovava ogni cosa utile per la caccia. Oltre  ai fucili a canna, quelli a ripetizione, cartucce di ogni genere, fischi   per i richiami degli uccelli. Il negozio divenne il nuovo punto di incontro per i cacciatori, anche quelli che bazzicavano il lago. A tutte le ore si incontravano, si consultavano, e facevano spesa.
Fra gli altri cacciatori ricordo Giovà di Anacleto, Tonin di Anacleto detto anche l’aviatore, in quanto maresciallo dell’aereonautica e suo nipote, Ferrari Giuliano, da poco scomparso,detto Labbrino.
Tonino amava la caccia e la esercitava in campagna, in pineta, nel Iago. Insieme a Bughere, Polvere ed altri cacciatori, formavano una squadra ben affiatata, soprattutto quando partivano per cacciare il cinghiale avvistato nella macchia lucchese. La caccia al cinghiale e l’aspetto alla beccaccia erano occasione di incontri nella pineta a cui faceva seguito anche la caccia al coniglio, alla lepre e al fagiano.
Giuliano ha seguito sempre lo zio sin da giovanissimo, ma la passione, poi, lo portò a cacciare nel Iago e a fare delle battute nella macchia pisana dai Salviati.
E ancora: L’Anatrone, Filippo, Galò  [...]

una miriade di altri...

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