Un paese che amo, il paese della mia mamma.Anche ora quando vado a RIPAFRATTA sono la figlia della "Cocca".
Un paese con una storia importante che conserva vestigia di grande rilievo.
Un paese rimasto inalterato nel tempo, non ci sono insediamenti nuovi, potrebbe essere il set di film d'epoca perché anche le case, le facciate conservano la patina del tempo.Un paese che è ancora comunità.
Dalla prossima settimana il Giornale avrà l’onore di ospitare alcuni brevi articoli di Professor Piero Paolicchi. Personaggio estroverso e anticonformista ha deciso di partecipare alla Voce con alcuni suoi piccoli saggi che hanno per oggetto le parole. Come non mai, in questo momento storico del nostro Paese, le parole hanno importanza e significato. Soprattutto perché agiscono prevalentemente su soggetti che egli stesso ha trattato in un suo precedente libello di cui mettiamo sotto un breve commento dal web.
Per far capire il personaggio di seguito la definizione che egli da di sè stesso.
Piero Paolicchi, psicologo, esercita la propria attività eversiva di docente presso l’Università di Pisa. Dopo la teoria generale dell’imbecillità, descritta nel suo precedente libro, Il fattore I, continua a essere ostinatamente ottimista e crede che, tutto sommato, la situazione sia “disperata ma non seria”.
Un breve commento del suo libro
Piero Paolicchi, che insegna Psicologia sociale a Pisa, ha scritto un agile trattatello dedicato all’imbecillità. Condizione umana di cui si hanno continue manifestazioni su scala anche vasta e nei campi più disparati, vita politica compresa. Titolo: Il Fattore I, sottotitolo: Per una teoria generale dell’imbecillità . I lettori più avvertiti ricorderanno che il compianto storico dell’economia Carlo Maria Cipolla aveva pubblicato anni fa un breve saggio d’argomento analogo, cercando di individuare le leggi fondamentali della stupidità umana.
Paolicchi riprende e aggiorna il tema partendo dal presupposto che “l’imbecillità è diffusa statisticamente in modo uniforme nel tempo e nello spazio”, però con alcune concentrazioni statistiche di cui è interessante ricercare ragioni e modalità di sviluppo. Solo gli imbecilli , poi, non possono diventare pazzi : “l’Imbecillità è la caricatura della normalità, la pazzia è la caricatura del genio”. Interessante anche la notazione che “l’assenza di umorismo e di ironia è uno dei principali indicatori del pensiero “I””, laddove gli ” I ” “sono sempre aggiornati, alla moda, e apprezzano moltissimo le novità”.
L’autore si pone anche lo spinoso problema se “I” si nasca o si diventi : “Nel 98,3 per cento dei casi (gli “I”, ndr) sono persone cresciute in famiglie abbienti o impegnate allo spasimo per dare loro tutto quello che potevano desiderare, transitate per una scuola che non seleziona per non commettere soprusi, collocate infine in un posto di lavoro dove non devono misurarsi con problemi di confronto o di concorrenza”.
La tesi di fondo del professor Paolicchi è che “I” non si nasce, ma per lo più si diventa: “I più giovani e soprattutto i bambini non sono stati ancora spinti verso tale destino come lo sono gli adolescenti e gli adulti”. Nelle conclusioni l’autore precisa che l’imbecillità è un fenomeno che si sviluppa su basi biologiche, ma è determinato e regolato da fattori socioculturali.
Tra questi: la povertà di sollecitazioni che impegnino il cervello a crescere, l’amore materno [!], l’orgoglio paterno [!], lo spirito del clan, l’attribuzione di risorse e privilegi in base al solo criterio dell’appartenenza al gruppo. L’imbecillità rappresenta , ahinoi , “una risorsa utile per il sistema” : se non ci fossero tanti ” I ” in giro non sarebbe così facile trovare un furbone che li seduce . Ecco perché “un imbecille è molto più pericoloso di un mascalzone”.