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In questo nuovo articolo di Franco Gabbani le vicende storiche, incentrate tra la fine del '700 e l'inizio dell'800, travalicano i confini della Valdiserchio, come già accaduto in diverse occasioni, e d'Italia, espandendosi in Europa.E' la storia di un giovane costretto a seguire la carriera militare per problemi e ripicche amorose, con l'inevitabile nefasta conclusione, raccontata utilizzando le stesse parole dell'ussero, che ci danno uno spaccato di un'esistenza iniziata negli agi della famiglia gentilizia e terminata sui campi di battaglia 

Comune di Vecchiano
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Massimiliano Angori sindaco
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La ricerca è attiva in tutta Italia
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Migliarino Nodica Pisa e Vecchiano.
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. . . dalla parte della Palestina ? Perché il governo .....
Com’è noto il generoso 110% e i suoi fratelli, .....
Bravo Bruno da o di ovunque tu sia, sono con te. .....
. . . prima che siano passati almeno 30/ 40 anni chiederà .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Vivrò con la faccia che tu amavi
Coi miei giochi sempre nuovi
Col difetto di sognare
Lo so che ho imparato a dirti amore
Quando ormai ci era di andare
Dove .....
Se i limiti di velocità servono a tutelare la sicurezza, non capisco perchè le auto della Polizia Municipale si debbano nascondere per poi rilevare .....
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Quando non c'era Burlamacco.
Tre per otto.. un franco e venti!

18/2/2019 - 20:39

 
C’era un proverbio de’ nnostri tempi, quand’érimo bamboretti che diceva: “Quando vien l’Epifania, tutte le feste se le porta via” e po’ an portato via anco le; beh! lassamo perde per un’entrà in polèmie; però doppo c’era un antro dittaggio che feniva meglio e ridava l’aire: “Ritorna ’l matto del carnovale; tutte le feste le fa tornare”.

 
Così ora ci risemo, i ggiorni caminino e lù ariva. O come si fa a stà a Viareggio e un sentì lo zurlo del carnovale col pizzicorino che ti piglia e ti nentra nel buzzo e un ti ce lo poi più levà? Ai voglia d’esse vecchio e sgangarato: vando senti zùmmene, urli di mascare, piffori e bande, il sangue accomincia a rimescolassi e se anco addosso è aggrumata la ruggine ti dai da fà per un paré un avvanzo di bottega e ti metti ne ’tu cenci e pigli la pruata per andà di lì se no accagli. Monti le scale, ch’en sempre più dure e ti butti ’ndel letto. Soffi nel lume e -bona notte- e un dormi; e un ti riesce sta fermo, ti rimugini e ti rimugini tiri le lenzola e ti tramuti di và e di là. Ti ci vole la pasticca per i catari e guardi drento la comodina se c’è il “zi beppe”. Ti senti picchià ill’ore nel cervello e l’occhi un ti si sérino neanco a ’ncollalli. Ti scuci la bocca da li sbavigli, ma un dormi. E chi s’addorme!

Ti vénghino tutte alla mente e neanco a fallo apposta écchiti sempre le ’ose più nogliose e brutte. Allora per buttà via il nero e ill’uccellacci che ti volino sula testa peggio de’ pellistrelli t’agguanti al matto del carnovale per fatti passà un popoino meglio velle du’ o tre ore che ti manchino pe’ aspettà che facci giorno. Mascare e piffori co’ una pattarùglia di gente che vano e vénghino in Piazza Grande. C’è il ballo in maschera e sona la Banda Cittadina. Mettévino i lampioncini di ’arte fatti a organino fra un platano e l’altro e lì dai e lì zuppa e ’nzacca, finché un ti si smoveva il sudore che t’appicciava i ppanni addosso e montavino su i ffumi di valche bicchieretto trincato a tutta gargana che ti faceva rifrange a mo’ d’aonco il baccalà marinato o la nzuppa co’ ccavoli neri che avevi mangiato a cena. Ora mi metto a sedé su i gguanciali e com’eno eno, ve li dio come mi venghino. Le zenzale un dano noia, i bbamboretti dela mi’ nipote un frignino più; il lavativo dela mi’ moglie s’è girata di là e russa e soffia come la pulenta vando bolle e io “me la godoo!”

Eccheli che arivino!   Noce; il Marchi Curzio il Caprili Bennardo Oé che fece il caro “Chi dorme un chiappa pesci”» co’ un mascherone che dormiva co’ la chiocca pendolone  la canna fra le mane. Lo buttonno fori del corso perché un ci aveva la banda sul caro. Lù andede al Comitato da Semme De Ranieri e ni disse: “Se ci mettevo sù la banda allora lu si svegliava e mi chiappava i pesci!” Manuele del Tofanelli che fece la “Poverèide” co’ la scimmia e l’ cane e chiedeva le palanche per l’ospidale e quando andede dala Billé che dava le maschere a nolo in via di Mezzo un si risolveva a trovà la maschera adatta. E la Billé nele faceva vedé di tutte le sorte: Arlecchini, ghàuli, pierò pagliacci e Domino   alla fine perse la pazienza e ni disse: “A Manuele o come ti voi immascherà e lu “A biscaro!” Allora prende la porte e va’ pur via che sei bello e mmascheratol”

Che gente! un ne nascin più!
 
Arivino le carozze co la gente che ridino e si bagnino co’ lo schizzetto del prefumo e si tirino il ciprio. Le signore tutte ammannite scendino dal Landò per andà al veglione al Regio Casino in via Regia co’ le scalinate che dano dala parte del Ponte Girante. Bamboretti che ridino, giovanotti che s’ingegnino `nela ’onfuisone a ballà e a rigirassi a forza d’occhiate. La via Garibaldi…   cordiandolie le carette de’ facchini con su le gente col naso tinto e la giacchetta arovesciata? Becchetto che pesca co’ la cerchiata fra la gente e trema dal freddo. Lu dice: — "Com’é bello andà a letto co’le   lenzola!” Brancate di confetti che volino per aria e gente che s’acchinino a raccattalli. I maccheroni mangiati nel vaso da notte   e po’ Carambambù, e Tonin di Burio. Mi pare di rivedello il Tofanelli Fernando vestito di nero che dirige la banda e fa da Sindao. Il Marchi è la Moglie di Tonin di Burio fatto da Noce, il Giorgi, accanto al prete che lo faceva il Puccetti   L’aglia e la cura del Giannotti. E i ’ccanti e i ssalti e le prese di giro per coglionà Lucca e Pedona.

“Giovanottino dal cappel di paglia è tutto il giorno che mi porti a cuglia. M’ate ferito il core e co’ un puntello me l’ate tiro fora”. Che Bellezza! “Galoppé, galoppé, galoppé; galoppé alla bersaglié” “Paura non abbian degli stiletti”; Che godio! Il Caro de’ mmatti da legga!
 
C’è anco l’ometto de’ bomboloni che te li vende per tre palanche che perchi un’ no sapesse eno vindici centesimi; belli caldi e scolati dall’olio che sa di fritto rifritto co’ un popò di zuccaro.

”A vell’uomo me ne date otto de’ bbomboloni. Vanto gostino?”

“Tre palanche — Tre per otto, un franco e venti!”

“Come sarebbe a di?”

“State a senti: Gostino no tre palanche l’uno; ne volete otto e allora un sapete fa neanco a contà? Tre palanche per otto, fano ventivattro palanche. Venti palanche é un franco! E ventivattro é un franco e venti! Ti ci voleva tanto a contà? Eppure io un sono stato a scola, ma di ’onto so fa”.

Tre per otto, un franco e venti! Eppure a ragione proprio lu   C’eno anco di velli che ti raccattino di velle scimmie che un ’entrino neanco nel giardino zologio di Roma. Carnevale viene una volta l’anno! Basta ride e divertissi! e po’…  alle dieci, t’attacca a sonà il Campanaccio della Chiesa Vecchia! a rompiti li zebedèi.   Tutti urlino e schiamazzino perché anco il Carnovale è fenito. Domattina la mi’ moglie anderà a piglià la cenere, e io per tempo, vaggo da i ffrati a piglià l’amaro per…   digerì…  

 
Tratto da “Acqua, rena e ‘gnoranza” di Don Carlo Francesconi con la dedica:

A tutti ve’ viareggini che discorévino e discorino così. L’abbiamo scritto ‘nsieme.

    
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19/2/2019 - 15:29

AUTORE:
Pierrot

A Carnevale ogni scherzo vale,
ma quello dei pentastellati che han sostenuto il burattinaio per non perdere la poltrona mi pare più che altro uno scherzo da prete...penso che i grillini si siano dati la classica martellata sulle palle...chi vivrà vedrà!