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L'articolo di oggi non poteva non far riferimento alla festa del SS. Crocifisso che Pontasserchio si appresta a celebrare, il 28 aprile.Da quella ricorrenza è nata la Fiera del 28, che poi da diversi anni si è trasformata in Agrifiera, pronta ad essere inaugurata il 19 aprile per aprire i battenti sabato 20.La vicenda che viene narrata, con il riferimento al miracolo del SS. Crocifisso, riguarda la diatriba sorta tra parroci per il possesso di una campana alla fine del '700, originata dalla "dismissione" delle due vecchie chiese di Vecchializia. 

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Colori u n altra rosa
Una altra primavera
Per ringraziarti amore
Compagna di una vita
Un fiore dal Cielo

Aspetto ogni sera
I l tuo ritorno a casa
Per .....
Oggi è venuto a mancare all’affetto di tutti coloro che lo conoscevano Renato Moncini, disegnatore della Nasa , pittore e artista per passione. .....
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La Linea dell’Arno, settantacinque anni fa…

24/3/2019 - 20:47

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Nelle amministrazioni locali è invalsa da tempo la consuetudine di ricordare e commemorare - di lustro in lustro o di decennio in decennio - fatti salienti o persone di cui si desidera tramandare la memoria.


A Pisa quest'anno ricorre il settantacinquesimo Anniversario della Liberazione da parte delle truppe alleate (2 settembre 1944): settantacinque anni non sono ancora un tempo remoto, tuttavia è esperienza comune che molti pisani - giovani e meno giovani per non parlare di quelli “d’adozione” - sembrano aver gettato nel dimenticatoio collettivo le memorie dei loro nonni.


Ora, se è vero che il 31 agosto di ogni anno - con una sorta di rito civile al quale purtroppo partecipano sempre meno fedeli - si commemorano le vittime del terribile bombardamento a tappeto di quel giorno del 1943, è restato nell’ombra il ricordo del tragico "periodo dell'emergenza" anche detto “dei quarantacinque giorni” , che ebbe inizio con gli attacchi aerei ai ponti cittadini per protrarsi con l'assedio della città dove i tedeschi si erano fortificati bloccando sulla riva sud dell’Arno le opposte truppe americane.


Proprio su questo periodo si è concentrata la ricerca effettuata dal pisano Giorgio Barsotti, che un anno fa ha dato alle stampe il volume che trae il titolo dal nome che le autorità militari tedesche assegnarono alla linea difensiva approntata a Pisa e dintorni lungo la riva destra dell’Arno nel 1944.


Traendo spunto dal fatto che fin dal 1943 in prossimità della casa dei suoi nonni e nel quartiere delle “palazzine” di Porta a Lucca si erano acquartierati numerosi soldati tedeschi, l’ Autore ha deciso di ripercorrere le fasi della vita quotidiana prendendo le mosse fin da quando la presenza di quei soldati non costituiva una novità (stante l’alleanza italo-tedesca) fino al drammatico evolversi degli eventi scanditi dalla fine del Fascismo, dall’occupazione militare da parte della Wehrmacht, dalla nascita e dal collasso della Repubblica Sociale Italiana e infine dalla linea del fronte apprestata dalle SS in quanto Pisa si trovava ormai in “zona di operazioni”.


Pubblicato dopo l’attento studio dei pochi ma noti documenti redatti sotto forma di diari e libri ed ampliato raccogliendo in vari archivi nazionali ed esteri documenti in gran parte inediti, registrando le testimonianze dei numerosi anziani e famiglie che gentilmente hanno consentito di disporre delle memorie di famiglia a lungo conservate, il libro non nasconde la speranza dell’Autore di inserirsi nel novero dei concittadini che pensano di affidare alla future generazioni un’eredità che altrimenti andrebbe a sparire.

Ha invece tralasciato di ripercorrere la narrazione degli episodi di Resistenza sui Monti Pisani, oggetto di numerose ricerche e studi - così come dei noti eccidi cittadini (Pardo Roques e San Biagio, posto che è ormai accertato dai più che le stragi furono le tragiche conseguenze di atti di rapina e di stupro) esaminati in libri ampiamente documentati - per dedicarsi invece al vissuto quotidiano nella città, esaminando il ruolo svolto e i comportamenti degli uomini di primo piano (autorità fasciste, comandanti tedeschi, autorità ecclesiastiche e civili, antifascisti) e i loro rapporti, senza tralasciare i “personaggi minori”.


Tornando dunque al periodo “dell’emergenza” è noto che i tentativi di distruggere i ponti fallirono in gran parte nonostante l’intensità degli attacchi aerei, con il solo risultato che un’altra consistente parte degli edifici cittadini e delle chiese andò perduta - senza contare il prezzo in vite umane.

Come conseguenza un’altra consistente parte della popolazione fuggì terrorizzata, mentre vennero a mancare del tutto i rifornimenti alimentari, e dappertutto venivano operati saccheggi di negozi, di magazzini e di case abbandonate, specie dai duecento delinquenti comuni – ammutinatisi in massa – e dei quali il Capo della Provincia aveva decretato, con l’ultimo atto del suo governo, la liberazione dal Carcere di Don Bosco.


Per parte loro, i ridotti contingenti delle SS e della Wehrmacht, privi della copertura aerea, rispondevano al fuoco nemico con alcune batterie contraeree piazzate per lo più nelle vicine campagne, con vari pezzi di artiglieria, con i mortai e con i pochi mezzi corazzati abilmente celati nel centro cittadino guardandosi bene dall’assumere l’iniziativa poiché il loro obiettivo tattico non era quello trasformare Pisa in una fortezza in cui resistere ad oltranza, bensì di ritardare l’avanzata del nemico mentre nelle retrovie si stavano apprestando le difese sulla Linea Gotica.


Per questo motivo, il 16 luglio 1944, il Capitano SS Günther Kaddatz nel suo primo incontro con l’Avvocato Mario Gattai, commissario prefettizio del Comune di Pisa, concluse il colloquio dicendo “Terremo con successo la linea dell’Arno”, meravigliandosi che a Pisa – devastata dai bombardamenti aerei prima e poi dagli incessanti cannoneggiamenti delle opposte artiglierie – fossero rimaste ancora alcune migliaia di persone prive di cibo, di acqua, di gas ed energia elettrica, col rischio costante di ammalarsi di tifo o di morire per la più banale ferita a causa della mancanza di medicinali, esposte ai saccheggi degli “sciacalli”, gravate dal mercato nero, e che affrontavano quotidianamente il pericolo costituito dalla brutalità e dalle fucilazioni sommarie delle SS.


Intanto era fallito anche il progetto caldeggiato dall’Arcivescovo Vettori di far dichiarare Pisa “città bianca”, e perciò ai pisani non restò che attendere, cercando di sopravvivere in attesa del più che certo arrivo degli Alleati incomprensibilmente immobili lungo la riva sud dell’Arno benché per qualche giorno si fosse diffusa l’ottimistica convinzione che costoro avrebbero superato agevolmente e speditamente il fiume.


Ben presto, tuttavia, grazie ai numerosi e misteriosi canali di comunicazione tramite i quali le informazioni filtravano comunque in città, la gente rimasta a Tramontana venne a sapere che gli Alleati, dopo essersi saldamente attestati a sud del fiume, non intendevano per il momento procedere oltre, mentre il diffuso minamento delle case e d’interi quartieri prossimi al fiume rientranti nella cosiddetta zona nera, l’occultamento di pezzi di artiglieria di vari calibri nel centro cittadino, le postazioni di mitragliatrici nei palazzi dei lungarni, stavano a dimostrare che tedeschi della 16° Divisione SS avrebbero opposto resistenza proprio sulle rive dell’Arno.


Fu allora chiaro che la battaglia sarebbe stata condotta secondo la consueta prassi di guerra degli Americani, cioè con il minimo dispendio di uomini e con il massimo impiego di fuoco soprattutto dell’artiglieria.


Preceduto da due giorni di ulteriori attacchi aerei ai ponti, il 17 luglio un turbinio di cannonate cominciò a piovere da Oltrarno sorvolando sia le teste dei tedeschi sia quelle della popolazione intrappolata in città che, però, vedendo esplodere i colpi oltre la periferia nord, si illuse ancora una volta che Pisa non sarebbe stata cannoneggiata.

Invece, dal 23 luglio 1944 la città fu sottoposta al tiro costante delle artiglierie alleate e per sei giorni e sei notti anche la zona compresa tra l’Arcivescovado, il Duomo e l’Ospedale, ritenuta la più sicura, subì un intenso martellamento.

Infatti, convinta che gli Alleati avrebbero risparmiato la zona della Piazza dei Miracoli, molta gente si riversò dapprima provvisoriamente sul prato, dove fu egualmente bersaglio dei proiettili dell’artiglieria fino a quando un gruppetto di cittadini si rivolse all’arcivescovo per chiedergli di aprire il Duomo a chi non poteva contare su altri rifugi al che l’Arcivescovo rispose 1 . La chiesa è vostra disse».


Ritaglio dell’articolo scritto da Gattai e pubblicato nel settimanale diocesano Vita Nova, il 7 ottobre 1964. “Nei giorni più tristi di Pisa la chiesa pisana accolse e difese il popolo terrorizzato” (g.c. Lucia Tomasi e Paolo Tongiorgi).


Due giorni dopo i rifugiati furono folla (circa 500 persone). Eppure, anche in quelle drammatiche giornate vi fu chi riuscì a tenere una singolare quanto inusitata registrazione delle esplosioni in città e in particolare sulla zona del Duomo: Gustavo Cenni.


Ma oltre ai pisani che tardivamente decisero di rifugiarsi nel Duomo e negli altri ambienti della Curia oppure di fuggire sui monti, il libro ricorda anche l’angoscia che attanagliava i gerarchi repubblichini rimasti a Pisa nel tentativo di dare corso alle modalità di trasferimento delle famiglie dei fascisti pisani che avevano deciso di fuggire al nord per salvarsi dalle rappresaglie degli antifascisti (e proprio al nord fu costituta la Brigata Nera pisana di cui l’Autore è riuscito a ricostituire le origini in via del tutto esclusiva).


Accadde così che nel pomeriggio del 27 una gragnola di proiettili si abbatté sulla zona compresa tra l’Arcivescovado e la Chiesa di S. Giuseppe, facendo ancora vittime e, anche se non è stato chiarito quando, un proiettile incendiario sparato dagli americani colpì il tetto del Camposanto Monumentale la cui copertura di piombo si liquefece appiccando il fuoco alla sottostante travatura. In breve tempo le fiamme divamparono distruggendo interamente il tetto dell’edificio mentre il piombo fuso colava come un manto incandescente sulle tombe sottostanti e su parte dei preziosi affreschi. L’opera di spegnimento tentata da alcuni volenterosi – pochi audaci ma impotenti - fu ostacolata dall’ulteriore cannoneggiamento che li costrinse a scendere dal tetto per salvare almeno se stessi. Infatti, il tiro dell’artiglieria si era intensificato perché gli americani, avendo forse osservato il fumo, avevano creduto di avere colpito qualche obbiettivo militare.

E perciò nella stessa notte queste successive esplosioni produssero ulteriori danni all'arcivescovado e a quasi tutte le cliniche dell'ospedale, mietendo nuove vittime.
Con l’arrivo delle SS in città, gli uomini della Resistenza poterono fare ben poco. Va detto che a seguito dei ripetuti bombardamenti aerei, molti membri dei GAP e delle SAP avevano dovuto lasciare la città seguendo le famiglie sfollate altrove. Tutti gli sforzi dei patrioti dipendevano, perciò, da una condizione fondamentale e cioè che la guerra non si fermasse a Pisa per troppo tempo o che, almeno i tedeschi, nella loro ritirata, non avessero libertà di manovra, altrimenti sarebbe stata impossibile qualsiasi operazione importante contro di loro. Ma i morti vi furono egualmente e l’Autore li ricorda doverosamente nel libro.


Giovanni Barsotti, gappista, fucilato in Piazza dei Cavalieri il 2 o il 24 luglio.
Gino Cioni, portiere della fabbrica Marzotto, ucciso l’8 luglio mentre cercava di opporsi al loro ingresso nell’opificio.
Uno sconosciuto che nel pomeriggio del 17 luglio 1944 fu ucciso e legato al cancello della propria casa perché si rifiutava di seguirli.
Vinicio Biagini e un secondo sconosciuto denominato “Il Sardo”, fucilati in Piazza dei Cavalieri, il 24 luglio
Vinicio Rovina, patriota, anche lui sorpreso nel luglio in Piazza dei Cavalieri mentre effettuava un trasporto di armi, e perciò veniva immediatamente fucilato.


Non mancarono, al tempo stesso, gli atti di abnegazione, di coraggio e di umana solidarietà in cui primeggiarono sia i sacerdoti sia numerosi cittadini rimasti anonimi.

Non mancarono neppure i profittatori, i collaborazionisti, i delatori, gli attriti politici e le viltà.

Fame, stanchezza, rassegnazione, fatalismo contrassegnavano il vivere quotidiano e l’unica speranza era che tutto potesse finire prima possibile anche sa sarebbe costato altri lutti e distruzioni.

Perciò quando i tedeschi si ritirano dalla città, si può dire che non se ne accorse nessuno.


1 Cfr. “L’inizio dell’assedio di Pisa da parte delle forze alleate” nel quotidiano Il Tirreno del 24 luglio 1954.

NdR : Se qualcuno dei lettori avesse piacere di parlare con l'autore dei ricordi di famiglia o per altri motivi, può contattarlo al 349/28.56.590.

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