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L'articolo di oggi non poteva non far riferimento alla festa del SS. Crocifisso che Pontasserchio si appresta a celebrare, il 28 aprile.Da quella ricorrenza è nata la Fiera del 28, che poi da diversi anni si è trasformata in Agrifiera, pronta ad essere inaugurata il 19 aprile per aprire i battenti sabato 20.La vicenda che viene narrata, con il riferimento al miracolo del SS. Crocifisso, riguarda la diatriba sorta tra parroci per il possesso di una campana alla fine del '700, originata dalla "dismissione" delle due vecchie chiese di Vecchializia. 

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per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Colori u n altra rosa
Una altra primavera
Per ringraziarti amore
Compagna di una vita
Un fiore dal Cielo

Aspetto ogni sera
I l tuo ritorno a casa
Per .....
Oggi è venuto a mancare all’affetto di tutti coloro che lo conoscevano Renato Moncini, disegnatore della Nasa , pittore e artista per passione. .....
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Sesso, amore, e fedeltà 2
Ovidio Della Croce, Cristina Marinari

21/12/2020 - 9:13

Una storia scritta da Ariosto nel mille e cinquecento. L’autore la fa raccontare a un oste e ci avverte che, anche se si salta, il poema è chiaro. Espediente per invogliare a leggere questa novella erotica. Qui si parla di come un giovane che ama troppo la sua sposa, scoperto il tradimento, non la trafigga con cinquanta sfumature di lame. Per questo è esemplare. Acquerello di Daniela Sandoni.



DUE
 
IL BELL’ASTOLFO


Dunque, ricominciamo. Sì, anche in questa novella c’era una volta un re. Siamo a Pavia dove c’è Astolfo, re longobardo giovane, bello, ricco e potente. Forse anche un po’ vanitoso.
 
“Non stimava egli tanto per l’altezza
Del grado suo d’aver ognun minore;
né tanto che di genti e di ricchezza
di tutti i re vicini era il maggiore;
quanto che di presenza e di bellezza
avea per tutto’ l mondo il primo onore.
Godea di questo, udendosi dar loda,
quanto di cosa volentier più s’oda.”
 
Alla corte di re Astolfo c’era Fausto Latini, un cavaliere romano con cui spesso Astolfo si era fatto bello e si era lodato ora del bel viso, ora della bella mano e a cui un giorno domandò se avesse mai visto un altro uomo così ben fatto come lui. Re Astolfo ricevette da Fausto una risposta inaspettata che suona pressappoco così: Belli come te la mamma non ne fa più, però c’è mio fratello Giocondo che, modestamente, conviene non farlo gareggiare, così tu potrai primeggiare in bellezza su tutti gli altri.
Ca… (scusate, stavamo per scrivere un’espressione volgare)… Caspiterina! risponde Astolfo.
Al re pare impossibile sentire le parole di Fausto, gli viene subito una voglia sfrenata di conoscere questo fratello così lodato e bello e gli chiede di farlo venire a corte. 
A questo punto però Fausto la mena un po’ e dice che suo fratello è un uomo che in vita sua non si è mai mosso da Roma, che Pavia è troppo lontana e soprattutto che è così legato a sua moglie da tanto amore da non poterlo staccare dalla “mugliere… che non volendo lei, non può volere.”
Ma Astolfo, che sa come va il mondo, gli fa “tali offerte e doni / che di negare non gli lasciò ragioni.”
 

GIOCONDO IL BELLO
 
Intanto a Roma c’è Giocondo, quel giovanotto bellissimo-issimo-issimo, in una parola bellissimissimissimo…
Fausto parte e, dopo pochi giorni, arriva a Roma nella casa paterna, sfinisce Giocondo di discorsi e preghiere che alla fine lo convince ad andare da re Astolfo. È abile a tacitare la cognata “proponendole il ben che n’usciria, / oltre ch’obbligo sempre egli avria.” Evidentemente anche la cognata, sotto sotto, sa come va il mondo.
Giocondo fissa il giorno della partenza, trova i cavalli e i servitori, dei vestiti e un bel manto che accrescono la sua bellezza. Sua moglie gli sta sempre intorno, si strugge, con gli occhi “pregni di pianto”, gli dice che non sa come farà a sopportare la sua lontananza e per questo potrà morire.
Be’, anche Giocondo non è mica tanto scemo e le promette di tornare entro due mesi esatti: “né mi faria passar d’un giorno il segno, / se mi donasse il re mezzo suo regno.”
Però la sua sposa non si riconforta, dice che sta via per troppo tempo e che si dovrà meravigliare se al ritorno non la troverà morta. Poi si leva dal collo “una crocetta ricca di gemme e di sante reliquie” che le aveva lasciato suo padre prima di morire, la dà al marito e lo prega di portarla sempre al collo in segno del suo amore.
 
La notte prima della partenza non chiudono mai occhio, la moglie pare morta tra le braccia di Giocondo “e inanzi al giorno un’ora / viene al marito all’ultima licenza.” L’indomani, un’ora prima dell’alba, Giocondo monta a cavallo e parte, mentre la sua sposa ritorna a letto.
“Iocondo ancor due miglia ito non era”… (ito, bello rileggerlo e ricordarsi di qualche nostro caro che un tempo chiedeva: Bimbo, o dove sei ito?) Scusate questo accenno personale, andiamo avanti…  Giocondo non fa neanche due miglia che si accorge di essersi dimenticato la preziosa croce sotto il guanciale. Dice al fratello che deve tornare per forza a Roma e che lui si avvii pianin pianino verso Baccano, un paesello tra Perugia e Orvieto, di aspettarlo lì e di non dubitare che lo avrebbe raggiunto presto. Gira il ronzino e al trotto riprende la strada di casa. Appena arrivato “va al letto, e la consorte / quivi ritrova addormentata forte.”
Tenetevi forte anche voi forti lettori, perché è arrivato il momento di aprire la tenda del baldacchino del letto e… dadadadan!

“La cortina levò senza far motto,
e vide quel che men veder credea:
che la sua casta e fedel moglie, sotto
la coltre, in braccio a un giovine giacea.
Riconobbe l’adultero di botto,
per la pratica lunga che n’avea;
ch’era de la famiglia sua garzone,
allevato da lui, d’umil nazione.”
 
E ora? Povero Giocondo! La prende veramente male. Deh! A prova’… Che falsa! Che str… strega! Non ha perso tempo. Se la fa col garzone, la tr… traditrice impenitente! Chiediamo scusa, ci stavano per sfuggire due male parole. Che farà Giocondo? In ogni caso il Cinquecento era un’epoca di cavalieri innamorati, ma anche di cavalieri violenti che sguainavano le spade e stendevano secco chi osasse mettersi contro di loro o impazzivano e spaccavano tutto come fa Orlando quando scopre l’amore felice della sua Angelica con Medoro. Bando alle ciance e lasciamo la parola a messer Ludovico.
 
“S’attonito restasse e malcontento,
meglio è pensarlo e farne fede altrui,
ch’esserne mai per far l’esperimento
che con suo gran dolor ne fe’ costui.
Da lo sdegno assalito ebbe talento
di trar la spada e uccidergli ambedui;
ma da l’amor che porta, al suo dispetto,
all’ingrata muglier, gli fu interdetto.
 
Né lo lasciò questo ribaldo Amore
(vedi se sì l’avea fatto vassallo)
destarla pur, per non le dar dolore
che fosse colta in sì gran fallo.
Quanto poté più tacito uscì fuore
scese le scale, e rimontò a cavallo;
e punto egli d’amor, così lo punse,
ch’all’abergo non fu, ch’el fratel giunse.”
 
Grande Giocondo! Che forza d’animo! Si accorge che la moglie si consola a letto con un giovane garzone di casa, d’istinto vorrebbe ucciderla, ma l’ama troppo e controlla l’impeto. Di più, non la sveglia neanche per non darle il grande dolore di essere stata colta in “fallo”, per giunta grande, il doppio senso ironico non lo possiamo attribuire con certezza a messer Ludovico. Esce fuori piano senza far rumore, scende le scale, sale a cavallo e “lo punse”, lo spronò, come lui era punto d’amore e parte sconsolato per raggiungere il fratello e andare verso Pavia. Chapeau!

 


La terza puntata martedì 22 dicembre 2020
La prima puntata nella sezione RUBRICHE

 

 

 

Fonte: Acquerello: Daniela Sandoni, Fausto Latini rivela a re Astolfo che suo fratello è bellissimo.
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21/12/2020 - 21:01

AUTORE:
Giusi

Ironico, "fresco", emozionante. Bravi! Acquarelli magnifici.