none_o

Nei giorni 26-27-28 aprile verranno presentati manufatti in seta dipinta: Kimoni, stole e opere pittoriche tutte legate a temi pucciniani , alcune già esposte alla Fondazione Puccini Festival.Lo storico Caffè di Simo, un luogo  iconico nel cuore  di Lucca  in via Fillungo riapre, per tre mesi, dopo una decennale  chiusura, nel fine settimana per ospitare eventi, conferenze, incontri per il Centenario  di Puccini. 

. . . per questo neanche alle 5. 50 prima di colazione. .....
. . . alle nove dopocena non ciai (c'hai) da far altro? .....
. . . il plenipotenziario di Fi, Tajani, ha presentato .....
Ieri 19 Marzo ci ha lasciato un Vs. concittadino Renato .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
IL MARZO DELLE DONNE
none_a
Calci
none_a
Piazza Giuseppe Garibaldi, 56019 Vecchiano PI, Italia
none_a
Locri 22-25 marzo
none_a
Marina di Pisa, 24 marzo
none_a
Il sole nutre
col suo splendore
il croco il bucaneve
la margherita. . .
Il cuore
cancella il dolore
se alimentato dall'amore
essenza della vita
Quando .....
Oggi è venuto a mancare all’affetto di tutti coloro che lo conoscevano Renato Moncini, disegnatore della Nasa , pittore e artista per passione. .....
none_o
Dante, Ugolino e il Monte Pisano
di S. Petri e S. Benedetti

28/2/2021 - 10:45

Due settimane fa abbiamo preso in considerazione, attraverso alcuni aspetti letterari della Divina Commedia, storici e geografici, quello che viene chiamato il Passo di Dante.
Sul discorso storico si è detto che ovviamente era un'altra storia. Però credo sia importante, per chi è interessato, saperne di più rispetto a quanto, in maniera spesso superficiale, viene raccontato dal nozionismo scolastico.
Per far ciò, ho coinvolto Stefano Benedetti, profondo conoscitore della storia del territorio e delle opere di Dante, ma anche in grado di farci capire quelli che furono i retroscena (oggi si direbbe il backstage) delle vicende dell'epoca e anche dei pensieri e sentimenti che Dante probabilmente aveva nello scrivere le sue celebrate terzine.
Un modo per sentire più vicino e capire l'uomo, oltre che l'autore del più grande capolavoro letterario. E un modo per conoscere meglio gli eventi di secoli fa.
Per provare a dare un'immagine in grado di rappresentare quanto Dante descrive, al di là delle canoniche illustrazioni della Divina Commedia, c'è il dipinto, datato 1817, di Giuseppe Diotti da Cremona, pittore neoclassico.
Una faccia fissa immobile del Conte che rende la sofferenza impotente e disperata, tutta interna.  A contrasto con i figli dilaniati dalla morte che invece lottano con il corpo.
Ed ecco quanto ci racconta Stefano su Dante, Ugolino e il Monte Pisano:
A Pisa, in Piazza dei Cavalieri, proprio a fianco della Scuola Normale, c’è il Palazzo dell'Orologio.
A sinistra dell’arco sottostante, c’è una parete di mattoni grezzi e una lapide che ricorda che proprio lì, un tempo, sorgeva la Torre della Muda, per un tristo evento poi denominata Torre della Fame.
La Torre, appunto, associata al Conte Ugolino della Gherardesca, il più famoso cannibale di tutti i tempi.
Anche se poi veramente cannibale non fu.
Tutta colpa di Dante Alighieri!
Dante, gli tira un bello scherzetto al nostro pisano, (Dante non ci amava troppo, non dimentichiamoci la sua famosa immortale invettiva contro la nostra città), facendolo passare alla storia, a torto, come il divoratore dei propri figli.

“La bocca sollevò dal fiero pasto
quel peccator, forbendola a' capelli
del capo ch'elli avea di retro guasto.”

Dopo la Terzina iniziale della Commedia, quella del "mezzo del cammin di nostra vita", quest’altra terzina è certamente la più conosciuta a livello popolare e la più declamata in assoluto da sempre.
Siamo nel XXXIII dell'Inferno, dove immersi nella "ghiaccia" del Cocito, stanno i traditori della Patria e qui il nostro Conte entra in scena ed inizia a raccontare la sua storia, sospendendo per un attimo il fatto che stava addentando la nuca dell'Arcivescovo Ruggeri, suo nemico in città e figura altrettanto famosa del tempo.
Il Conte non ci racconta affatto però delle sue peripezie politiche in quel di Toscana, anzi ne è totalmente disinteressato, ma ci narra i suoi ultimi giorni di vita, rinchiuso con i suoi quattro figli (che poi erano due figli e due nipoti) nella torre della Fame, dove fu segregato, murate le porte, gettate le chiavi in Arno e lasciato morir di inedia insieme a loro.

“Quando fui desto innanzi la dimane,
pianger senti' fra 'l sonno i miei figliuoli
ch'eran con meco, e dimandar del pane”

La fame arriva e arriva anche il terrore assoluto, la certezza che quella porta non sarà più aperta e la morte diventa in lui una realtà spaventosa ma lenta, lentissima a sopraggiungere e il Conte a questo punto fa un gesto di disperazione che i figli male interpretano:

“ambo le man per lo dolor mi morsi” 

E i figli, ancora rispettosi del padre, pensato che avesse fame, con parole estreme lo invitano a cibarsi dei loro corpi e dissero:

"Padre, assai ci fia men doglia
se tu mangi di noi: tu ne vestisti
queste misere carni, e tu le spoglia"

Nei giorni seguenti poi morirono ad uno ad uno e a questo punto il Sommo Poeta piazza la stoccata finale, il coup de théâtre contro il Conte, e inserisce un endecasillabo eloquente e mirabolante quanto ambiguo che marchia per sempre la figura di Ugolino:

“Poscia, più che 'l dolor, poté 'l digiuno"

Dante, con uno dei suoi molteplici  giochi d'artificio, ci dice e non ci dice.
E commentatori attenti vanno subito ad intercettare questa volontà di ambiguità che ci lascia coinvolti o in un senso o nell'altro senza esprimere un giudizio preciso.
E' certo che il verso non dice chiaramente che il digiuno trasformò la fame in follia antropofaga, ma forse più verosimilmente dice che il colpo finale della morte lo dette, più che il dolore di veder morire i figli, lo dette la fame stessa! 
Ma la credenza popolare supera la verità storica e il fatto bolla per sempre un padre che in circostanza estrema si cibò del corpo dei figli ormai deceduti.
Ma non fu così affatto.

Anzi, il Conte Ugolino, per tutto il Canto, resta impavido alla orribile pena infernale che lo attende e totalmente insensibile, sordo, rispetto alla colpa di cui si è macchiato e per questa si trova in questo luogo infernale.
Per tutto il tempo, però, non si arrende, da padre, all’ingiustizia alla quale non lui soccombe, ma soccombono i suoi figli adolescenti che scontano con lui una condanna non loro, una eterna ingiustizia.

“ahi dura terra, perché non t'apristi?”

Nel lamento cosmico del padre Ugolino escono fuori tutti i lamenti di tutti i padri (chi è padre lo sa bene…), compreso il lamento del padre Dante Alighieri di fronte alla giustizia della Firenze del tempo, che condannò a morte in contumacia lui stesso già in esilio (che mai più ritornò nella sua città) e ad ugual pena i propri figli appena divenuti maggiorenni.
Ed è molto probabile (e Dante scrive gli ultimi canti dell’Inferno, proprio a ridosso di quella infamante condanna) che il reale atteggiamento del poeta sia esattamente quello di intima sublimazione di una sua concreta paura tangibile, prendendo a pretesto la cronaca pisana del tempo, di un Conte suo contemporaneo, ma molto più vecchio di lui, che morì quando il poeta aveva solo 24 anni.

Celebre tra questi versi, la citazione del “nostro” monte, del monte alle spalle di San Giuliano Terme appunto il monte che non permette ai pisani di poter vedere Lucca.
Apparentemente la citazione che fa Dante, in relazione all’ultimo terrificante sogno di Ugolino, appare inconsueta, se non del tutto decontestualizzata, in quanto il parlare qui di Lucca risulta fuori logica rispetto all’argomento trattato nel Canto.
Noi sappiamo però che Dante era un profondo conoscitore di tante terre, compresa la nostra, per vari motivi.
Ad esempio Dante fu presente nel 1289 a Caprona (e la cita espressamente in un altro Canto) nell’assedio vittorioso dei fiorentini verso il popolo pisano e poi  trova, tra l’altro, nella nostra città un forte contenuto affettivo, in quanto vi è sepolta in Duomo la sua grande speranza e il suo grande abbaglio, ovvero Arrigo VII Imperatore, condottiero sul quale Dante ripose le sue speranze (ahimè mancate) di salvatore della patria italica.
Ma la fondatezza della sua affermazione, in virtù del fatto che i pisani non potessero vedere Lucca, può risiedere nel fatto che questo fosse, diciamo, un luogo comune, un racconto popolare del tempo, correlato al fatto che invece i lucchesi potessero vedere Pisa dai loro territori.
Vederla da dove?
Dalla cima della più alta delle due torri tuttora esistenti a Nozzano, che attraverso la scesa del Serchio, sfiorando di pochi metri la Rocca di Ripafratta, (a soli 12,6 km in linea d’aria) consente di vedere la Torre di Pisa, torre che in epoca Dantesca era già esistente ma non del tutto completata. Infatti mancava solo l’ultimo piano, appunto la torre campanaria, che fu costruita solo nella generazione successiva alla morte di Dante.

Una bella sfida a 360 gradi ci pone Dante in ogni luogo dove mette le mani, dove fa poesia, e noi ne restiamo incantati e accettiamo ogni sfaccettatura compreso quella del nostro monte, dove si trova il Passo di Dante, appunto.

Rimane però il fatto, che una sofferenza così grande come quella dilaniante e immensa che ci esprime Ugolino in quella sua ultima giornata è meglio resti per sempre chiusa in una torre maledetta che non c'è più.

Grazie Dante che sai essere con noi in ogni emozione.



+  INSERISCI IL TUO COMMENTO
Nome:

Minimo 3 - Massimo 50 caratteri
EMail:

Minimo 0 - Massimo 50 caratteri
Titolo:

Minimo 3 - Massimo 50 caratteri
Testo:

Minimo 5 - Massimo 10000 caratteri

4/3/2021 - 13:31

AUTORE:
didimo

Vorrei dare anch’io un piccolo contributo a questo interessante dibattito.


E’ necessario però fare una breve premessa: per ben comprendere i testi medioevali e specialmente gli scritti di Dante occorre trovare una chiave di lettura, un metodo, per cercare di svelare il significato di ciò che il poeta voleva dirci.
Tale metodo è il metodo di lettura allegorica dei testi.
Questo metodo venne sistematicamente applicato già nei primi secoli del Medioevo, in particolare si afferma l'uso di individuare quattro specifici livelli di senso, sia per i testi sacri, sia per i testi letterari.
E’ il teologo Tommaso d'Aquino a catalogare questi sensi, ripresi da Dante Alighieri ne Il Convivio.
Dante scrive:
“Per chiarire quello che si dirà, bisogna premettere che il significato di un'opera è polisemico, cioè con più significati. Il primo va preso alla lettera (significato letterale), l'altro è la verità di quello preso alla lettera (allegorico)...”. “Il soggetto di tutta l'opera, presa letteralmente, è lo stato delle anime dopo la morte [...] Se poi l'opera la si prende allegoricamente, il soggetto è l'uomo secondo che meritando o demeritando per la libertà d'arbitrio è soggetto alla giustizia del premio o del castigo [...]”.
Questa è la chiave che lo stesso Dante ci suggerisce di seguire. Per comprendere la pluralità dei quattro livelli di lettura di un testo dobbiamo partire dal presupposto che la visione medioevale del mondo era di natura simbolica, cioè ogni aspetto mondano non ha un unico significato come è nella visione moderna della realtà, ma rimanda sempre a qualcos’altro, cioè a un significato che va al di là delle apparenze, a un qualcosa che va verso il mondo del trascendente.
I quattro livelli di compressione sono:
- Il livello letterale, che riguarda il significato di superficie della narrazione, la “fabula” o “novella”.
- Il livello allegorico, è quello che rimanda ad un altro significato, collegato al senso letterale da un rapporto analogico (Es. in Dante la Lonza corrisponde alla frode, il Leone la violenza, la Selva oscura incarna il buio del peccato e lo smarrimento dell’essere umano, assuefatto dal piacere dei sensi, la diritta via, invece, simboleggia la salvezza, la retta via spirituale da seguire).
- Il livello morale, cioè si intende ricavare dai fatti raccontati un modello di comportamento, un’idea di bene e di virtù, un insegnamento morale (es. il fallimento della spedizione di Ulisse che ci mostra che la sapienza da sola non è sufficiente a raggiungere la beatitudine e la vita eterna.
- Il livello anagogico (da anà, in alto; agogico, portare) rimanda alle verità teologiche più elevate (Es. il mistero della trinità rappresentato dalla visione dei tre cerchi che si intersecano nell'ultimo canto del Paradiso).
Il merito di Dante, oltre alla bellezza sonora delle terzine, risiede nella sua capacità di trasmettere questo complesso e artificioso meccanismo di significati con versi di elevatissima poesia che restano scolpiti, ancora oggi, nel cuore di chi legge.

Ma torniamo al canto XXXIII .

Nato a Pisa da antica e nobile famiglia, Ugolino era per tradizione familiare di parte ghibellina, ma, ancora per ragioni familiari, passò su posizioni guelfe, alleandosi con il genero Giovanni Visconti contro il comune nemico costituto dalla ghibellina Genova.

Ugolino ottenne dapprima alcuni successi militari, ma il 6 agosto 1284, durante la battaglia della Meloria, la flotta pisana fu tragicamente sconfitta dalle navi genovesi. Una manovra sospetta delle navi di Ugolino, che poteva sembrare un abbandono delle acque dello scontro, gli procurò l'accusa di tradimento.
Nonostante l'accusa, l'anno successivo Ugolino fu nominato capitano del popolo e in collaborazione con il nipote Nino Visconti di parte guelfa, avviò un programma di riforme a vantaggio soprattutto dei ceti meno privilegiati, non intaccando tuttavia l'indirizzo prettamente ghibellino della politica pisana.
Incrinatosi l'accordo con il nipote, Ugolino non reagì quando l'arcivescovo Ruggieri degli Ubaldini, capo del partito nobiliare e ghibellino, riuscì nel 1288 a scacciare Nino da Pisa. Sicuro di riconquistare il suo preminente ruolo politico, Ugolino tentò di ristabilire l'accordo con il partito ghibellino, ma nel 1289 l'arcivescovo lo fece arrestare e rinchiudere con i figli ed i nipoti nella torre dei Gualandi a morirvi di fame.

L'orrore che Dante prova e che vuole suscitare, con espressioni che volutamente inducono a pensare ad una certo irreale antropofagia, è rivolto alla crudeltà della lotta politica del suo tempo, è la reazione non al singolo evento, ma a tutta una classe politica che andava invischiandosi sempre più nell'odio di parte, nei tradimenti, nelle vendette tanto crudeli quanto meschine.

La morte di Ugolino diviene così, non la fine di un avversario politico, ma la tragedia di un padre costretto a veder morire impotente i suoi figli senza neppure morire per il dolore ma solo, per la fame ("Poscia più che 'l dolor, potè 'l digiuno" Inf. XXXIII, 75).

Nella tragedia di Ugolino, peccatore nell'odio di parte e vittima nell'affetto di padre, echeggia la tragedia più grande di un modo di fare politica che offende l'umanità delle persone.

Dante altera parzialmente la verità storica dell'episodio, poiché Ugolino fu, sì, imprigionato coi due figli Gaddo e Uguccione e i due nipoti Anselmuccio e Nino, detto il Brigata, ma, di questi solo Anselmuccio era quindicenne, mentre gli altri erano adulti e Nino dedito a omicidi e atti criminali.
Il suo intento non è ovviamente quello di risarcire Ugolino dell'ingiustizia subita, né di muovere a compassione con un racconto patetico, quanto piuttosto stigmatizzare attraverso la vicenda del conte le lotte politiche che dilaniavano le città del suo tempo e tra cui Pisa spiccava per la sua crudeltà. Se forse era giusto condannare a morte Ugolino per il sospetto di tradimento dovuto alla cessione dei castelli a beneficio di Firenze e Lucca, ingiusto e crudele era stato uccidere con lui i figli innocenti per la giovane età e la cui terribile morte accrebbe la pena già atroce cui fu sottoposto Ugolino; sullo sfondo c'è probabilmente anche l'ingiusta condanna all'esilio che lo stesso poeta aveva subìto nel 1302 e che aveva coinvolto i suoi figli costretti a seguirlo, innocenti come i figli di Ugolino in quanto estranei alle accuse (peraltro false) mosse da Firenze al loro padre.
Dante tratteggia dunque una tragedia a tinte fosche e con un tono lirico ed elevato, la giovane età dei figli del conte è funzionale a questa rappresentazione ed è come una sorta di contrappasso per Ugolino già in vita, poiché egli aveva tradito politicamente la propria patria e ora, nella prigionia, deve assistere impotente alla morte dei figli (la parola «patria», del resto, deriva proprio dal latino pater, quindi il conte aveva tradito la città di cui era figlio).
Dante riserva all’arcivescovo Ruggieri un “disprezzo” forse maggiore rispetto a quello provato verso il conte Ugolino, si nota nei versi (“Tu dei saper ch’i’ fui conte Ugolino, e questi è l’arcivescovo Ruggieri “Inf. XXXIII, 13), dove il verbo che presenta il conte è al passato “fui”, mentre quello che presenta l’arcivescovo è al presente “è” e questo per dire che la carica di conte, con il suo peccato, è una investitura terrena che si esaurisce con la morte, mentre la carica di arcivescovo, carica divina, resta in eterno e questo accresce ancora di più la gravità della colpa di cui si è macchiato l’arcivescovo Ruggieri.

3/3/2021 - 15:56

AUTORE:
Ultimo

............ condannato ed esaltato il suo tempo e i suoi contemporanei con una potenza poetica e fantasia straordinarie e ineguagliate. Si è eretto a giudice dei suoi tempi con la faziosità che è in tutti noi ....... ma essere giudice imparziale non è umano. .......... Con le Sue rime endecasillabe ha condannato i nemici ed esaltato gli amici di parte ......... con efficacia straordinaria che solo " il Sommo Poeta " poteva fare. ............. Ultimo

2/3/2021 - 21:53

AUTORE:
gio'

Sono pienamente d’accordo!
mi scuso se ho dato l’impressione di svalutarne la figura decifrandola con logiche ordinarie!

il sommo poeta è un gigante della letteratura, un precursore della parola scritta e parlata, un uomo sovrumano dello spirito, un politico di grande impegno civile, una coscienza lucida quando altri brancolavano nel buio, un visionario potente. un uomo di passioni e di fede!

Rende onore alla Toscana e all’Italia tutta!

Tuttavia qualche difetto e qualche scivolone, rendono il suo profilo ancora piu’ nitido rivelando contraddizioni e incoerenze proprie di ogni grande personaggio, stagliandone uno spessore maggiormente apprezzabile---

2/3/2021 - 20:46

AUTORE:
Stefano Benedetti

Vero, Gio.
Non voglio sottovalutare le tue parole ma il quadro dantesco e’ troppo più ampio di una lotta ghibellina.
Egli e’ un uomo del suo tempo, ma la sua poesia no.
Lui segue una logica che solo apparentemente e’ legata a fatti e eventi contemporanei, ma basata su piani ben più ampi. Su livelli non solo linguistici ben più rilevati. Il significato di ciò che dice non e’ ciò che scrive.
Il suo concetto di storia, di mito, di cronaca, sono originali a se’.

2/3/2021 - 10:29

AUTORE:
gio'

Dante esalta e ingigantisce la figura di Ugolino , in quanto nemico, per rivendicare con maggior enfasi, onori e gloria a Firenze, principale implacabile avversaria della rep. marinara.

IMPLICITO l’amore per Firenze, ma esplicito il rancore , odio verso Pisa, quando sbraca:

Ahi Pisa, vituperio de le genti del bel paese là dove 'l sì suona, poi che i vicini a te punir son lenti, muovasi la Capraia e la Gorgona, e faccian siepe ad Arno in su la foce, sì ch'elli annieghi in te ogne persona! Che se 'l conte Ugolino aveva voce d'aver tradita te de le castella, non dovei tu i figliuoi porre a tal croce.

In una toscana, quasi interamente guelfa, spiccava l' orgogliosa PISA GHIBELLINA, alleata di Siena, e le infinite trame e complotti, delle diverse fazioni, atomizzate sul campo....

Nel resto d’Italia , invece, l’influenza culturale, economica e commerciale, della cita Alfea, veniva concretizzato quagliando nell’immaginario collettivo lo stereotipo dei “ladri di Pisa...” che litigano fra loro di giorno e vanno a rubare insieme la notte..

2/3/2021 - 6:43

AUTORE:
Stefano Benedetti

Ringrazio Gio per questa chiara precisazione sull’aspetto politico di Ugolino, che comunque rimane per Dante in Inf. XXXXIII del tutto marginale.
Mi compete però ricordare che Farinata, purtroppo, non sta in Purgatorio affatto, ma proprio dentro una bella tomba infuocata in Inferno. E’ però vero che comunque la pena di Farinata appare quanto meno “stravisata” da Dante. Non lo condanna infatti per motivi politici (e avrebbe avuto a disposizione vari luoghi dove piazzarlo) ma lo mette tra gli Eretici (in particolare tra i seguaci di Epicuro) dentro una tomba ad ardere per l’eterno. E questo denota un fatto, ovvero che Dante in qualche maniera rimane spiazzato dalla sua sistemazione poetica del suo grande rivale ghibellino (Farinata però mori’ un anno prima che Dante nascesse) affidandogli una pena chiamiamola “laterale” e non infierendo su una pena politica. Stessa operazione che il Sommo farà con Ulisse sedici canti dopo Farinata nel XXVI dell’Inferno.
Rimane spiazzato in quanto, nella sua poesia concederà molte cose al suo “nemico di parte” Farinata, per un motivo semplice: condividono entrambi un grande Amore. Fiorenza.

28/2/2021 - 20:49

AUTORE:
GIO'

Figura tragica, ma di grande spessore storico ed umano, ll Conte Ugolino, mantiene nella descrizione di Dante, una sua grandezza ed una dignità di rilievo, che gli derivano in parte dal ruolo politico e di governo della città di Pisa, e forse in parte dal desiderio dEL SOMMO POETA DI accrescerne la figura, in quanto nemico (non ancora )definitivamente sconfitto, come la repubblica ormai ex marinara, dopo la Memoria, che pero. riuscirà a farsi ancora temere a terra, da fiorentini e lucchesi.

in realtà’ il conte , sarà accusato dai contemporanei concittadini di pavidità in battaglia o addirittura intesa con il nemico, quando ritirerà la squadra navale dal teatro delle operazioni causandone la sconfitta.

in seguito alla sconfitta assumerò grande responsabilità di governo, speculando sulla disfatta, e verra defenestrato, quando adotterà atteggiamenti morbidi e remissivi con Lucca.

l’accusa principale quella di aver ceduto in mani rivali la rocca di San Paolino a Ripafratta, ed altri territori costieri a Pietrasanta.

in pratica Ugolino per interesse personale sacrifico’ ed accelerò il declino pisano, bn lungi da essere irreversibile.

negli anni successivi, Pisa sorniona , eserciterà grande influenza a Lucca, e le sue armate assedieranno a più riprese Firenze, che sconfitta insieme ai senesi , al punto di aver bisogno dell’aiuto di Farinata, degli Uberti, per non essere rasa al suolo. che ne perdonerà la causa con fervore facendola risparmiare, alla dieta ghibellina di Pistoia,


Non a caso Dante raffigura Farinata in purgatorio e non. all’inferno. sdebitandosi per gratitudine.



La città gigliata, dovrà’ aspettare il 1400 per occupare Pisa con l’inganno, e il primi anni del 500, con l’aiuto degli eserciti di mezza Europa per averne definitivamente ragione.

la rocca in quegli anni, passera’ ai fiorentini, che la ristrutturano in funzione anti lucchese, adeguandola con il San Gallo, e pare un primo periodo di interesse di Leonardo, ingegnere militare a Firenze, per qualche tempo.