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L'articolo di oggi non poteva non far riferimento alla festa del SS. Crocifisso che Pontasserchio si appresta a celebrare, il 28 aprile.Da quella ricorrenza è nata la Fiera del 28, che poi da diversi anni si è trasformata in Agrifiera, pronta ad essere inaugurata il 19 aprile per aprire i battenti sabato 20.La vicenda che viene narrata, con il riferimento al miracolo del SS. Crocifisso, riguarda la diatriba sorta tra parroci per il possesso di una campana alla fine del '700, originata dalla "dismissione" delle due vecchie chiese di Vecchializia. 

. . . non é certo colpa mia e dello mondo difficilerrimo .....
. . . anche te racconta che c'entrano i voti del 1978, .....
. . . . chiebita perché l'acqua calda la scoperse .....
Salutoni a Bruno e al suo fido fiorentino
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Di Gavia
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di Michelle Rose Reardon a cura di Giampiero Mazzini
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di Mollica's
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Di Siciliainprogress
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Colori u n altra rosa
Una altra primavera
Per ringraziarti amore
Compagna di una vita
Un fiore dal Cielo

Aspetto ogni sera
I l tuo ritorno a casa
Per .....
Oggi è venuto a mancare all’affetto di tutti coloro che lo conoscevano Renato Moncini, disegnatore della Nasa , pittore e artista per passione. .....
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Dai ponti al mare: Il Serchio e la guerra.

3/10/2021 - 18:13


La pattuglia delle S.S entrò in casa senza chiedere permesso e con le armi spianate. Mia madre mi prese velocemente in braccio, non tanto per paura che i tedeschi mi facessero del male, ma perché non chiamassi e cercassi babbo. Mia nonna cominciò a farmi boccacce e sberleffi passandosi velocemente la punta delle dita della mano sul labbro  inferiore  per produrre quella lunga modulazione di blè-blè-blè che ha sempre fatto ridere tutti i bambini.
Sono stato benedetto per anni dai miei genitori per non aver alzato la testa o il ditino al cielo per indicare dove avevo visto andare mio padre che stava sudando freddo, nascosto nel controsoffitto di legno, scrutando con occhi dilatati la scena che si svolgeva sotto di lui incorniciata e concentrata nella fessura fra le tavole dell'impiantito. Le due donne continuavano a baloccarmi incuranti di quel guazzabuglio di parole gutturali e incomprensibili dette in una lingua che era peggiore di un litigio fra barrocciai anche nel recitare poesie d'amore. 
Non avendo trovato quello che interessava loro, uomini vecchi o giovani da mandare ai lavori forzati, e avendo forse capito anche quello che mia madre farfugliava circa un uomo di casa "kaputt", se ne andarono portandosi via comunque un maschio nelle sembianze del pollo che stava cuocendo nella pentola sulla stufa a legna.
In quell'occasione i tedeschi rastrellarono una ventina di migliarinesi, altrettanti giovani dei paesi vicini e si incolonnarono verso Lucca, dove mio nonno si trovava già internato in un campo di lavoro.
Dopo pochi giorni furono trovati due soldati tedeschi nella Traversagna, coperti di fango e ciuffi di cannelle e scattò allora la decimazione. Dieci a uno era la rappresaglia tedesca per le loro perdite. Si cominciava a contare da un punto della lunga fila di uomini strappati a casa e lavoro e il numero dieci usciva per formare il gruppetto degli olocausti, fino ad arrivare a vendicare, per dieci, le loro vittime. 
Quella volta due erano stati i loro morti e venti sarebbero stati i giovani paesani che dovevano morire per pareggiare i conti.
Alcuni furono messi in fila sull'argine del Serchio, vicino alla chiesa, e un gruppetto di quattro o cinque tedeschi cominciò a sparare a mitraglia da destra a sinistra e da sinistra a destra.
Caddero tutti sulla cima del terrapieno, rotolando chi in golena chi verso il paese e furono lasciati a monito per la popolazione che assisteva piangendo da lontano. Fra i caduti c'era anche il fratello di mio nonno Marino, Aristide detto Cunde, che la fatalità aveva messo in fila con gli altri proprio mentre stava accudendo all'orto, quel pezzetto di terra lavorata sul fiume, vicino al ponte e strappata a canne ed erbacce. Ora si trovava sull'argine, pensando alla Giorgia, ai figli che non avrebbe più visti, alle bevute con gli amici che non avrebbe più fatte al fresco del noce di Ugo, ai fagioli che stavano nascendo e che non aveva fatto in tempo ad incannare e gli vennero meno le forze.
Era il momento esatto al millesimo di secondo dell'uscita della pallottola tedesca a lui destinata e che gli passò un pelo sopra perdendosi verso Metato. 
Quando si riebbe, vide cento occhi pieni di lacrime di dolore sopra di lui, ma ce ne erano due che piangevano di gioia. Sua moglie gridava al miracolo, le altre al massacro e da allora, ogni anno fino alla morte, nell'anniversario dell'eccidio mentre gli altri andavano a pregare in chiesa, Cunde andava all'osteria della Luigina a prendere una sbornia che durava due o tre giorni.
Il fronte americano arrivò da Pisa, l'avanguardia si fermò in Albavola sentendo sparare dalla parte di Migliarino e i radiotelefoni made in USA riferirono di una resistenza tedesca di là dal Serchio. Furono invitati i cannoni fermi in Campaldo ad alzare il tiro, furono avvisate le fortezze volanti di far piovere bombe a dieci miglia da Pisa, verso nord/ovest e il tedesco in bicicletta continuava a correre pedalando da Migliarino a Nodica, sparando ogni venti metri una scarica di Mauser. Quel povero soldatino, che ormai faceva più pena che rabbia, abbandonato dalla truppa che era fuggita a Lucca, tenne fermo l'esercito americano per due giorni. 
Nessuno dei migliarinesi si avventurò di là dal fiume per dire ai nuovi alleati cosa stava succedendo, nessuno fermò quel soldato anche se tutti avevano amici o parenti da vendicare, ma stavano tutti ad aspettare alla napoletana; il destino era quello e sarebbe stato quello che Dio avrebbe voluto. Cascò la chiesa sotto le bombe americane, il ponte sull'Aurelia, quello della ferrovia, decine di case, ma erano macerie di libertà.
Vicino a Metato, nei campi che andavano verso Pisa, gli americani costruirono un campo d'aviazione che non usarono mai e tantomeno noi, che di aerei ne avevamo pochi. Il luogo ha mantenuto il nome di "campo", tralasciando la specificazione ed anzi accentuandone sempre di più il significato dato l'abbandono e l'incuria in cui versò. Alla fine della guerra poi la fatalità volle che fosse luogo di raccolta di chi la guerra aveva sofferto di più e divenne allora "campo di profughi", meglio detto “le baracche”. Poco prima che gli alleati costruissero l’aeroporto, quando il luogo era un vero campo d'erbe dove le donne di paese andavano a raccogliere quelle buone da far lesse e vi volavano prispole e allodole, uccelletti amanti degli spazi aperti, pure un Messerschmitt sorvolò quello che le male informate spie avevano dato come un luogo da bombardare. 
Veleno stava tagliando pari terra una giovane cicerbita e alzò la testa per vedere che aereo fosse quello che passava cosi basso. Una scheggia di una granata dirompente gli tagliò di netto la testa che rotolò nel cesto, anche se non nobile come quelle francesi del 1789. La Miccina, sua moglie, non vedendolo ritornare per l'ora di pranzo, gli andò incontro e, trovatolo in quello stato, alzò le braccia al cielo e urlò:
"Meno male, che ‘un è stato preso in piena faccia che sennò me lo sfiguravano ir mi' Veleno!"
Alla inizi degli anni ‘50 (esattamente 1959) il “campo“ venne incendiato dalle autorità pisane e gli occupanti furono mandati in case popolari nei paesi di San Giuliano e di Albavola.

 

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