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L'articolo di oggi non poteva non far riferimento alla festa del SS. Crocifisso che Pontasserchio si appresta a celebrare, il 28 aprile.Da quella ricorrenza è nata la Fiera del 28, che poi da diversi anni si è trasformata in Agrifiera, pronta ad essere inaugurata il 19 aprile per aprire i battenti sabato 20.La vicenda che viene narrata, con il riferimento al miracolo del SS. Crocifisso, riguarda la diatriba sorta tra parroci per il possesso di una campana alla fine del '700, originata dalla "dismissione" delle due vecchie chiese di Vecchializia. 

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per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Colori u n altra rosa
Una altra primavera
Per ringraziarti amore
Compagna di una vita
Un fiore dal Cielo

Aspetto ogni sera
I l tuo ritorno a casa
Per .....
Oggi è venuto a mancare all’affetto di tutti coloro che lo conoscevano Renato Moncini, disegnatore della Nasa , pittore e artista per passione. .....
di Umberto De Giovannangeli su Riformista (a cura di Bruno Baglini red VdS)
“Aiutare Kiev è di sinistra, il nostro popolo non è stato tradito”, parla Gianni Cuperlo

17/4/2022 - 0:03

Il conflitto Russia-Ucraina
“Aiutare Kiev è di sinistra, il nostro popolo non è stato tradito”, parla Gianni Cuperlo
Umberto De Giovannangeli — 16 Aprile 2022

Facendosi “interventista”, votando l’aumento delle spese militari, “sposando” l’economia di guerra, la sinistra ha negato, cancellato, se stessa. L’articolo per Il Riformista di Donatella Di Cesare ha creato dibattito, suscitato polemiche, fatto schierare. E questo è già un risultato importante. Ne discutiamo con Gianni Cuperlo, presidente della Fondazione Pd.
Sostiene Donatella Di Cesare in un articolo per “Il Riformista”: “Non era mai avvenuto che il popolo di sinistra si sentisse così tradito nei propri più alti ideali da coloro che hanno promosso una politica militarista. Prima hanno deciso l’invio delle armi, poi hanno votato l’aumento delle spese militari, ora sponsorizzano un’economia di guerra”. Siamo a questo punto?

Donatella Di Cesare è una filosofa che ha affrontato domande di fondo sulla modernità. Le domande aiutano a pensare, le risposte sono necessarie per agire. Oggi dissento da quella sua critica perché mi pare rimuova proprio la domanda su cosa si è consumato negli oltre cinquanta giorni che ci separano dall’invasione dell’Ucraina. Se aggiriamo questo interrogativo può accadere che le risposte, anche quelle in capo alla politica o al Pd, vengano lette per ciò che non sono. Per capirci, io non penso che abbiamo “promosso una politica militarista”. Dinanzi a un paese sovrano con un governo legittimo invaso militarmente da un esercito straniero abbiamo riconosciuto quel “diritto naturale” alla difesa che è scolpito nella Carta delle Nazioni Unite. In questo senso non credo neppure che abbiamo “tradito” il popolo di sinistra nei “suoi più alti ideali”. Penso che sostenere una lotta di libertà che resiste alla sopraffazione di chi vuole annettersi un paese negando la sua stessa natura (“l’Ucraina non esiste”) corrisponda alla difesa di quei valori che distinguono la sinistra da concezioni autoritarie.
L’invio delle armi: non è stato un errore?

Sull’invio di armi si è discusso e si discuterà. Ascolto e ho rispetto per chi teorizza e soprattutto pratica un pacifismo integrale. Il punto è che nei crocevia della storia la politica è chiamata a prendere delle decisioni salvo che non si scelga a priori di chiedere agli ucraini di prendere atto della sproporzione di forze e in conseguenza di arrendersi, ma quella per me sarebbe la sconfitta dei valori costitutivi di uno stato di diritto e della democrazia. Detto ciò inviare armi alla resistenza ucraina non può avere come scopo una vittoria militare “in battaglia” per citare le parole, a mio avviso sbagliate, dell’Alto Commissario per la politica estera, Josep Borrell. L’idea che questo conflitto si prolunghi sino a sancire un vincitore e uno sconfitto può solo generare una tragedia maggiore e una carneficina. Per questo anche il sostegno militare al pari delle sanzioni a Mosca, degli aiuti umanitari e dell’accoglienza di milioni di profughi aveva e ha l’obiettivo di indurre Putin a recedere dalla strategia sciagurata che ha seguito sino qui.

Resta il capitolo delle spese militari come prospettiva a medio e lungo termine.Bisogna fare chiarezza: l’Italia ha sottoscritto un impegno al vertice dell’Alleanza Atlantica nel 2014 in Galles, da quel momento tutti i governi lo hanno confermato. Parliamo dell’obiettivo del 2% della spesa militare sul Pil entro il 2024 ora spostato al 2028. Ma il punto di sostanza è a cosa debbono servire quelle risorse. Di un sistema comune di difesa e sicurezza si parla dai primi anni Cinquanta e allora furono i francesi a bloccare tutto. Oggi sommiamo 27 eserciti, 23 aviazioni e 21 forze navali. Chiarire a quale modello di difesa tendiamo implica razionalizzare una spesa che, sommando i bilanci dei 27 paesi dell’Unione, è oggi tre volte e mezza l’analoga voce di bilancio della Federazione Russa. La via non è spendere di più in armi sempre più potenti, ma spendere meno e meglio razionalizzando gli investimenti in essere.
Il variegato mondo pacifista, in tutte le sue articolazioni cattoliche, progressiste, di sinistra, ha fortemente criticato l’aumento delle spese miliari deciso dal Governo e votato a larghissima maggioranza dal Parlamento. Le chiedo: decidere di sostenere, anche con armamenti, la resistenza dell’Ucraina all’invasione russa comportava in automatico il portare, sia pure diluito nel tempo, al 2% del Pil le spese militari?Rispondo di no e aggiungo che il voto sulle spese militari avverrà in autunno e c’è tutto il tempo e il dovere di parlarne con serietà. Il punto però, insisto, è mettersi d’accordo su quale modello integrato di sicurezza vogliamo. Per questo trovo sbagliata la logica tedesca del riarmo “solitario” in una forma della deterrenza del tipo Guerra Fredda con un balzo nel vecchio secolo. Credo che la strada sia un’altra, quella di una nuova Helsinki che riesca a non spezzare del tutto il rapporto con la Russia anche se non sappiamo quali saranno i suoi equilibri una volta chiusa questa pagina. C’è poi il tema del merito che spesso rimane sullo sfondo o viene del tutto ignorato, la spesa militare si articola in tre voci fondamentali: quella per il personale, quella per addestramento e manutenzione e quella per i sistemi d’arma. Come ho detto, nella logica di una difesa comune è possibile razionalizzare gli investimenti in una economia di scala. Anche per questo credo vada respinta una certa pulsione bellicista che pare riemergere e che vede nell’incremento della spesa un’occasione da non perdere per l’industria militare.

Un solo F35, cacciabombardiere di quinta generazione prodotto dall’americana Locked Martin, costa 110 milioni di euro. La domanda è se pensiamo di investire sulla protezione dei territori e delle popolazioni – la pandemia qualcosa ha insegnato – o la strategia è riarmare e riarmarsi fuori da una visione del mondo del dopo. Non lascerei solo papa Francesco a ragionare di questo anche perché risorse aggiuntive serviranno per fronteggiare i nodi sociali in casa nostra e la carenza di cibo e la fame di intere popolazioni nell’Africa mediterranea e non solo.
Il segretario del Pd, Enrico Letta ha sostenuto che per Putin “conquistare la Francia” vale assai di più dell’Ucraina. Il riferimento è alle presidenziali francesi con Marine Le Pen, che non ha mai nascosto simpatie putiniane, che al ballottaggio del 24 aprile contende l’Eliseo a Emmanuel Macron. Lei come la vede?Spero che il ballottaggio veda prevalere Macron e non perché rappresenti per me il modello di una politica di sinistra, ma perché l’alternativa oggi è incarnata da una destra che Marine Le Pen sta tentando di “europeizzare” anche se di europeo contiene ben poco. La combinazione Orban-Le Pen segnerebbe un arretramento di lunga durata per quei principi di libertà, tolleranza, laicità dello Stato, cooperazione, che sono l’anima del processo di integrazione. E questo al netto dei debiti di riconoscenza che entrambi, Orban e Le Pen, hanno nei confronti di Putin. Detto ciò la parabola deprimente dei socialisti francesi è monito a non rimuovere una verità: la sinistra che non si occupa del dramma sociale del popolo che si candida a rappresentare è destinata non solo a perdere, ma a estinguersi. Il risultato di Mélenchon sta lì a dimostrarlo e credo debba interrogare anche noi, il che non significa condividerne tutte le risposte, ma – torno ancora lì – non ignorare le domande che provengono dalla parte più ferita e offesa della società.
Dopo avergli dato del “macellaio”, Biden ha accusato apertamente Putin di essere il mandante di un “genocidio” suscitando la presa di distanze di Macron. Non è che le uscite del presidente americano siano indice di una idea politica di gestione della guerra che alla lunga rischia di confliggere con gli interessi dell’Europa?

Noi siamo alleati degli Stati Uniti. Abbiamo nei loro confronti un debito di riconoscenza storico e anche un debito politico per non avere riprodotto dopo il 1945 lo schema delle riparazioni di guerra decise a Versailles e che alimentarono in Germania un sentimento di rancore e di isteria nazionalista. Detto ciò è utile che Italia ed Europa mantengano una loro autonomia in rapporto a interessi strategici che possono divergere anche alla luce del fatto che non tutti gli inquilini della Casa Bianca la pensano allo stesso modo e praticano la stessa politica. Oggi l’Europa dovrebbe ricomporre un modello di convivenza e cooperazione in un continente segnato dalla crisi, dalla pandemia e dalla guerra. Leggo che Biden ha in mente le elezioni di mid-term e spera di presentarsi come il presidente che ha imposto a Mosca il suo Afghanistan magari risolvendo una volta per tutte il “problema” Putin: spero che per perseguire quel risultato non metta in conto una prosecuzione della guerra. L’Europa non ha alcun interesse a coltivare lo stesso calcolo.
Per tornare a casa nostra. In che modo il tema della guerra ridefinisce l’orizzonte politico e culturale della sinistra e del Partito democratico in particolare?

Questa guerra civile nel cuore dell’Europa impone a tutti, non solo a noi, di indossare nuove lenti per guardare al futuro del continente e dobbiamo farlo dentro equilibri di potenza destinati a mutare. Peserà il ruolo della Cina che, al di là delle dichiarazioni scontate di amicizia con Mosca, non sembra vivere con favore quanto sta avvenendo, e peserà la funzione degli Stati Uniti dopo la fuga indecente da Kabul e nel pieno di una competizione che vira il loro baricentro nell’indo-pacifico. Quindi mai come adesso l’Europa è chiamata a decidere del proprio destino e in questo senso torna preziosa la profezia di Jean Monnet quando diceva che l’Europa si sarebbe fatta nelle crisi e sarebbe stata la somma delle soluzioni adottate per quelle crisi. Facciamo in modo di non dimenticarlo.


Umberto De Giovannangeli
Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.








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