L'analisi del nuovo articolo di Franco Gabbani si sposta questa volta nel mondo di un associazionismo antesignano, le confraternite, necessarie per togliere dall'isolamento e dal mutismo le popolazioni delle campagne, anche se basate esclusivamente sui pricipi della religione.
E d'altra parte, le confraternite, sia pur "laiche", erano sottoposte alla guida del parroco.Sono state comunque i primi strumenti non solo di carità per i più bisognosi, ma soprattutto le prime esperienze di protezione sociale verso contadini ed operai.
Oggi è il 1° Maggio, giorno dedicato alla “Festa dei Lavoratori”, ma nel cuore non sento alcuna atmosfera di festa, perchè il pensiero mi và spontaneamente, naturalmente ed immediatamente a coloro che il lavoro non ce l'hanno: i disoccupati.
A quelli che lo sono da sempre perchè non hanno ancora mai avuto occasione di trovare un vero lavoro, che non fosse al nero ed estremamente precario ed insicuro, senza quindi un'occupazione legalmente retribuita ed assicurata, ed ai tanti nuovi, che specialmente in questi ultimi anni, a causa degli effetti negativi e devastanti della pandemia covid, della crisi economica ed ora anche della guerra in Ucraina, hanno perso il lavoro in conseguenza alle innumerevoli chiusure di grandi fabbriche, aziende ed attività lavorative di ogni grandezza e tipologia. Il pensiero mi và a coloro che anche stamani, come ogni altro giorno, svegliandosi, hanno vissuto immediatamente il senso di preoccupazione, di smarrimento e di disperazione pensando alla difficoltà di trovare il denaro per comprare cibo e vestiario per i propri figli, per le proprie famiglie e per se stessi, per pagare l'affitto, per pagare le bollette del gas e della luce, per mettere carburante nel proprio mezzo di trasporto, per pagare il mutuo della propria casa, e che dopo tanti tentativi falliti nella ricerca di un lavoro, hanno perso o stanno perdendo ogni speranza ed ogni fiducia nel presente e nel futuro. In questo giorno dedicato alla festa dei lavoratori penso anche a chi, perdendo il lavoro, ha perso anche la casa e si è ritrovato a vivere per strada, costretto ad elemosinare cibo nelle mense per i poveri e dormendo tra i cartoni, senza un riparo, e questa mia opera a pastello seppia intitolata “La Disperazione del disoccupato senza casa”, (che realizzai forzatamente con la mano sinistra nei mesi in cui avevo il polso destro ingessato per una frattura multipla e scomposta), la dedico a tutti i disoccupati con fraterna vicinanza, solidarietà ed affetto, con la speranza che presto possano ritrovare fiducia e speranza con una nuova opportunità di lavoro, che dovrebbe essere un diritto per ogni individuo.
Bruno Pollacci
Direttore dell'Accademia d'Arte di Pisa