Nei suoi numerosi articoli sulla storia del territorio, Franco Gabbani ha finora preso come riferimento, personaggi o avvenimenti storici, inquadrandoli nella cornice degli usi e delle norme dell'epoca.
Questa volta prende spunto da situazioni e argomenti curiosi, spigolature come le chiama.
Al di là dei fatti precisi, quello che colpisce particolarmente, è il linguaggio usato nei documenti, non solo formale e involuto, come da sempre ci ha abituato la burocrazia, ma spesso anche di difficile comprensione, esplicitando l'evoluzione continua della lingua e dei termini.
Il viaggio continua
Riprendo a pedalare in salita e canto:
Oh, quanta strada nei miei sandali
Quanta ne avrà fatta Bartali
Quel naso triste come una salita
Quegli occhi allegri da italiano in gita
Canto piano ma Ginettaccio mi sente lo stesso, la sua voce mi accompagna.
“Ne ho fatta tanta di strada, non sai quanta. Le tappe del Tour de France e il Giro d’Italia erano interminabili. Strade sterrate, telai pesanti, maglie di lana e tubolari a tracolla, ma ero felice lungo le pianure e sopra le montagne, la polvere si impastava con il sudore durante la scalata del Galibier, la neve ai bordi della strada sulla salita dello Stelvio e il vento sul viso… l’hai presente il vento sul viso?”
“L’ho presente Gino, l’ho presente”.
“E te, perché pedali?”
“Perché mi piace” gli rispondo.
“Sono mesi che ti prepari, il sole non era ancora sorto quando stamani sei partita da casa. Solo perché ti garba pedalare?”
“Ma io, non potevo cantare” “Fatti mandare dalla mamma a prendere il latte?” dico piano. Gino lo sente ma fa finta di nulla.
“Allora?”
Un ragazzo biondo, senza casco mi sorpassa a bordo di una Vespa 50 Special gialla, dalla sua marmitta esce un fumo denso che vuole entrare nei miei polmoni, provo a fermarlo. Ci riesce.
“Allora?” ripete Gino: la sua voce è priva di limpidezza, ma forte come un tuono.
Bevo un sorso d’acqua dalla borraccia, da una tasca del marsupio sfilo un fico secco e lo metto in bocca, lo mastico lentamente. Prima che Gino mi ripeta: “Allora?” bevo ancora un sorso d’acqua e rispondo:
“Ti svelo un segreto. Fin da piccola mi sono sentita dire, da mio padre: “Metti troppa carne al fuoco e non la fai cuocere” da una maestra: “È intelligente, ma non si applica”. La bicicletta è sempre stata la mia passione, ho deciso di mettermi alla prova. A vedere se riesco a concludere un mio progetto”.
“Per questo hai deciso di farlo da sola?” mi dice Gino dopo essersi schiarito la gola con un colpo di tosse.
“Non ho pensato nemmeno per un attimo di farlo in compagnia”. Una nuvola passa sotto al sole, vedo l’ombra sull’asfalto. Come è arrivata, se ne va. Un soffio di vento sfiora le mie tibie, sale sui quadricipiti, mi gira intorno e mi accarezza le spalle. Sento un piccolo toc, sul casco.
Gino mi dice piano: “Ce la puoi fare”.
Continuo a pedalare in salita e canto:
E i francesi ci rispettano
Che le balle ancora gli girano
E tu mi fai, dobbiamo andare al cine
E vai al cine, vacci tu
“Ciao Gino” il vento da dietro mi spinge.
Sono al Passo delle Radici, il confine tra la Toscana e l’Emilia Romagna. Guardo il cielo. Riempio la borraccia alla fontana, mangio una manciata di frutta secca e scendo. Torno a disegnare le curve come il pennello di un pittore la tela. Non vedo fili di aquiloni in giro ma nuvole grigie all’orizzonte. Attraverso due paesi e arrivo a Fiumalbo. Inizia la salita verso il passo dell’Abetone.
Le gambe non vogliono girare, i quadricipiti sembrano intrappolati in una stretta ragnatela. “Devono scaldarsi” penso. Pedalo ma loro non si scaldano, forse un ragno mi ha iniettato un liquido paralizzante, sento un formicolio come se mi avessero attaccato degli elettrodi a basso voltaggio ai muscoli della coscia. “Svegliatevi, svegliatevi per favore, devo fare molta strada per tornare a casa” penso.
“Ma chi me l’ha fatto fare, ma se io oggi no, ecco si, se io oggi mi facevo un giretto in bici e poi andavo al mare, al bagno Nettuno a Marina di Pietrasanta. Si, ecco, un tuffo e poi al sole sulla piattaforma in mezzo al mare. Che idea la piattaforma in mezzo al mare. Pinuccio è un genio.” Dico piano per risparmiare il fiato.
“No! E no! Siccome sei furba, vuole fare il Giro dell’Abetone, te… al mare, dovevi andare al mare”.
Una voce è entrata nel mio cervello. Pedalo per allontanarla. Piano, piano riprendo il ritmo. Mancano alcuni chilometri per arrivare al passo.
Il suono di una tromba introduce la canzone, io canto per sentire meno la fatica.
Sale la nebbia sui prati bianchi
Come un cipresso nei camposanti
Un campanile che non sembra vero
Segna il confine fra la terra e il cielo…
Guardo il cielo: stracci di nuvole nere si rincorrono all’orizzonte, un fulmine e subito dopo un tuono “Maremma diavola ci mancava il temporale” dico ad alta voce.
Tin… Tin... Toc…Toc…
Sento il rumore delle gocce sul casco, le vedo mentre si spaccano sopra le braccia e le gambe, altre vengono assorbite dalla maglia grigia. La scritta Star è scolorita. Mi fermo per indossare il K- way.
“Devo fare più di cento chilometri per tornare a casa. Non ce la farò mai” penso.
“Hai gli occhi più grossi della pancia come al solito, vuoi fare cose più grandi di te”. Di nuovo la voce, ora la riconosco.
“Eccolo là, ti aspettavo, dopo tanti anni ti sembra questo il momento per tornare?”
“Oggi è il momento, dimostrami che sbaglio” un’auto mi sorpassa: è una Volvo 850 T-5R gialla con targa tedesca, la ruota destra entra nella pozzanghera e lancia verso di me un ventaglio d’acqua fredda e sporca. “Non ce la posso fare” penso.
“Invece che piagnucolare, pedala! Pedala…” dopo la reazione al gelo che ha investito in pieno la parte sinistra del mio corpo, sento un flusso di calore che sale dalla pancia verso la testa.
“Pedalo, pedalo e sai perché? Per dimostrarti che la mia pancia è pronta a digerire tutto quello che gli occhi hanno visto. Vai, torna a riposare in pace, papà”.
Una nuvola più scura delle altre crea un vortice: da destra verso sinistra, cambia forma, diventa ellittica, poi si arrotonda. Il vento la muove piano e modella di nuovo il suo aspetto. Sbatto le palpebre per vedere meglio. Nella sagoma in cielo riconosco il profilo di mio padre, è seduto sulla sua poltrona di vimini sulla terrazza. Tra l’indice e il medio della mano sinistra, ingialliti dalla nicotina, tiene ferma la sua sigaretta: Nazionale senza filtro, ne immagino il vapore che rilascia. Si gira lentamente verso di me, alza l’arto libero in segno di saluto e mi dice: “E allora vai. Ce la puoi far…” la e, di fare, viene aspirata dal vento che dissolve la nuvola cupa, mentre la pioggia continua a cadere. (continua…)
Franca Giannecchini