Tornano, dopo la pausa estiva, i racconti storici di Franco Gabbani.
Un articolo, come per altri in precedenza, legato interamente alle vicende personali di una persona dell'epoca, una donna che ha vissuto intensamente una vita, ragionevolmente lunga, che potremmo definire di ribellione al ruolo che ai tempi si riconosceva alle donne, in aperta opposizione ai vincoli, alle scelte e al giudizio che la società di allora le riservava.
Candidati fittizi: la necessità di una norma per evitare lo spettacolo delle false candidature
Una proposta per porre fine al fenomeno delle candidature fittizie e garantire maggiore serietà e legittimità alle elezioni
Basterebbero due righe per non ripetere in futuro lo spettacolo ridicolo e indecente di candidati fittizi che riempiono le strade di manifesti chiedendo voti per cariche che non ricopriranno mai. Sarebbe sufficiente una piccola norma che preveda che chi si candida a un’elezione, se eletto, deve optare per il mandato acquisito, con la rinuncia automatica alla eventuale carica già detenuta e divenuta incompatibile.
Una regola semplice, proposta più un quarto di secolo fa da Gianfranco Mor, costituzionalista di grande valore e buon senso, che avrebbe impedito di svilire elezioni decisive per il futuro dell’Europa, trasfigurandole in un sondaggio per certificare chi è il più amato (o la più amata) dagli italiani o, in altri termini, in una prova generale dell’elezione diretta del “capo” prospettata nella riforma costituzionale. Una disposizione di poco clamore ma grande efficacia che, forse, avrebbe aiutato a sprovincializzare questa campagna elettorale, spostando l’attenzione dalle polemiche interne ai temi di rilievo continentale.
Il fenomeno di leader che si presentano a competizioni elettorali solo per dragare consensi è un ormai antico vizietto italico, specie alle Europee: ad esempio, nel 2019 sia Matteo Salvini , allora ben più spumeggiante di oggi, sia Giorgia Meloni si impancarono capilista in tutte le circoscrizioni e, ovviamente, non misero poi piede al Parlamento europeo. Mai, però, questo fenomeno aveva assunto dimensioni tali da trasformare un malcostume politico in una questione di legalità costituzionale. In Italia, si sono candidati la presidente e il vicepresidente del Consiglio, caso unico in Europa con l’eccezione primo ministro croato, Andrej Plenković, la cui candidatura si giustifica con l’essere tra i papabili alla presidenza della Commissione.
A differenza della generalità degli Stati, sono nelle liste vari segretari dei partiti di opposizione e il solo Matteo Renzi ha promesso di restare a Strasburgo.
Le giustificazioni per questo “mi candido ma poi non ci vado” sono le più varie: c’è chi vuole una conferma del proprio legame con il popolo, chi più banalmente spera in qualche voto in più, chi prometteva di non farlo ma poi l’ha fatto, perché lo facevano anche gli altri.
Non conosciamo nel dettaglio tutti gli ordinamenti esteri, tuttavia ci sentiamo di poter dire che là analoghe condotte non si verificano non perché siano esplicitamente vietate, ma perché attribuirebbero la patente di scarsa serietà a chi si azzardasse a rendersene protagonista. Abbiamo l’impressione che oltre le Alpi una simile patente farebbe da una parte vergognare più che da noi chi se la vedesse attribuire, dall’altra rischiare tracolli e non impennate elettorali. Dunque, forse, altrove queste “bravate” istituzionali non accadono sia per una certa qual maggiore serietà, sia perché non conviene.
Penne più salaci delle nostre hanno deriso questo modo di trattare gli elettori come “ragazzotti di 11anni neanche tanto intelligenti” (copyright Silvio Berlusconi), voci più autorevoli della nostra hanno definito queste false candidature “ferite alla democrazia che scavano un fosso” ( Romano Prodi ) e incrinano la fiducia nelle classi politiche e nelle elezioni.
E, in effetti, la massiccia pratica di candidarsi fittiziamente costituisce una ferita seria alla rappresentanza e al diritto di voto, che finisce per sollevare dubbi sulla stessa legittimità della possibilità di rinunciare alla carica per la quale ci si è candidati, per mantenere quella che già si detiene.
Nel 2014, la Corte ha ritenuto incostituzionali le lunghe liste bloccate previste dalla allora legge elettorale, perché quel sistema “ferisce la logica della rappresentanza” in quanto ai parlamentari eletti manca il sostegno della indicazione personale dei cittadini. In modo non dissimile, vi è una evidente distorsione del rapporto di rappresentanza fra elettori ed eletti se chi in concreto andrà a comporre il parlamento europeo non è stato scelto da chi con il voto aveva preferito altri candidati.
Ma prima di invocare l’intervento del giudice costituzionale, noi, forse ancor più ingenui degli elettori che si prevede voteranno in massa i loro capi-partito, sollecitiamo l’approvazione della “piccola regola”ricordata all’inizio (se ti candidi e ti eleggono, poi devi restare).
Ci sembra che ciò imporrebbe una certa qual esplicita assunzione di responsabilità che potrebbe contribuire a far invertire una tendenza che pare non avere malinconicamente mai fine verso il baratro del farsesco.