Con questo articolo termina la seconda serie di interventi di Franco Gabbani, attraverso i quali sono state esaminate e rivitalizzate storie e vicende del nostro territorio lungo tutto il secolo del 1800, spaziando tra fine '700 e inizi del '900 su accadimenti storici e vite di personaggi, che hanno inciso fortemente oppure sono state semplici testimonianze del vivere civile di quei tempi.
"Più armi si inviano, più la guerra va avanti". Ha ridetto ieri Matteo Salvini. È uno slogan arcinoto, comune a tutti coloro vorrebbero che la guerra finisse a tutto vantaggio della Russia. Tutte le richieste in questo senso sono sempre e solo indirizzate ai paesi occidentali perché la smettano di supportare l’Ucraina e agli ucraini perché la smettano di fare le bizze e si arrendano. Mai a chi la guerra l’ha iniziata e continua a combatterla con metodi terroristici: la Russia.
Sono, con tutta evidenza, prese di posizione che ignorano deliberatamente le decisioni prese in sede UE e Nato (di cui l’Italia è un membro fondatore) e che mirano ad indebolire il fronte della fermezza occidentale nei confronti della Russia. Salvini è infatti il vicepremier italiano non un Travaglio o un Orsini qualsiasi.
L'invasione russa dell'Ucraina è cominciata nel 2014 con l'invio di truppe in incognito in Donbass e l'annessione della Crimea ed il successo di Putin in quel frangente fu reso possibile anche dalla sostanziale passività dell'Occidente. Nel 2022 Putin si aspettava di ottenere lo stesso trattamento: l'Ucraina e tutte le ex repubbliche dell'Urss erano un affare interno della Russia motivo per cui battezzò l'invasione di uno stato sovrano come un'operazione militare e speciale e non come una guerra. La visione di Putin è semplice: ripristinare lo schema delle sfere d'influenza della guerra fredda.
Quando l'Urss invadeva l'Ungheria e la Cecoslovacchia era sostanzialmente "nel diritto" di farlo e nessuno muoveva un dito. La visione di Putin su questo converge con le posizioni di quella sinistra nostalgica del mondo bipolare della guerra fredda dove l’egemonia americana veniva fronteggiata dal blocco sovietico. Mai si sono rassegnati all’idea che l’Occidente democratico e capitalistico potesse aver vinto. E dunque non amano la Russia di Putin, non amano Putin ma, come spesso accade, il nemico del mio nemico finisce per essere un mio amico.
Ben diverso è il caso dei sovranisti alla Salvini la cui antica ed esplicita ammirazione per Putin è stata solo momentaneamente messa in un cassetto causa decenza.
Il paradosso dei sovranisti che chiedono lo stop all’invio delle armi per fermare la guerra consiste nella circostanza che proprio i sovranisti europei sono tra i principali motivi che inducono Putin a continuare la guerra. Il dittatore russo, per avare mani libere, vorrebbe ritornare all’indifferenza occidentale del 2014. È rimasto sorpreso dalla mobilitazione nei confronti dell’Ucraina e sa bene che le armi agli ucraini rendono più difficile il raggiungimento dei suoi obiettivi. Lo sanno tutti. Lo sa Salvini, lo sa Orban lo sa la Le Pen. Putin sperava in un successo della Le Pen in Francia, spera in un successo della versione isolazionista di Trump, è deliziato dall’attivismo di Orban presidente di turno dell’UE.
Il successo dei sovranisti in Occidente è una speranza che continua a coltivare ed è una delle opzioni che lo inducono a continuare la sua guerra. Gli è andata male alle europee, gli è andata male in Francia, gli è andata male anche con la Meloni, vedremo come gli andrà con Trump ma finché ascolterà il vicepremier italiano chiedere di smettere di aiutare l’Ucraina, Orban e la Le Pen lo stesso, continuerà a coltivare la speranza che prima o poi l’Occidente si ritirerà in buon ordine dalla partita ucraina.
Il paradosso dei sovranisti e dei loro compagni di strada della sinistra nostalgica è che ogni volta che chiedono di fermare l’invio delle armi, allungano la guerra. La guerra di Putin.⁸