Con questo articolo termina la seconda serie di interventi di Franco Gabbani, attraverso i quali sono state esaminate e rivitalizzate storie e vicende del nostro territorio lungo tutto il secolo del 1800, spaziando tra fine '700 e inizi del '900 su accadimenti storici e vite di personaggi, che hanno inciso fortemente oppure sono state semplici testimonianze del vivere civile di quei tempi.
In questo nuovo articolo di Franco Gabbani si cambia completamento lo scenario.Non avvenimenti storico- sociali, nè vicende di personaggi che hanno segnato il loro tempo.Il protagonista è questa volta è il fiume Serchio, l'attore sempre presente nella storia del territorio, con grandi vantaggi e tremendi disastri.Ma non manca il tocco di Franco nell'andare ad esaminare grandi lotte politiche e piccoli episodi di vita comune legati al compagno di viaggio nella storia del nostro ambiente.
UN FIUME, I SUOI RAMI E I SUOI NOMI: IL SERCHIO
di Franco Gabbani
Il Serchio ha avuto una parte molto importante nella storia del territorio dei comuni di Vecchiano e S. Giuliano.
Dal Serchio le comunità traevano e traggono benefici: si pensi all’irrigazione, alla pesca, o all’estrazione di ghiaia e sabbia.
Le sue acque, attraverso le colmate, permisero di rendere fertili e salubri i terreni della nostra zona, fin lì caratterizzata da una situazione ambientale degradata per la presenza di estese paludi.. Ma il Serchio fu anche portatore di danni e dolore in conseguenza delle sue numerose esondazioni.
Cerchiamo di conoscere meglio questo fiume: il suo nome originario era Auser, discende dagli Appenini e si forma per l’unione del Serchio di Gramolazzo con il Serchio di Soraggio. In epoca lontanissima quando usciva da Ponte a Moriano si buttava già nel Mar Tirreno: furono i suoi detriti che, nel corso di molti secoli, costruirono la nostra pianura. L’Auser, dopo la sua corsa a valle, giunto alla piana di Lucca, dava origine a molti rami secondari: uno scorreva vicino ai monti pisani e, tramite il lago di Sesto (poi di Bientina), confluiva nell’Arno all’altezza
di Vicopisano.
Un secondo ramo, dopo aver superato la stretta di Ripafratta, dava
origime al Tubra e all’Auserculus (piccolo Serchio).
Il Tubra e il Serchio correvano affiancati e nel X secolo dividevano Vecclano Maior (S. Alessandro) da Vecclano Minor (S. Frediano) e da Vecclano Liuti (o Liutri), ossia Vecchializia, che si trovavano, quindi, sulla sponda sinistra del Serchio.
Nel XIV secolo, dopo continue opere di drenaggio, di bonifiche, di arginature e di rettificazioni di tratti del Serchio (ormai intrecciatosi col Tubra proprio tra S.Alessandro e S. Frediano), si giunse ad una modifica della morfologia idrografica che portò alla unificazione di S. Frediano con Vecchiano, mentre Vecchializia (Vecclano Liuti) restò sulla sponda sinistra del fiume.
Il Serchio, dopo aver superato Pontasserchio, Vecchiano, Nodica e Migliarino sfocia in mare.
Ma, oltre al ramo che alimentava il lago di Bientina e al ramo che, dopo essersi aperto un varco a ponente dei monti Pisani, sfociava in mare all’altezza di Migliarino, secondo le testimonianze di Strabone, famoso geografo greco, il Serchio aveva un terzo ramo che andava a Pisa, confluiva nell’Arno e le acque “dove confluiscono l’uno con l’altro con impeto violento, si levano in alto a vicenda, cosicché quelli che stanno sulla riva dalle due parti, non si vedono l’un con l’altro”.
Anche Lorenzo degli Albizi, ingegnere idraulico, concorda con Strabone e, nella sua relazione, del XVI secolo, il “ Ragionamento” , a proposito del Serchio, dice:
“ I pisani conobbero, che col tempo, essendo Arno, ed il Serchio insieme, la città portava pericolo, e che già ne avevano avuti saggi certi, convennero con i lucchesi di tralasciarlo dove oggi passa da Ripafratta”.
Proseguendo racconta che "furono i Pisani, secondo quanto egli stesso aveva appreso da alcuni vecchi di Pisa e del paese, a pagare 3000 scudi ai Lucchesi per la tagliata di Ripafratta, affinché il Serchio non passasse più dalla città”.
A questo proposito si narra di un miracolo avvenuto quando Frediano, vescovo della città di Lucca dall’anno 566, deviò il corso del fiume salvandola da sicura alluvione.
Frediano passava le notti a studiare il modo di deviare il corso del Serchio, perché cessasse di spargere desolazione.
Quando si sentì pronto prese un rastrello e tracciò un segno nel terreno: il Serchio si mosse, di poco ma si mosse.
Frediano riprese a camminare continuando a tracciare un solco nella terra.
Il Serchio lo seguì e si vorrebbe perciò che da allora esso non si butti più in Arno, ma faccia un altro percorso.
La realtà invece vuole che tutto sia derivato da altro.
Il mutamento del corso del fiume, l’Albizi, molto più pratico, lo attribuì all’oro dei Pisani, ma è certo che tutto ci conferma ancora una volta e in maniera non dubbia dell’antico percorso del Serchio.
L’opera più importante dell’Albizi fu, senza dubbio, la realizzazione del fosso delle mulina, chiamato anche canale di Liba-Fratta (Ripafratta) la cui costruzione risale al 1568.
Questo canale venne creato per facilitare la navigazione fra Pisa, S. Giuliano e Lucca: aveva la sua origine dal Serchio, rasentava il monte Pisano, fino ai Bagni di S. Giuliano, raccoglieva tutti gli scoli di quella zona e, reso navigabile, arrivava fin dentro Pisa. Questo fosso, alla fine del suo percorso, prima di sfociare in Arno, dette a Pisa la possibilità di avere un mulino che andò distrutto durante la seconda guerra mondiale. Va aggiunto che, al tempo di Pietro Leopoldo di Lorena, Granduca di Toscana, quando i Bagni di S. Giuliano ebbero tutto un loro particolare splendore, si risalivano le acque del canale con speciali gondole per portare i passeggeri da Pisa al monte.
Il porticciolo, presso via S.Marta, fu detto ed è ancora chiamato “porto delle gondole”.
Da qui si partiva per San Giuliano diventata località di soggiorno per l’aristocrazia toscana e per i forestieri di alto lignaggio.
IL SERCHIO: BENEFICI, CONFLITTI E DEVASTAZIONI.
A metà ‘700 il nostro territorio era caratterizzato, da una situazione ambientale estremamente degradata, estese paludi, frammiste a terreni soggetti a frequenti inondazioni, dai quali si levavano vapori che infettavano l’aria, grandi praterie naturali, anch’esse spesso inondate dalle piene dei numerosi fossi e canali che attraversano il padule, poche abitazioni situate in genere in luoghi rialzati perché più salubri.
Nella sua relazione “Sopra la campagna Pisana” (del 1740), il matematico Tommaso Perelli, ci presenta, infatti, “ una campagna alla quale poco giova lo scavare canali, e il formare argini, perché l’acqua che inzuppa il terreno degli spazi intermedi non si separa mai come succede nelle terre buone (...) ma resta sempre come in una spugna legata, e mescolata col terreno (...) il paese è così naturalmente basso che senza alzarne la superficie resterà sempre padule com’è, onde il soccorso non si può pretendere né sperare altronde, che dalle acque del Serchio, le cui torbe saranno sufficienti a rialzarlo tanto che serva a ottenersi il desiderato prosciugamento”.
Le colmate, quindi, erano indicate come l’unica soluzione e il Serchio, con il deposito dei suoi materiali, rese possibile la trasformazione di quelle paludi in una zona fertile e salubre.
Realizzate seguendo le istruzioni degli Editti Granducali, le colmate si formarono per mezzo delle acque del Serchio inserite all’interno del territorio che si intendeva colmare (bocca di entrata), precedentemente recintato con argini robusti, il recinto aveva poi un’uscita affinchè l’acqua del Serchio, depositati i detriti , riprendesse di nuovo a correre verso il mare (bocca di uscita).
Una delle più importanti colmate fu quella del 1797, quando Laura Salviati Duchessa D’Atri era usufruttuaria del patrimonio del fratello, il Cardinale Gregorio Salviati: interessò la Tenuta di Migliarino nella zona delle Tagliate, Tagliatelle, Serchio Vecchio, Lama di Biagio, l’Ugnone, la Romita e porterà, poi, Francesco Borghese Aldobrandini, figlio di Anna Maria Salviati, ultima discendente della famiglia, alla realizzazione di una fattoria con più di trenta poderi e all’avvio di tutta una serie di lavori che saranno portati a compimento da Scipione Salviati.
I documenti di diversi Archivi, però, ci fanno conoscere anche i conflitti che il Serchio faceva nascere, con, da una parte, l’Ufficio dei Fossi, che aveva il compito di affrontare le fuoriuscite del Serchio e di dirigere i lavori progettati a quel fine, e, dall’altra, i proprietari di queste terre, frontisti di un fiume che rappresentava un pericolo costante per i campi sementati.
Proprietari che con i loro contadini avevano accresciuto la superficie agraria attraverso operazioni di idraulica poderale.
La conflittualità traeva origine dalle direttive dell’autorità pubblica, preposta agli interventi di macroidraulica da compiersi sul Serchio, alle quali si opponevano i proprietari dei terreni ridotti a coltura dopo molti anni di fatiche.
In una di queste direttive, del maggio 1812, si notificava:"Tutti i Possidenti lungo l’Argine del Serchio devino lasciare tre braccia di terreno incolto ad uso della banchina tanto dalla parte interna che dalla parte esterna se in questa estensione vi fossero delle fosse devino essere ripiene, ed essendovi state fatte delle piantagioni di alberi, viti devino essere sradicate."
La programmazione di queste operazioni sollevava l’immediata protesta dei frontisti che chiedevano, anche attraverso azioni legali, il riconoscimento dei loro diritti di proprietà.
I conflitti continuarono per tutto il secolo e oltre, a nulla valsero le lettere della Prefettura nelle quali si affermava che i lavori di difesa dei fiumi avevano lo scopo di assicurare il regolare regime del Serchio, la tutela dei limitrofi possessori, la promozione e l’incremento dell’attività agricola e, infine, quello di portare vantaggio ai terreni per la differenza di prezzo che nasceva fra quelli difesi rispetto a quelli non difesi.
Ma, il nostro fiume Serchio, indirettamente, creava problemi anche alla città di Pisa: vediamo le cause che li avevano fatti nascere.
Nella seconda metà del XVI secolo Cosimo I° Mediici, dispose, su proposta del Provveditore dell’Ufficio de’ Fossi di Pisa, di far sfociare fiume Morto in Serchio, considerando che lo sbocco in mare molto spesso veniva chiuso dalla forza dei venti marini.
In seguito ci si rese conto che la situazione del territorio non solo non aveva riscontrato alcun miglioramento, ma si stavano verificando dolorose vicende per lo sbocco di questo fiume nel Serchio.La risoluzione di dare, ancora una volta, sistemazione al fiume Morto si fece sempre più urgente, finchè, dopo numerosi studi, nel 1624 Benedetto Castelli, scienziato di fama internazionale e fondatore della moderna scienza idraulica, ritenne che lo sbocco naturale del fiume Morto fosse quello nel mare.
Evidenziò che i problemi esistenti derivavano dal dislivello esistente tra il Serchio ed il fiume Morto.
In tempo di piogge, infatti, il letto del primo era più alto del letto del secondo, facilitando l’allagamento della campagna circostante invece di contrastarlo: avveniva che in occasione delle piene le acque del Serchio riboccassero, inondando talvolta fino a Pisa.
Un altro grave danno derivava anche dal fatto che il ribocco del Serchio, con le sue torbide, riempiva di mota tutto il fiume Morto.
Il provvedimento suggerito da Castelli sarà adottato con successo per qualche anno, ma in seguito si sarebbe ripresentato il problema dell’interramento della foce del fiume Morto. A conclusione tratterò del Serchio come fonte di continue preoccupazioni e dolori, nonchè della forza distruttrice delle sue acque che rappresentavano un pericolo costante.
Le piene più disastrose possiamo farle risalire già a quanto narra la cronaca fatta da Ranieri Sardo (1), per l’alluvione del 1336, dove scrive:“Per la Val di Serchio tutti si reconno ai poggi e chi montò su gli albori e chi su per li frutti e molti ne morirono, chi per l’acqua e chi per fame”.E continua: “E li Scaccieri con una gondola grandissima andavano per la valle e rincorrevano gli omini e le donne levandoli per gli albori e portaronli nei poggi e a chi davan pane e vino e a chi cose da coprirsi”.
Queste, invece, alcune delle annotazioni fatte, nella seconda metà del ’600, da Domenico Stagi, parroco della chiesa di S. M. Assunta di Fagnano (LU):il 5 Febbraio 1653 "venne una fiumara tanto grossa che portava via i ciocchi, taule, pioppi tagliati e convenne puntellare le botti acciò non diano volta et in fede della verità io Prete Domenico Stagi Rettore di S. M. Assunta di Fagnano ho fatto la detta scritta acciò che chi viene dippoi possi vedere questa calamità”
L’ultima registrazione fu fatta il 9 Novembre 1664: “venne una fiumara tanto grossa che entrò in chiesa qui a Fagnano vi era grossa et alta sei braccia et io prete Domenico Stagi curato di ditto luogo ho fatto la ditta fede acciò possino vedere quelli che verranno e non si meraviglino, vedendo tali carte: ego qui supra manu propria”.
Nel 1713 l’acqua sommerse con gravi danni la campagna fino a Pisa.
Nella sede della Compagnia del SS. Crocifisso di Pontasserchio l’acqua raggiunse un metro di altezza.
Nel 1812 si verificarono due spaventose alluvioni dell’Arno e del Serchio.In quell’occasione Giovan Vincenzo Cosi del Vollia, gran contestabile dell’Ordine di S. Stefano, le considerò come una giusta punizione divina contro la corruzione dei tempi.Mentre, Elisa Bonaparte, sorella di Napoleone, per entrare in Lucca fu sollevata, per mezzo di corde, sulle mura perché le porte erano arginate internamente con sacchi di rena.
Nel Gennaio del 1843 ruppe a S. Allessio e Nozzano, le acque del fiume giunsero a Filettole, Avane, Migliarino, con devastazione di paesi e campagne, e nuovamente fino a Pisa.
Questa spaventosa alluvione è ben rappresentata dalla fotografia posta all’inizio di questo articolo: è tratta da un dipinto, conservato a Palazzo Pitti, fu commissionato da Leopoldo II a Enrico Pollastrini, per ricordare l’inondazione del Serchio del 1843.
Il dipinto richiama un episodio che, riportato dalle cronache del tempo, aveva suscitato grande commozione.Raffigura una donna con il figlio di sei anni e un altro di pochi mesi in braccio.
E' in serio pericolo, sta per esser trascinata via delle acque che hanno distrutto una parte della sua casa.
Il ragazzino è già in salvo in collo ad un uomo mentre, un altro, aggrappato alle radici di un albero semisommerso, regge la fune alla quale è ancorata la donna e la salva con il suo piccolo in fasce.
Le fuoriuscite del Serchio continuarono per tutto l’800 e oltre, l’elenco sarebbe purtroppo molto lungo per cui mi soffermerò, spostandomi nel ventesimo secolo, sull’alluvione del Serchio del 17 Novembre del 1940.L’inondazione interessò la riva destra da S. Allessio a Nozzano e a Filettole, ruppe l’argine a Nodica con allagamento del bacino del Massaciuccoli.
Per terminare, sarà il caso di riportare due richieste di risarcimento danni, fatte, in quell’occasione, dagli abitanti al podestà di Vecchiano:
- "Dichiaro io sotto scritta Ersilia B. vedova P. che i danni alla porta di cantina on più trovata, patate quintali 3 e alla roba, galine ghieci e coniglioli 12 la porta del mandriolo tutto dell’accuazione una concha a L. 18 concha piccola a L. 7 biancheria di bucato lenzuolo asciuga mano 1 tovaglia numero 4 tovaglioli."
Nota del Podestà. - Non aveva pollame. Non dare niente, la biancheria dopo lavata è come prima.
- D. M. Giuseppe di Torello fa nota dei danni sofferti "dallondazzione. [...] danni nei seramenti della casa e scoppiamento dellimpiantito in tutti lire 1.000 più dodici damigiane di vino più uno staio di fagioli più 3 quintali di grano a lagato più un fiasco d’olio più 70 coniglioli più 10 conigliole pregne più quattro campi a lagati seminativi."
Nota del Podestà. - Mandarlo a chiamare e interrogarlo. Non dice la verità. Verificare danni in casa.
NOTE
(1) Nacque negli anni ’20 del ‘300, apparteneva ad una famiglia di mercanti e giudici che dal contado si trasferì a Pisa.Ricoprì molte cariche pubbliche a la sua “Cronaca di Pisa” è una delle più interessanti fonti di cronaca dell’epoca.
Fonti per questa ricerca:
D. Barsanti,Pisa in Età Napoleonica, Edizioni ETS, Pisa 1999.
P. Chicca, Almadoc. Centosessantanni di cronaca Vecchianese, Felici Editore, Pisa 2000.
P. Fantozzi,Storie e leggende lungo il fiume Serchio, Casa Editrice Le Lettere, Firenze, 2007
R. Fiaschi,Le Magistrature Pisane delle Acque, Nistri Lischi Editori, Pisa 1938- XVII.
G. Giannelli,Pontasserchio. La sua chiesa e le sue tradizioni, Scuola Tip. Beato Giordano, Pisa 1968
I. Marsili,Villa Vocata Riguli in Pago Pisensi. Tipografia Massarosa offset, Massarosa (LU), 1992
A. Nesti.Pisa e le Acque. Relazioni idrauliche sul territorio pisano, Felici Editore, Pisa 2008.
Scuola Normale Superiore – Archivio Salviati, Parte Moderna, Serie V, N. 113. .