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Un esperienza di crescita di gruppo famiglia grazie a due meravigliosi cucciolotti.

RAFEE, figlia di una galga spagnola abbandonata incinta, salvata da un associazione .Tutti i cuccioli sono stati adottati.

UGO meticcio di una cucciolata abbandonata. Saputo successivamente che insieme ai fratellini è stato protagonista di un servizio TV sui cani abbandonati..

Silvia Salis, candidata sindaca a Genova del centrosinistra: .....
Stellantis agli operai a casa: andate a lavorare in .....
La riforma, assurda, della giustizia, del ministro .....
. . . il termine guerrafondai è stato usato per i .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Incontrati per caso...
di Valdo Mori
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da Jessy Taylor
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Cara mamma amica zia donna
sorella compagna nonna
che non porti d'abitudine
il tacco a spillo
ma guardi a fronte alta
il mondo con dignità. . . .....
tutta la zona:
piscina ex albergo
tutto in stato di abbandono

zona SAN GIULIANO TERME
vergogna
di Andrea Paganelli
JOBS ACT”… REFERENDUM, ILLUSIONI E FALSITÀ...

1/2/2025 - 18:49

JOBS ACT”… REFERENDUM, ILLUSIONI E FALSITÀ...

 

(Ripreso da una riflessione già fatta a suo tempo)

Il quesito proposto da Maurizio Landini, e appoggiato da Conte e Schlein evoca battaglie del passato, rischia di spaccare la sinistra e il PD, e di peggiorare la situazione.

Allora la domanda è: PERCHÉ...Sapevo che in una parte della sinistra vi fosse una buona dose di radicale “autolesionismo”, ma non fino a questo punto. Sinceramente non pensavo ce ne fosse bisogno ma sono talmente tante le falsità e i luoghi comuni che ascolto sul tema che, a questo punto, vale la pena approfondire, almeno per gli amici che, oltre a seguirmi, hanno spesso scambiato con me opinioni in modo civile.L'analisi non sarà perfetta, ma si basa su dati e ragionamenti logici, ciascuno poi trarrà autonomamente le proprie conclusioni. Procediamo e partiamo dall’inizio…Io penso che per molti (già mobilitati come soldatini) il “Jobs Act” resta tutto, meno che una cosa da valutare nel merito…È un “feticcio", un simbolo da abbattere, senza neppure conoscerne i reali contenuti ed effetti.

Alcuni pensano, secondo quello che ho potuto vedere fino ad oggi, che si tratti di un unico provvedimento, che riguarda specificamente l’Art.18 dello Statuto dei lavoratori del 1970 (approvato, in quegli anni, È BENE RICORDARLO, da DC e PSI, senza i voti del PCI), quando invece si tratta di una vera e propria riforma complessiva del mercato del lavoro, attuata in tempi diversi, con l’introduzione di nuovi diritti, di incentivi e protezioni sociali che, con pregi e difetti, ha modificato, sbloccato, e reso più dinamico e flessibile il mercato del lavoro nel nostro Paese.Sicuramente non sarà un "miracolo" ma le cose stanno così. Aggiungo inoltre (UDITE UDITE...) che i referendum (sono più di uno) non toccano minimamente la materia e i meccanismi legati alle modifiche del tanto sbandierato art.18.Ma partiamodall’inizio e premettiamo due cose:- la prima, che l’Art.18 non è stato a suo tempo abrogato del tutto ma modificato;- la seconda, che la prima modifica è stata attuata non con il Jobs Act ma precedentemente con la riforma Monti-Fornero, alla quale peraltro si rischia di tornare, in caso di abrogazione "tout court" della riforma, perdendo così anche alcune migliorie introdotte dalla riforma stessa e successivamente (Prevedo che non accadrà, ma questa è solo la mia opinione).

Vediamo il quadro generale, e diciamo che il problema dell’Italia, rispetto al resto d’Europa, oltre alle retribuzioni più basse della media (e questo è un altro problema ancora), è sempre stato, nell’ultimo secolo, la scarsa flessibilità, e la rigidità del mercato del lavoro, dei rapporti più “rigidi" rispetto agli altri Paesi europei.Chi mi conosce sa che mi piace sempre dimostrare ciò che dico, e quindi vediamo una veloce carrellata su gli altri principali Paesi: Andiamo al sodo, ill problema su cui si sono sempre accentrate le discussioni in Italia, tralasciando tutti gli altri contenuti, è la cosiddetta "REINTEGRA", ovvero il diritto del lavoratore, in specifici casi di licenziamento (Illegittimo, nullo, senza giusta causa etc.) di essere reintegrato nel posto di lavoro, precedentemente occupato, e alle stesse condizioni. Un dato da sottolineare, a questo proposito, è appunto il fatto, che l’Art.18, prima della riforma non costituiva una "regola universale" che valeva per tutti i lavoratori, riguardava, al contrario, i soli rapporti di lavoro a "tempo indeterminato" e non altri, quelli delle aziende con più di 15 dipendenti, ovvero quelle nelle quali le garanzie e la presenza sindacale sono maggiormente estese. Giova qui ricordare che dall’ultimo censimento ISTAT, ripreso anche da ANSA nel 2016 (periodo della riforma, che poi ha subito varie altre modifiche), il totale delle aziende registrate nel paese era di circa 1.644.000, di cui il 93% (e sottolineo il 93%), cioè 1.542.000 aziende, era al di sotto dei 15 dipendenti. Queste ultime, ovviamente, NON RIENTRAVANO nel campo di applicazione dell’Art.18.Il suddetto Articolo riguardava quindi solo il 7% delle aziende. Come mio solito io ci metto i dati, i ragionamenti li mettete voi…Ma veniamo al contesto ovvero al resto d’Europa:

 

IN FRANCIA Il Reintegro non è obbligatorio,è previsto un indennizzo pari a sei mensilità.) Anche in caso di reintegra il datore di lavoro può comunque opporsi, e quindi il giudice può disporre a favore del lavoratore solo un indennizzo non inferiore alle 6 mensilità. La Reintegra non è quindi obbligatoria ed è prevista solo per il licenziamento discriminatorio. Vale a dire quando il licenziamento è "nullo" per motivazioni attinenti alla sfera privata del lavoratore, o intimato a seguito di molestie. In questi casi la reintegra è di diritto per i dipendenti. In tutti gli altri casi scatta invece il risarcimento monetario, un indennizzo cioè, che aumenta a seconda dall'anzianità di servizio del lavoratore.

 

IN GERMANIA Il Reintegro non è obbligatorio.Le tutele si applicano nelle aziende con più di 10 dipendenti, e per i licenziamenti è necessaria una consultazione con il "comitato di impresa" (componente sindacale) che, se lo ritiene illegittimo, ricorre al giudice. Il Giudice può scegliere tra reintegro e risarcimento. Quindi il reintegro è possibile (ma non obbligatorio) ma viene applicato in pochi casi. Questo perché la giurisprudenza tedesca si orienta su un aspetto sostanziale, ovvero la tutela piena e reale del rapporto, se c'è la possibilità di una "proficua ripresa della collaborazione tra datore di lavoro e lavoratore". Quando cioè è possibile un effettivo ritorno in azienda. Anche qui un licenziamento è considerato illegittimo quando è basato su fattori inerenti la capacità o le qualità o la condotta del lavoratore. Inoltre per i licenziamenti non economici non è prevista una indennità di licenziamento salvo diversa previsione dei contratti collettivi.

 

NEL REGNO UNITOIl Reintegro non è obbligatorio, e rientra nella discrezionalità del giudice.La Reintegra del dipendente (nel medesimo posto, "reinstatement", o in un posto diverso a parità di retribuzione, "reengagement") è prevista dalla legge, ma applicata molto raramente. C'è, nell'ordine di reintegra, una forte discrezionalità del giudice. Se il giudice (per le valutazioni sopra accennate) ritiene il reintegro non praticabile, opterà per una sanzione economica di tipo risarcitorio. La prassi evidenzia come molto spesso i giudici preferiscano condannare al pagamento di una somma di denaro piuttosto alta e che viene ulteriormente incrementata qualora il datore non abbia rispettato la procedura prescritta per il recesso. Il riconoscimento economico (per i licenziamenti ingiustificati) ha dei limiti e varia a seconda dell'anzianità di servizio.

 

IN SPAGNA Il Reintegro, dopo l’ultima riforma, è facoltativo, a discrezione del Datore di lavoro.E’ divenuto facoltativo e consente all'imprenditore di optare per il solo risarcimento del danno in favore del lavoratore, corrispondendo una somma che al massimo non può superare i 33 giorni per ogni anno di lavoro. La riforma "Rajoy" ha innalzato da 6 mesi a un anno il periodo massimo di prova durante il quale è consentito alle parti il libero recesso. Il dipendente a tempo pieno, poi, può essere licenziato anche senza giusta causa. L'azienda è tenuta solo a versargli un risarcimento. Il giudice può emettere sentenza di "reintegro" in caso di licenziamento illegittimo ma l'impresa può non reintegrare comunque il dipendente optando per il pagamento dell’indennizzo.Insomma, è così funzionano le cose nei principali paesi europei, paragonabili all’Italia (includendo anche il Regno Unito), non è quindi un errore affermare che la legge italiana è stata resa più uniforme al resto d’Europa.Ma passiamo quindi ai pregi e ai difetti della riforma, e cerchiamo di specificare meglio il significato di taluni concetti. Tutte le polemiche hanno ruotato sempre attorno all’Art. 18, riguardo al "Reintegro obbligatorio", chiariamo come funziona…PARTICOLARI CHE AMPLIANO LE GARANZIECon l’entrata in vigore del Jobs Act, il paletto dei 15 dipendenti, secondo il quale le garanzie del sistema Welfare in caso di licenziamento, valeva solo per le aziende di quel tipo, viene superato e gli ammortizzatori sociali valgono per tutti i lavoratori (anche nelle aziende sotto i 15 dipendenti), anzi sono estesi anche alle Collaborazioni Coordinate (cassa integrazione, disoccupazione, contratti, agevolazioni ed altro, che prima non vi rientravano), in base al principio che il sistema sociale mira a garantire a "tutti" i cittadini, non solo "ad una parte di loro", la fruizione dei servizi sociali indispensabili.

Tutti quindi, anche le aziende con meno di 15 dipendenti, applicano le nuove tutele, che sono: REINTEGRO - in caso di licenziamento discriminatorio (cioè intimato per particolari "pregiudizi", per ragioni di credo politico o di fede religiosa, per l’appartenenza ad un sindacato o per la partecipazione all’attività sindacale, tra cui è compresa la partecipazione del lavoratore a scioperi, per ragioni razziali, di lingua o di sesso, di handicap, di età, o basate sull’orientamento sessuale o sulle convinzioni personali del dipendente), licenziamento nullo (lo dichiara il giudice) o intimato in forma orale; INDENNITA’ - indennità risarcitoria per licenziamento economico “giustificato” (perché se il giudice non lo ritiene tale può sempre disporre diversamente), dettato cioè, da motivi legati alla riorganizzazione aziendale: in casi di tal genere si parla di "giustificato motivo oggettivo" (che il giudice comunque esamina), e in alcuni casi di tipo disciplinare (giustificato motivo soggettivo e giusta causa);REINTEGRO – il giudice può tuttavia intimare il reintegro, se valuta e stabilisce l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, nei casi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o giusta causa.In sostanza il licenziamento E’ ILLEGITTIMO se non vengono comunicati, o non sono veri, i motivi che lo hanno determinato; E’ ILLEGITTIMO se il giudice riscontra il mancato rispetto della procedura, riguardo agli obblighi dell’azienda in termini di contestazioni disciplinari;La riforma introduce anche una eventuale procedura di conciliazione che prevede un’offerta economica che, se accettata, comporta la rinuncia a impugnare il licenziamento.Le regole per i nuovi assunti valgono anche nelle aziende con meno di 15 dipendenti, detto in altri termini, in caso di licenziamento per giustificato motivo soggettivo, o giusta causa, non c’è solitamente "reintegro", a meno che, secondo il giudice, non si tratti di licenziamento discriminatorio. CONTRATTO A TUTELE CRESCENTI

La riforma ha introdotto il cosiddetto "Contratto a tutele Crescenti", in prospettiva per tutti, (nel senso ovviamente di una gradualità di introduzione, che deve tenere di conto dei nuovi assunti e dei vecchi assunti, a partire da una certa data, ma questa è la caratteristica di ogni riforma).

Cerco di non dilungarmi, ma all’occorrenza si può sempre approfondire, Il Contratto "a Tutele Crescenti" è un contratto di lavoro subordinato a "TEMPO INDETERMINATO" (Questa è la novità). Questo contratto prevede un sistema di garanzie e indennizzi economici che aumentano per ogni anno di servizio del lavoratore, fermo restando le possibilità di reintegro nel rapporto di lavoro, nei casi di licenziamento illegittimo sopra individuati. Il contratto a tutele crescenti va a sostituire molte forme preesistenti di contratto, fornendo garanzie più uniformi per tutti.

NOTA: giova ricordare che in molti contratti è sempre esistito il cosiddetto "periodo di prova", ma anche questo è un altro discorso.Quanto agli indennizzi (cerco di sintetizzare al massimo per come ho capito io):- Per le Aziende con più di 15 dipendenti, è prevista una indennità pari a 2 mensilità per ogni anno di anzianità, con un minimo di 4 fino ad un massimo di 24 mensilità. Ovvero, il dipendente con 3 anni di anzianità prenderebbe 6 mensilità;- Per le Aziende con meno di 15 dipendenti, è prevista una indennità pari a 1 mensilità per ogni anno di anzianità, con un minimo di 2 fino ad un massimo di 6 mensilità. Ovvero, il dipendente con 3 anni di anzianità prenderebbe 3 mensilità;NOTA: nelle aziende con più di 15 dipendenti la forbice 4/24 mensilità è stata allargata a 6/36 mensilità, dalla modifica introdotta con il successivo "Decreto Dignità", e quindi si deduce che, spazzando via il Jobs Act con il referendum, si tornerebbe alla legislazione precedente (“Fornero”) con un indennizzo inferiore, quindi il referendum peggiorerebbe in questo caso la situazione, e a dirla tutta non farebbe neppure ritornare l’Art.18 come era originariamente, ovvero prima della riforma Fornero.

Perché dico questo? Perché, anche dal punto di vista tecnico, i quesiti referendari promossi dalla Cgil, non produrrebbero gli effetti desiderati dai promotori, in quanto abolirebbero un Jobs Act nel frattempo modificato e ampliato, che non è più lo stesso, anche a seguito delle sentenze della stessa Corte Costituzionale, che nel frattempo ne hanno corrette alcune parti.E infatti, ED E’ QUESTO IL MITO DA SFATARE, se pure fosse cancellato, non si tornerebbe all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori del 1970. Si tornerebbe, semmai, alla legge precedente, ovvero alla "Monti-Fornero del 2012", normativa che aveva già precedentemente modificato la misura del "reintegro", ampliando le fattispecie di licenziamento e diversificato le sanzioni, ripristinando così, in termini di garanzie, condizioni più restrittive, È QUESTO IL RUSULTATO CHE SI OTTERREBBE.

I Referendum sono quindi, secondo un ragionamento logico, un mero atto "IDEOLOGICO", che non migliora proprio niente, anzi, introduce nuovi elementi di divisione dentro lo stesso partito che a suo tempo aveva varato la riforma con i voti di tutti, divisioni che verrano estese a tutto il Centrosinistra più per una sorta di pregiudizio ideologico di rifiuto del "riformismo" che altro (è la mia opinione, ma a quanto vedo non solo la mia… a giudicare almeno dai vari commenti, a cominciare dal responsabile economico del Partito nominato dalla stessa Schlein)..

L’ULTIMA COSA: LE FALSITÀ…Passando alle conclusioni, non resta quindi che sottolineare alcune cose false che sono sempre state dette, generando dei “luoghi comuni”, e che sottolineano quell’approccio ideologico di cui sopra.Tralascio (sempre per necessità di sintesi) tutte le obiezioni che vengono rivolte alla Segretaria PD su un gesto (quello di firmare per i referendum) che divide soprattutto il partito anziché ricercare una sintesi, come sarebbe compito di un Segretario.Quello che più stupisce, e insospettisce, è la "naturalezza" con cui vengono fornite notizie false… fino a farle diventare vere…Si dice:"IL JOBS ACT NON HA INCREMENTATO L’OCCUPAZIONE E I POSTI DI LAVORO STABILI, HA AUMENTATO LA PRECARIETA’".

E’ accaduto esattamente l’opposto, primo, perché non c’è stata quella ondata di licenziamenti che veniva paventata (tipo uno "tsunami"), e secondo, tutt’ora i contratti a tempo indeterminato sono in aumento, con l’occupazione che tende anch’essa ad aumentare, nonostante il successivo ridimensionamento degli incentivi sui contratti a tutele crescenti.Negli ultimi 15 anni il lavoro stabile è aumentato.

E’ FALSO quindi sostenere che il Jobs act ha "aumentato il precariato". I dati Inps e Istat dicono il contrario di quello che sostiene il leader della Cgil Maurizio Landini: in sostanza, e senza "cavillare", negli ultimi quindici anni le probabilità di essere licenziati se non sono diminuite sono rimaste invariate, mentre i rapporti di lavoro a tempo indeterminato sono aumentati, sia in valore assoluto, sia in percentuale sul totale della forza lavoro, e anche gli stessi rapporti "a termine", se non sono diminuiti sono rimasti circa un sesto del totale, in linea peraltro con la media Ue.Per l’esattezza, secondo le serie storiche dell’Istat a marzo 2015 il numero di occupati in Italia era di 22.014.000, a marzo 2024 siamo arrivati a 23.849.000 (+1.835.000).Gli occupati permanenti, ovvero gli assunti a "tempo indeterminato", nello stesso periodo (marzo 2015/marzo 2024), sono passati da 14.316.000 a 15.966.000 (+1.650.000), mentre l’occupazione "a termine", a marzo 2024, è a quota 2.828.000, senza particolari boom, in linea appunto con le medie europee.Se non si può giustamente dire che il merito di tutto questo sia del Jobs act, non si può certo sostenere che sia stata una "catastrofe"...

CONCLUDENDO…il Jobs Act è stato quindi non un peovvedimento unico, tantomeno riguardava un solo punto (cosa da ribadire perché molti non l’hanno ancora capito)… E’ stata una "Riforma complessiva", attuata peraltro in più passaggi temporali, certo anche con imperfezioni e lacune (altrimenti non vi sarebbero stati i successivi interventi), ma ha introdotto anche aspetti assolutamente positivi, ovvero:- ha contribuito ad allargare ed estendere gli ammortizzatori sociali a chi prima non li aveva;- ha contrastato la pratica delle dimissioni in bianco;- ha allungato il periodo della Naspi;- ha investito sulle politiche attive del lavoro;- ha eliminato i contratti a progetto;- ha contrastato il falso lavoro autonomo, e i falsi "tirocini",- ha contribuito a ridurre drasticamente i contenziosi e le vertenze legali.Più precisamente,p nei primi due anni la diminuzione è stata di oltre il 56%. Dalle 1.246 vertenze del 2016, si è passati alle 490 del 2017. Addirittura, nel 2013 erano state più di 4.300, e l’anno prima quasi il doppio: 8.019.

Cercando poi di essere più possibile obiettivo, è giusto ribadire che l’aumento dell’occupazione non è frutto del Jobs Act in quanto tale, quanto semmai degli sgravi contributivi introdotti, la riprova è data dal fatto che venendo meno gli incentivi (che sono stati ridotti dai governi successivi, nel silenzio generale) pur mantenendo la tendenza all'incremento, la stessa si è affievolita.In linea generale comunque, nonostante le variazioni intervenute, se la riforma ha modificato (non eliminato) l’Art.18, ha reso comunque più conveniente, per le aziende, l’adozione di contratti a tempo indeterminato.

Evito di fare il riepilogo dei punti, e vi saluto.Se poi qualcuno vorrà spiegarmi, con argomenti, a cosa serve il referendum e che le cose sono diverse da come le ho esposte, lo ringrazierò...

Buona Domenica

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4/2/2025 - 11:12

AUTORE:
Andrea Paganelli

Ogni contributo è positivo perché serve a ragionare, facciamolo.
Penso che il problema non sia quello di vedere che cosa ha modificato la riforma (peraltro modificata, peraltro, come confermato, perfezionata e corretta da interventi successivi) quanto semmai comprendere e spiegare bene ai cittadini:

1) che la riforma non ha fatto altro che adeguare i meccanismi italiani a quelli del resto d'Europa, prendendo atto che il rapporto di lavoro non può essere un "matrimonio indissolubile", ed occorre quindi regolare e monetizzare bene la parte della "separazione".

2) che con la eventuale vittoria del si al referendum non si ripristina affatto la situazione ante 2012 bensì quella della Monti-Fornero, che prevede minori garanzie, nel frattempo introdotte;

3) riprecisare che l'art.18, come era impostato precedentemente, valeva solo per il 7% delle aziende.

È sbagliato quindi insistere nell'errore, e se lo si fa resta solo la spiegazione del pregiudizio ideologico.

La motivazione dei proponenti è sempre stata mossa dalla aspirazione ad un sostanziale allargamento di garanzie e soprattutto ad un freno alle espulsioni, soprattutto quelle per motivazioni economiche, che è giusto ricordare si lamentava sarebbero arrivate a valanga (così si diceva e non è stato).
I dati dicono esattamente il contrario, in 4 anni non c’è stato alcun boom di licenziamenti, che sono, al contrario, diminuiti del 1,3%.
Con o senza articolo 18 il rischio di licenziamento nel nostro paese è rimasto invariato, intorno all’1,4% annuo, ed anche secondo l'Osservatorio Statistico dei Consulenti del Lavoro il contratto "a tutele crescenti" non presenta maggiore rischio di licenziamento rispetto a quello soggetto al regime precedente, tant’è che si è rilevato che il contratto a tutele crescenti, per i neoassunti, "sopravvive" di più rispetto a quello tradizionale, ed anche il numero dei licenziati neoassunti è inferiore.

Ripetuto quindi tutto questo (e si potrebbe dire altro) ai cittadini chiamati al voto referendario si dovrebbe spiegare, con chiarezza, se la situazione alla quale si tornerebbe, in caso di vittoria del si, diverrebbe migliore o peggiore della attuale.
Forse in modo piuttosto prolisso (ma è un tema complesso) penso di averlo fatto.

2/2/2025 - 15:56

AUTORE:
Mario Franchi

Riforma Articolo 18 e Licenziamento: Cosa Cambia nel 2012?
Con la riforma dell’articolo 18 del Governo Monti (nota anche con il nome di Riforma Monti-Fornero), sono previsti vari cambiamenti anche per quanto riguarda i licenziamenti.
Approfondiamo quindi che cosa cambierà nella disciplina del licenziamento con questa riforma del 2012 all’Articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. A seconda della tipologia di licenziamento, valutiamo quindi la situazione attuale e cosa cambierà con la Riforma del Lavoro 2012.

Licenziamento Individuale per Motivi Economici
Riforma Articolo 18 Licenziamento 2012Situazione attuale. Il licenziamento individuale per motivi economici (conosciuto anche con il nome di licenziamento per giustificato motivo oggettivo), è possibile per motivi collegati all’attività produttiva dell’azienda, all’organizzazione del lavoro o al suo regolare funzionamento. Ad esempio si ha la possibilità di un licenziamento economico quando l’azienda con più di 15 dipendenti cessa l’attività oppure quando viene meno la mansione lavorativa ricoperta dal lavoratore e non è possibile una sua ricollocazione in altre mansioni. Il giustificato motivo deve essere valutato dal datore di lavoro e il Giudice ha poi il solo compito di accertare l’effettiva sussistenza del giustificato motivo.

Cosa cambia con la Riforma Articolo 18. In base alla bozza del testo della riforma, nel caso in cui il Giudice accerti l’inesistenza del giustificato motivo addotto dal datore di lavoro nella lettera di licenziamento, il lavoratore avrebbe diritto ad un’indennità risarcitoria (“indennizzo” o “risarcimento”) compresa tra le 12 e le 24 mensilità dell’ultime retribuzione globale. Inoltre, nel caso in cui il Giudice accerti la “manifesta insussistenza” del motivo del licenziamento (nelle aziende con più di 15 dipendenti), è previsto il reintegro. Quindi il giudice, se non sussiste il motivo del licenziamento (deve essere “manifestamente insussistente”), può decidere tra reintegro e indennizzo. Se invece il motivo economico che ha determinato il licenziamento sussiste, il lavoratore viene licenziato e non ha diritto né al reintegro né all’indennizzo.

La prima versione della “Riforma Fornero” prevedeva che per i licenziamenti economici fosse previsto sempre e solo un indennizzo economico compreso tra le 15 e le 27 mensilità e non prevedeva invece il reintegro.

È stata proposta anche la conciliazione obbligatoria per i licenziamenti economici, per cercare di risolvere più velocemente le controversie tra lavoratore e datore di lavoro. In pratica se il datore vuole licenziare per motivi economici deve comunicarne l’intenzione e sarà la Direzione Territoriale del Lavoro (o DTL), che ha 20 giorni di tempo per convocare datore e lavoratore (che può anche essere assistito dai sindacati), a cercare una conciliazione tra le parti.

Licenziamento Discriminatorio
Situazione attuale. Il licenziamento per motivi discriminatori, qualunque sia il numero di dipendenti dell’azienda, è valido nel caso in cui il Giudice non riconosca la “discriminazione”. Il lavoratore però può impugnare il licenziamento e, se il giudice ritiene fondato il ricorso e accerta l’elemento discriminatorio, il dipendente viene reintegrato e ha diritto ad un risarcimento danni pari ad un minimo di 5 mensilità e al versamento dei contributi previdenziali. Il lavoratore ha comunque la facoltà di rinunciare al reintegro e optare per l’ottenimento di un’indennità. Esempi di licenziamento discriminatorio sono il licenziamento per la fede religiosa, il credo politico o l’attività sindacale del dipendente, oppure il licenziamento nel periodo che precede la gravidanza o il matrimonio.

Cosa cambia con la Riforma Articolo 18. La disciplina dei licenziamenti discriminatori non viene cambiata dalla riforma del lavoro 2012.

Licenziamento Disciplinare
Situazione attuale. I licenziamenti disciplinari sono il licenziamento per giusta causa e il licenziamento per giustificato motivo soggettivo. Il licenziamento per giusta causa è valido quando i fatti attribuiti al lavoratore licenziato sono talmente gravi da compromettere in modo irrimediabile il rapporto di fiducia con il datore di lavoro. Nel giustificato motivo soggettivo invece l’inadempimento del dipendente è di minore entità.

dal network
Luglio 29, 2022

La Corte Costituzionale interviene ancora sull’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori – Commento del Prof. Oronzo Mazzotta

Lo scorso 19 Maggio la Corte Costituzionale con la sentenza n. 125 è intervenuta ancora una volta sull’art. 18 dello statuto dei lavoratori, come modificato dalla riforma Monti-Fornero del 2012.

La parte su cui è intervenuta la Corte riguardava l’ambito di applicazione della tutela reintegratoria. Secondo il testo della norma il lavoratore ingiustamente licenziato avrebbe avuto diritto ad essere reintegrato solo in caso di “manifesta insussistenza” del fatto posto a base di un licenziamento economico, negli altri casi invece avrebbe avuto diritto solo ad una tutela economica.

La Corte ha ritenuto però che limitare alla sola “manifesta” insussistenza la tutela reale è discriminatorio ed irragionevole ed ha quindi espunto dal testo della disposizione l’attributo “manifesta”. Ne deriva che ora al lavoratore ingiustamente licenziato spetta la tutela reale in caso di semplice “insussistenza” del fatto invocato dal datore di lavoro.

Cosa cambia con la Riforma Articolo 18. Ci sono due possibilità. Nel caso in cui il Giudice provi che non ci siano gli estremi per un licenziamento per giusta causa o giustificato motivo in quanto il fatto non è stato commesso o nel caso in cui il motivo non sia previsto dai contratti di settore, può decidere il reintegro del lavoratore e il pagamento di un’indennità economica. Confermato quindi che ci sia sempre il reintegro del lavoratore quando manca il giustificato motivo o la giusta causa del licenziamento. In tutte le altre casistiche verrà pagato solo un indennizzo compreso tra le 12 e 24 mensilità (prima era tra 15 e 27 mensilità).



[Articolo aggiornato al 10/04/2012]