Manca un mese alla scadenza del concorso internazionale “Equilibri”, promosso da MdS Editore con il sostegno del Parco Naturale Migliarino San Rossore Massaciuccoli, di Unicoop Firenze e dell’Associazione Culturale La Voce del Serchio, in un progetto che unisce cultura, territorio e riflessione sociale.
C’è tempo fino al 10 luglio 2025 per partecipare alla seconda edizione del concorso artistico e letterario Equilibri, promosso da MdS Editore, realtà indipendente da sempre attenta alla valorizzazione dei nuovi linguaggi espressivi.
Era il 1970, fiera di Città del Messico, all’ombra di una bandiera simile a quella dell’Italia nei colori e posizione tranne un loro stemma centrale, un’aquila reale che stringe un serpente.
Bel popolo, bella lingua, poco lavoro perché l’enorme spazio per le nazioni partecipanti aveva padiglioni di ferro altissimi e con colonne simil palme e intorno laghetti e viali, lasciando da fare alla squadra solo gli stand delle ditte. Sistemazione in un albergo vicino tanto da non usare altri mezzi se non “la carrozza del Gambini” e un cambio della mia camera al terzo piano con l’appartamento al piano terra dell’ingegnere capo (C.B) che accettai volentieri e solamente dopo giorni mi fu spiegata la faccenda. Lui era stato l’anno precedente nello stesso albergo e nelle stesse stanze dove aveva “ospitata” una ragazza, figlia di un malavitoso, promettendole di portarla in Italia, promessa che invece non mantenne. Il boss, chiamato El rojo, era noto per aver inseguito per mezzo Messico due lavoranti che lo avevano tradito, uccidendoli e C.B. aveva paura che l’uomo fosse venuto a conoscenza del suo arrivo e l’appartamento aveva finestre accessibili dalla strada, troppo insicure.
In uno spazio del parco della fiera arrivò un circo italiano, non ricordo il nome, dove si esibiva in tuffi e capriole un giovanotto che si faceva chiamare “Tarzàn” e che mi rassomigliava in qualche particolare: capelli lunghi, altezza, spalle e anche perché era Italiano, romano e si chiamava Roberto. Quelli che lavoravano nel parco quando mi incontravano mi chiamavano, ridendo: Hola Tarzàn!
Il bello fu che il ministro all’agricoltura, che controllava i lavori e che aveva due figli amanti della palla a nuoto, mi chiese se potevo andare a giocare con loro nella piscina della villa. Una cosa massacrante!
Con il ministro, Gilberto si chiamava, si creò un’amicizia tanto da darci e farsi dare del tu e da accompagnarci (io e CB.) a visitare le piramidi azteche a Teotihuacan, circa quaranta chilometri da Città del Messico (la foto di apertura: ministro moglie C.B e io).
Dovevamo ricambiare la cortesia e a CB venne l’idea di invitarlo a cena nel suo (mio) appartamento fidandosi del mio “estro” culinario.
Vino facile, primo facile: spaghetti aglio olio e peperoncino, secondo da pensare! La risposta fu il giorno dopo quando salii in cima alle colonne del padiglione per far passare dei cavi elettrici e dove trovai nidi di piccioni con nidiacei ben messi e già impiumati.
Deciso il secondo: piccioncini arrosto!
La cena andò benissimo, bevemmo e scherzammo e alla fine venne la temuta domanda; cosa eran quegli uccelli? Alla risposta urlò: “No, no se pueden comer palomas!”.
Mangiare la paloma, il simbolo del Messico! Assurdo!
Gilberto si calmò e ci promise che non lo avrebbe detto a nessuno, eravamo troppo importanti per la città!
In questi ricordi di lavoro e di incontri non sto seguendo un datario esatto, mi vengono passo passo a sprazzi e non sono legati gli uni agli altri. Quell’anno il primo maggio, si festeggiava anche in Messico, cadeva di venerdì, data perfetta per fare un piccolo ponte, ma i lavori non davano tregua. L’inaugurazione era lontana ed ebbi il permesso di fare un piccolo ponte sabato e domenica: “lunedì mattina qui, sennò son dolori”. La sera uscii sul tardi e fermai il primo taxi che trovai.
“A dónde vamos?” chiese il tassista. “Acapulco” risposi deciso. Lui rimase fermo guardandomi fisso e dopo un po’:
“Espera, voy a casa para decirle a mi esposa”.
Andammo a casa sua, parlammo con la moglie giurando che saremmo stati attenti, lui fece addirittura una valigia, un saluto e via al mare.
Dal ponte del Serchio di Migliarino a Roma ci sono 340 km. tanti quanti da Città del Messico ad Acapulco e allora? Dov'è il problema!
Dopo un’ora circa di viaggio ci fermammo in una stazione di servizio dove c’erano due ragazzi che chiesero un passaggio fino alla nostra destinazione e che vennero subito accettati in quella strana combriccola. Poche parole ma “fermiamoci a bere” era detta un poco troppo spesso. La superstrada aveva stazioni di sosta ogni 30 chilometri e noi le rispettammo tutte facendo rifornimento di benzina tequila e caffè, tutti e quattro, pagando una volta ciascuno, ormai eravamo un gruppo, forse di “briai”. Arrivammo al mare che albeggiava, facemmo un ultimo pisolino e poi ognuno per conto suo: “Hola amigos”.
Una spiegazione del perché avevo scelto quella località famosa nel mondo per la bellezza del mare e la famosa Quebrada con i suoi temerari tuffatori che sfidano le onde dell’oceano in una gola fra gli scogli, quella era una, ma avevo promesso ad una ragazza “araba” conosciuta nella Plaza de toros a vedere una corrida e che mi disse di possedere una villa ad Acapulco dove sarebbe andata per il primo maggio dandomi il suo numero di telefono.
A proposito di corrida fui attratto dal folclore e non dalla voglia di vedere ucciso un toro. L’ambiente, la Plaza de toros, era più che eccitato, gli urli sovrastavano la musica e l’allegria dei presenti aumentava nel passar del tempo passandosi quelle fiaschette ovali di pelle tipo i nostri vecchi portapolvere da sparo. Quello di destra te lo porgeva, tu bevevi e lo passavi al vicino a sinistra e la fiaschetta girava le gradinate. Io mi chiedevo se fosse igienico ciucciare tutti dallo stesso beccuccio, ma imparai subito il rimedio, dovevi avvicinare la piccola apertura alla bocca, stringere la pancia della fiaschetta e allungare il braccio indietro in modo che lo zampillo al contrario facesse da bicchiere!
Ritorniamo ad Acapulco: aspettai fino a metà mattina per telefonare:
”hola, me gustaría hablar con Uaded” e mi rispose una voce di donna non rivolgendosi però a me: “Uaded, hay italiano!”
Tutto il mondo è paese!
Ah le mamme!
Il pomeriggio poltrone e tequila sul terrazzino della Quebrada a vedere i tuffi sempre più ardimentosi, ma che calcolavano l’innalzamento dell’onda spinta nella fessura. Poi il giorno dopo in giro con l’elicottero del padre di Uaded, bevute del liquido di mozzate verdi noci di cocco allungato con ri-tequila e venne veloce l’ora del rientro. La stazione dei pullman per Città del Messico era nel più completo caos con migliaia di persone che volevano ritornare nella capitale. A me toccò il bus 56!
Per quando? Mah! Il giorno dopo con il problema del lavoro che avevo promesso non avrebbe avuto ritardi!
Verso mezzanotte mi feci coraggio e andai a parlare con l’autista del mezzo che stava partendo, il 28! “buo di ‘ulo” mi dissi e culo lo ebbi ad una condizione, dopo avere spiegato che il lunedì sarebbe dovuta aprire la “Feria Internacional” ed io dovevo assolutamente essere lì in mattinata. La condizione era peggio di un mal di denti o di una frattura all’indice destro: avrei dovuto fare il viaggio (pensate…gratis) a sedere sul cassone del motore che era, nei vecchi mezzi di trasporto, accanto al sedile dell’autista. Immaginatevi 4-5 ore di quel supplizio ma il dovere era il dovere!
Mi feci scendere proprio davanti al cancello e proprio mentre arrivava CB e gli altri che non mi fecero domande.
Una domanda però me la fece Gilberto:
“Cuándo se comen otras palomas?”
p.s. dall’aeroporto mandai un mazzo di rose rosse alla mamma di Uaded.
p.p.s Allo Stadio Azteca di Città del Messico: finale 9ª Coppa del Mondo Brasile – Italia. Dopo un primo tempo abbastanza equilibrato durante il quale la squadra italiana riuscì a pareggiare con un rocambolesco gol di Roberto Boninsegna, ma, guarda caso, la televisione messicana inserì una pubblicità in quel preciso momento, cosa che ci fece abbandonare il bar e fu un bene perché gli altri tre gol dei brasiliani non li vedemmo! 4 a 1.
p.p.p.s. ad Acapulco andai senza macchina fotografica, non volevo essere un “turista per caso”!