Manca un mese alla scadenza del concorso internazionale “Equilibri”, promosso da MdS Editore con il sostegno del Parco Naturale Migliarino San Rossore Massaciuccoli, di Unicoop Firenze e dell’Associazione Culturale La Voce del Serchio, in un progetto che unisce cultura, territorio e riflessione sociale.
C’è tempo fino al 10 luglio 2025 per partecipare alla seconda edizione del concorso artistico e letterario Equilibri, promosso da MdS Editore, realtà indipendente da sempre attenta alla valorizzazione dei nuovi linguaggi espressivi.
Il suicidio referendario del “campo largo”. Le conseguenze politiche dopo il naufragio del voto
Il suicidio referendario del cosiddetto “campo largo” era stato annunciato da chiunque avesse una minima percezione della realtà effettuale del Paese.
La destra era compiaciuta, la sinistra liberale allarmata da tale ostinazione autodistruttiva. Ora che tutto consummatum est, ci tocca il compito di capire le conseguenze.
Una crisi democratica?
La prima è che il sedicente “campo largo” ha aritmeticamente dimostrato di non essere in grado di rappresentare un’alternativa credibile di governo rispetto alla destra. Landini ha fornito della sconfitta un’interpretazione allucinatoria: siamo nel bel mezzo di “una crisi democratica”. Nell’epoca berlingueriana questa analisi era una potente motivazione per muovere verso un governo di compromesso storico e di unità nazionale. Dubitando che questa sia l’intenzione di Landini-Schlein-Conte-AVS, ne consegue oggettivamente un’altra: l’accumulazione primitiva di ogni tipo di radicalismo, di ribellismo, di antagonismo, di richiesta di assistenzialismo. Donde il ridicolo conteggio: abbiamo avuto più votanti della Meloni. Auguri! Come a dire: ad una destra di governo opponiamo “un campo largo” di milioni di No, ciascuno organizzato in aree di interessi contrapposte ad ogni altra. Solo che “la crisi democratica” o, forse meno avventurosamente, “la stanchezza democratica” è esattamente il prodotto dell’incapacità dell’opposizione di costruire un’alternativa di governo. La mancanza di alternanza rende più debole e più annoiata la democrazia. Il “non-governo” non è mai stato alternativo a nessun governo.
Come arrampicarsi sullo specchio di una débacle
A questo punto interviene Stefano Bonaccini, che viene dato per “riformista”, il quale raccomanda di non drammatizzare circa i bassi numeri della partecipazione referendaria. In fondo, dice, l’astensionismo sta ormai crescendo persino nelle elezioni amministrative, in molti casi si sta sotto il 50%. Come a dire: mal comune, solo mezza infelicità. Riccardo Magi, a sua volta, parla di “astensionismo organizzato”. Sfugge ai due che l’astensione in un referendum ha un ruolo diverso. Se non vado a votare per il Sindaco, lascio agli altri la scelta. Se non vado a votare al referendum, io “voto contro”. Non andare a votare è partecipazione elettorale. Non solo è legittimo, ma è politicamente efficace.
Perché il referendismo?
Il ricorso al referendum da parte di Landini-Schlein-Magi- Bonelli-Fratoianni è stato deciso furbescamente per due ragioni: una riguarda il meccanismo dei quesiti referendari, l’altra è brutalmente politica politicante.
Quanto al meccanismo: i quesiti di un referendum abrogativo devono precisare minuziosamente gli articoli e i commi di una legge che ci si propone di abolire. L’effetto di tali tecnicismi è assai spesso l’incomprensibilità del quesito. Ai quali, dunque, si sostituisce facilmente una versione in slogan semplici e propagandistici. Così può accadere che il quesito relativo all’abolizione del “Jobs Act” sia presentato come ripristino delle tutele dei lavoratori, quando invece approda al loro contrario.
Parole d’ordine generale coprono e falsificano le conseguenze reali della proposta di abolizione. Il referendum sulla cittadinanza – che non soltanto non ha raggiunto il quorum, ma ha significativamente totalizzato il 34,5% dei NO – si limita a dimezzare il tempo di riconoscimento della cittadinanza, ma nulla può dire circa l’accertamento del possesso dei requisiti necessari per il suo conseguimento, il primo dei quali è la conoscenza della lingua e dunque della cultura e della storia del nostro Paese.
La cittadinanza è una faccenda seria. Chi ha votato NO non è necessariamente contrario alle politiche di integrazione, ma diffida della nostra capacità come Stato-nazione di integrare in breve tempo gli immigrati e, soprattutto, di verificare il possesso dei requisiti di cittadinanza. E’ noto che esistono forze politiche che sono contrarie tout court all’integrazione. Accettano solo accettare la filosofia dei Gast-Arbeiter, dei “Lavoratori-ospiti” alla tedesca. Ma chi è favorevole all’integrazione per cittadinanza ritiene tuttavia che la battaglia culturale e politica per realizzarla sia assai più complessa di quella prevista dalla via referendaria. L’uso della spada referendaria per sciogliere i nodi di Gordio è inefficace e controproducente.
La politica come non-governo
La seconda e più cogente ragione del ricorso al referendum è stata un’idea povera della politica: la politica come non-governo. Del resto il metodo referendario è solo la continuazione con altri mezzi di una modalità prevalente delle opposizioni di stare in Parlamento fatta di comizi, di chiassate gestuali, di invettive, di attacchi personali. La politica è ridotta a propaganda gridata, a show televisivo, a tweet sbrigativo, a tifoseria. Non deve stupire che gli elettori si stiano stufando non del metodo referendario, ormai sempre più inadeguato e certamente da ripensare radicalmente, ma della politica dei partiti. Se i partiti non mi lasciano scegliere la persona che mi rappresenta nelle istituzioni e non mi permettono di scegliere il governo, perché dovrei andare a votare? Gli Italiani sono i più consultati referendariamente a livello europeo, ma, a quanto pare, i meno presi sul serio. I partiti, d’altronde, hanno sempre diffidato dell’intervento legislativo diretto degli elettori ed hanno costruito appositamente l’attuale meccanismo barocco dell’istituto referendario. E’ pertanto anche da dubitare che lo vogliano riformare.
Bonaccini non ha torto: sul referendum si stende l’ombra dell’inanità della politica. Solo che non è affatto consolante.
Il fallimento del referendum non sarà del tutto inutile, se ciascun soggetto sociale e politico tornerà doverosamente a fare il proprio mestiere, che consiste nell’affrontare ciascuno – partiti, corpi intermedi, sindacati, forze intellettuali – la complessità della società e le sfide globali, a partire dalla propria ragione sociale.
La lezione vale, in primo luogo, per Landini, che si contende con Elly Schlein la medaglia di legno: incapace di fare sindacato, ma non perciò capace di fare politica.