Manca un mese alla scadenza del concorso internazionale “Equilibri”, promosso da MdS Editore con il sostegno del Parco Naturale Migliarino San Rossore Massaciuccoli, di Unicoop Firenze e dell’Associazione Culturale La Voce del Serchio, in un progetto che unisce cultura, territorio e riflessione sociale.
C’è tempo fino al 10 luglio 2025 per partecipare alla seconda edizione del concorso artistico e letterario Equilibri, promosso da MdS Editore, realtà indipendente da sempre attenta alla valorizzazione dei nuovi linguaggi espressivi.
Tu vuo’ fa’ il russo - La tragedia dell’America complice di Putin, e delle stragi di ucraini
Trump non consegna più a Kyjiv le armi difensive per proteggere le città ucraine dai missili e dai droni di Mosca. Non sappiamo con certezza perché lo faccia, ma sappiano che fa il gioco del despota del Cremlino
Donald Trump ha deciso di bucare lo scudo aereo ucraino costruito dal suo predecessore alla Casa Bianca per intercettare i missili e i droni russi lanciati da Vladimir Putin contro le città ucraine con l’obiettivo preciso di uccidere i civili.
Si Joe Biden ha salvato l’Ucraina e l’Europa, e nel 2020 anche l’America lasciando Trump a casa, ma avrebbe potuto fare molto di più per il paese aggredito dalla Russia, anche se va considerato il contesto politico e culturale in cui si è trovato. A Washington, in nome della Realpolitik, c’è tradizionalmente la tendenza ad assecondare i capricci russi, per paura che l’alternativa al nemico conosciuto possa essere peggiore.
Quando Ronald Reagan definì l’Unione Sovietica «l’impero del male» e si preparò alle guerre stellari, l’establishment della politica estera americana, sia repubblicano sia democratico, credeva fosse un pericoloso estremista. Il suo successore Bush senior parlò alla Rada di Kyjiv, il Parlamento, per convincere gli ucraini a non dichiarare l’indipendenza, in un discorso passato alla storia col nome «Chicken Kyjiv», uno dei piatti tipici della capitale, ma anche un modo per dire che Bush si era ritirato come un coniglio dalla battaglia per la libertà e contro la tirannia del Cremlino.
Bill Clinton convinse gli ucraini a cedere quasi duemila testate nucleari ai russi, in cambio di garanzie sulla sicurezza e sull’integrità territoriale, ma sappiamo come è andata a finire.
Una volta eletto, Bush figlio disse che aveva guardato negli occhi Vladimir Putin e aveva visto la sua anima gentile, mentre la sovietologa Condi Rice, segretario di Stato di Bush figlio e allieva politica di Bush padre, spiegava agli esperti dell’area quanto fosse pericoloso abbandonare il potere del Cremlino al suo destino.
Barack Obama inaugurò la dottrina del reset, della ripartenza sotto nuovi auspici dei rapporti politici con la Russia, che nel frattempo però aveva invaso la Georgia, e poi anche l’Ucraina orientale e la Crimea, e mandò la sua segretaria di Stato Hillary Clinton a partecipare a una grottesca cerimonia a Mosca con l’omologo Sergei Lavrov e un grande bottone rosso da premere per inaugurare il reset.
Con questi precedenti, il povero Joe Biden ha fatto un miracolo politico nell’aiutare come ha potuto l’Ucraina, mentre i suoi consiglieri per la sicurezza nazionale come Jake Sullivan lo invitavano alla prudenza e lo ingabbiavano nella politica sintetizzabile così: «Date all’Ucraina la metà di quello che le serve, e fatelo il più tardi possibile» (Sullivan proprio ieri ha scritto un commento sul New York Times per lamentarsi del tradimento trumpiano nei confronti dell’alleato ucraino, cosa ovviamente verissima e deprecabile, ma visto l’autore senza che il giornale più importante del mondo titolasse l’articolo del principale responsabile della cautela nell’aiutare l’Ucraina con un bel «malimorté»).
Poi è arrivato Trump, e il Cremlino ha cominciato a guidare la politica estera non solo a Mosca, ma anche a Washington, in un modo che forse (forse) nemmeno Putin avrebbe mai potuto immaginare, fino alla sceneggiata mafiosa nello Studio Ovale con Volodymyr Zelensky e alla decisione di queste ore di ridurre ulteriormente la protezione americana delle città ucraine.
Ogni volta che Trump ripete la propaganda russa e si impegna a far passare Putin come una povera vittima mi chiedo perché faccia così apertamente il gioco per Mosca. L’unica spiegazione possibile, oltre a quella che sia completamente scemo, ha a che fare con questioni mai veramente provate di rapporti privatistici tra Trump e Putin che andrebbero ben oltre la famosa collusion, la complicità con il Cremlino per conquistare la Casa Bianca e distruggere il mondo libero.
Non sappiamo perché Trump faccia il gioco di Putin, ma sappiamo che cosa fa: Trump è corresponsabile della strage di ucraini, facilita il progetto imperialista di Mosca, favorisce l’attacco militare e ibrido del Cremlino al sistema liberal-democratico dell’Europa, e contribuisce a indebolire lo stato di diritto negli Stati Uniti. L’America una volta era il paese delle opportunità, il paese dove tutti, americani e no, potevano aspirare a realizzare il sogno di una vita migliore, e chi era costretto a rimanere fuori si accontentava di voler fare l’americano.
Trump vuole fare il russo, il Putin d’America, e ci sta riuscendo.