Una serata di storie, sapori e voci.
Abbiamo scelto un gustoso menù vegetariano e un filo rosso di racconti: Silvia Belli condurrà l’incontro, presentandoci alcuni autori MdS; Daniela Bertini darà voce a brani tratti dai loro libri.
Con il biglietto è incluso un libro MdS a scelta dal catalogo: lo scegliete voi, al tavolo.


La svolta irreversibile di Netanyahu in Medio Oriente
Mentre in Medio Oriente si muovono i primi passi lungo l’itinerario del piano di cessate il fuoco e di una possibile pace a Gaza – elaborato dall’Amministrazione americana in accordo con Israele e con i Paesi arabi moderati – la realtà torna a ricordarci che la storia, talvolta, ha bisogno di uomini capaci di resistere alle tempeste, anche quando soffiano contro di loro con forza implacabile.
È il caso di Benjamin Netanyahu, nel nostro tempo, e di Winston Churchill negli anni dal 1940 al 1945. Anche il Primo Ministro britannico fu oggetto di critiche e contestazioni feroci da parte di settori non marginali dell’opinione pubblica, delle forze politiche e dell’establishment interno e internazionale del suo tempo. Entrambi, dunque, hanno affrontato un’opposizione ideologica che ha spesso cercato di sminuirne la visione, di ostacolarne le scelte, di metterne in discussione la legittimità. Eppure, né le dure critiche ed opposizioni moderate, né le invettive e le caricature hanno potuto cancellare il ruolo trasformativo che – sul piano politico e storico – questi due leader hanno avuto nei rispettivi contesti.
Ritengo che l’accostamento tra queste due figure sia appropriato, pertinente, tutt’altro che azzardato. Dunque, è un paragone legittimo. Naturalmente, ciò non annulla le differenze ideologico-culturali tra Churchill e Netanyahu: il primo, un conservatore di solida cultura liberale; il secondo, un esponente della destra sionista nazionalista. Non è su questo piano che si fonda l’accostamento.
Chi scrive, di formazione socialista riformista e liberale, non voterebbe per Netanyahu in un’elezione politica in Israele. Le sue scelte interne, il suo stile di governo e la sua visione sociale non coincidono con i valori che ispirano la mia cultura politica. Tuttavia, ciò non mi impedisce di riconoscere, con onestà intellettuale, il ruolo profondamente trasformativo e decisivo che Netanyahu ha avuto sul piano storico-politico, così come molti – anche da posizioni politiche molto distanti dal conservatorismo del Primo Ministro britannico –riconobbero quello altrettanto decisivo di Churchill nel suo tempo. La grandezza di un leader non si misura solo con il consenso che suscita tra i propri simili, ma con l’impatto che lascia nella storia.
Un nuovo paradigma strategico
Netanyahu ha saputo interpretare il Medio Oriente non più come un’arena statica di conflitti irrisolti, ma come un campo dinamico in cui Israele potesse giocare un ruolo da protagonista, non solo sul piano della forza militare e tecnologica, ma anche nelle relazioni con il mondo arabo moderato. La sua visione si è concretizzata in una serie di mosse strategiche che hanno ridisegnato la mappa delle alleanze geopolitiche regionali. Gli Accordi di Abramo, firmati nel 2020 con Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Sudan e Marocco, hanno rappresentato uno spartiacque storico: per la prima volta, alcuni Stati arabi moderati normalizzavano le relazioni con Israele senza attendere una soluzione definitiva del conflitto israelo-palestinese.
Questi accordi, sostenuti dall’Amministrazione americana e accolti positivamente da Netanyahu, hanno dimostrato che la cooperazione economica, tecnologica e militare può prevalere sull’intransigenza ideologica. Israele è così emerso come attore centrale nella sicurezza regionale, in particolare nella lotta contro l’espansionismo iraniano e il terrorismo islamista.
La centralità della sicurezza
Il sionismo di Netanyahu si è fondato su un principio cardine: la sicurezza dello Stato di Israele non è negoziabile. In un contesto regionale segnato da instabilità cronica, guerre civili e minacce esistenziali, Netanyahu ha rafforzato le capacità militari e di intelligence del Paese, rendendolo una delle potenze più avanzate al mondo in questi settori. La sua politica di deterrenza ha avuto un impatto tangibile: la capacità di Israele di colpire con precisione obiettivi strategici in Siria, Iraq e Iran ha ridefinito le regole del gioco, imponendo nuovi limiti all’aggressività dei suoi nemici.
La risposta israeliana all’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, pur tra molte polemiche internazionali e – in certe fasi – andando anche tragicamente oltre misura, ha segnato un punto di non ritorno. L’operazione militare a Gaza, volta a smantellare l’infrastruttura del gruppo terroristico e a riportare a casa gli ostaggi, ha mostrato la determinazione del governo Netanyahu a non tollerare più minacce alla sicurezza dei propri cittadini.
Una leadership resiliente
Netanyahu ha dimostrato una resilienza politica fuori dal comune. Sopravvissuto a scontri giudiziari, a crisi di governo e a una polarizzazione interna crescente, ha saputo mantenere il controllo della scena politica israeliana per molti anni. La sua capacità di adattarsi ai mutamenti del contesto internazionale, di stringere alleanze strategiche e di parlare con chiarezza al proprio elettorato lo rendono una figura unica nel panorama globale.
Un’eredità destinata a durare
La svolta impressa da Netanyahu al Medio Oriente non è reversibile. Ha rotto tabù diplomatici, consolidato Israele come potenza regionale e costretto gli attori internazionali a riconsiderare le proprie strategie, compresi gli Stati Uniti a guida Trump. Anche i suoi detrattori devono riconoscere che il “vecchio Medio Oriente” – quello delle mappe disegnate a tavolino nel secolo scorso – non esiste più. Al suo posto si sta delineando un nuovo ordine, più pragmatico, in cui Israele è un attore centrale imprescindibile.
In definitiva, Benjamin Netanyahu ha lasciato un’impronta profonda nella storia contemporanea del Medio Oriente. La sua visione, le sue scelte e la sua leadership hanno contribuito a trasformare radicalmente la regione, aprendo scenari inediti e tracciando una rotta che difficilmente potrà essere invertita.
Alberto Bianchi
Sessantacinquenne, romano, studi classici, lavora presso Direzione Trenitalia spa, gruppo Fs italiane. Sin da giovane, militante della sinistra: prima nelle fila della Federazione Italiana Giovanile Comunista (FIGC), poi nel PCI (componente migliorista), fino allo scioglimento del partito. Successivamente ha aderito al PDS, poi DS. Attualmente è socio ordinario di Libertà Eguale.
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