Una serata di storie, sapori e voci.
Abbiamo scelto un gustoso menù vegetariano e un filo rosso di racconti: Silvia Belli condurrà l’incontro, presentandoci alcuni autori MdS; Daniela Bertini darà voce a brani tratti dai loro libri.
Con il biglietto è incluso un libro MdS a scelta dal catalogo: lo scegliete voi, al tavolo.

https://www.huffingtonpost.it/politica/2025/10/18/news/il_vernacoliere_chiude_perche_le_sue_battute_sono_ora_senso_comune-20302158/?ref=HHTP-BH-I20145923-P1-S1-T1
È capitato che me lo dicessero persino a Mosca, quando ancora si poteva andare a Mosca senza paura. “Ah, ma sei di Livorno! Che fortunato, puoi comprare il Vernacoliere sotto casa ogni volta che vuoi”. E infinite sono le occasioni in cui mi è stato detto ovunque in Italia, spesso imitando l’accento livornese (e il “de’” e il “boia” e ovviamente il “Pisa merda”) con esiti discutibili ma a cui era d’obbligo rispondere con un sorriso di imbarazzo e compiacenza.
Perché in realtà il Vernacoliere, di cui è stata annunciata in questi giorni la chiusura, è sempre stato più popolare fuori Livorno che non nella città in cui era nato e stampato. Non tanto perché “nemo propheta” eccetera, e neanche perché un giornale che esibiva con tanto orgoglio il turpiloquio non poteva che diventare oggetto di culto in tutta Italia. No, la vera ragione della sua popolarità era nell’incarnare con grande mestiere quei tratti di sguaiata irriverenza che si associano dall’esterno all’immagine di Livorno. Un po’ come la tirchieria per i liguri o le guaches vesuviane per Napoli, maschere che funzionano bene fuori dalle mura cittadine ma che non sono percepite come del tutto autentiche da chi abita ogni giorno quelle città. Per carità: a Livorno il Vernacoliere ha sempre venduto molto e molti sono i livornesi abbonati al giornale, la cui chiusura si sta cercando di evitare anche per salvarne i posti di lavoro. Ma, come scrive Simone Lenzi nel sempre prezioso “Sul Lungomai di Livorno” (Laterza), la città labronica vive anche di “una tradizione ininterrotta di discredito verso il mondo là fuori, volta a rinsaldare i vincoli di permanenza del livornese nella bella sua Livorno”. E dunque non è affatto scontato che ciò che di Livorno piace “là fuori” poi piaccia anche ai livornesi.
C’è poi un tratto che spiega la crisi del Vernacoliere più della chiusura delle edicole o della sacrosanta stanchezza del suo fondatore e direttore Mario Cardinali. Ed è il suo prendersela sempre e comunque con la politica, come iniziò a fare già dalla sua fondazione nel 1982: quando l’anti-castismo era molto in là da venire e la politica esibiva una boria che oggi farebbe scattare allarmi per radioattività. Le locandine contro questo o quel potente di turno sono state forse più numerose di quelle dedicate ai pisani o alla “topa”. E non è un caso che Cardinali abbia salutato con entusiasmo, nel 2014, l’elezione a sindaco del grillino Filippo Nogarin (“Livorno ha detto vaffanculo al Pd, bisogna rivoltare Livorno come i polpi”, disse al Corriere della Sera). Poi l’amministrazione Cinque Stelle fu un’autentica catastrofe per la città (tanto che alle successive comunali la candidata grillina non arrivò neanche al ballottaggio) e non ho mai avuto occasione di chiedere a Cardinali se avesse cambiato idea.
Ma non sarebbe stato importante, perché quella sua benedizione mi era sempre sembrata ovvia e del tutto priva di malizia per chi aveva saputo dar voce (e che voce!) all’antipolitica molti anni prima che un comico ci costruisse sopra un partito. Oggi i Cinque Stelle sono ai minimi storici, ma l’antipolitica è il linguaggio più che comune del dibattito pubblico. Al punto tale che non ci facciamo neanche più caso, come un elemento ormai scontato del paesaggio. O come, per citare il disincanto del mio amico livornese A., “le stesse battute che faccio alle donne da trent’anni e non ci rido più nemmeno io”. Era dunque inevitabile che il Vernacoliere chiudesse una volta che le sue provocazioni sono diventate senso comune. “Missione compiuta”, direbbe un pisano.