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LIBRI
La bellezza e l'inferno



22/9/2009- "La bellezza e l'inferno" di Roberto Saviano

Rubrica a cura di Elsa Luttazzi




È uscito di recente (giugno 2009, Mondadori) il nuovo libro di Roberto Saviano, La bellezza e l’inferno.

Si tratta di una raccolta di 25 articoli, di cui uno scritto appositamente, pubblicati tra il 2004 e il 2009, ma rielaborati e organizzati intorno ad alcuni significativi nodi tematici: SUD, UOMINI, BUSINESS, GUERRA, NORD. Esperienze di vita, incontri, riflessioni di un giovane protagonista della vita non solo culturale del nostro tempo costantemente agli antipodi, tra bellezza e inferno, sintetizzati dallo scrittore in questa parafrasi di Albert Camus: “Esiste la bellezza ed esiste l’inferno, vorrei -per quanto posso- rimanere fedele a entrambi”.

In genere preferisco dedicare la mia attenzione a libri e scrittori dimenticati o che sono comunque lontani dal clamore delle cronache o dalla ribalta dei best seller , ma val la pena fare un’eccezione per Roberto Saviano che della sua grande popolarità può godere come risultato del suo impegno civile, ma che è costretto a vivere “in una decina di case diverse, nessuna abitata per più di qualche mese. Tutte piccole o piccolissime, tutte, ma proprio tutte, dannatamente buie”. Oppure in camere d’albergo: “Gli alberghi tutti uguali da dove sono passato in questi anni e che ho sempre continuato a odiare. Anche le camere di quegli alberghi sono buie e non ci sono finestre da poter aprire. Non ci sono finestre, non c’è aria”. O, peggio ancora, “nelle stanze di una caserma dei carabinieri. Dentro le narici l’odore del grasso degli anfibi dei miei vicini appuntati”.

Leggere i suoi libri, parlarne, proporli alla pubblica attenzione, è l’unico modo per dimostrare a un giornalista che dell’impegno civile ha fatto la sua bandiera, la nostra solidarietà per le sue battaglie, la nostra ammirazione per il suo coraggio e anche l’apprezzamento per una scrittura che non si irrigidisce mai in un unico registro, ma è sempre in sintonia con le vicende che racconta.

Ma non solo per Saviano è importante. È la stessa causa per cui si impegna che si nutre dei suoi lettori, come lui stesso afferma di fronte al prestigioso pubblico degli accademici del Nobel:



La letteratura e il potere, la scrittura che diviene pericolo solo grazie a ciò che di più pericoloso esiste: il lettore. Spiego come nelle democrazie non è la parola in sé che fa paura ai poteri, ma quella che riesce a sfondare il muro del silenzio.



Ma, infine, è importante anche per noi stessi; perché si può capire e in qualche modo condividere il pericolo che si corre e il coraggio necessario a vivere civilmente, attraverso “Il pericolo di leggere” (così è intitolata la prefazione al libro) e ci fa sentire tra quelli ai quali il libro è dedicato, un pubblico efficacemente definito per esclusione:



E allora so a chi questo libro non è destinato. So che non va a tutte quelle persone con cui sono cresciuto, che si sono accontentate di galleggiare, bestemmiare al tavolo del bar, tirare a campare in giorni tutti uguali. Non va ai rassegnati, ai cinici pigri. Appagati da una sagra o da una serata in pizzeria. Rimasti fermi a scambiarsi le fidanzate, scegliendo tra chi è rimasto spaiato come le scarpe dentro scatole impolverate, dimenticate in fondo a un armadio. A chi crede che per diventare adulti bisogna caricarsi in groppa i fallimenti di un altro, piuttosto che rilanciarsi insieme in una sfida. A queste persone non va.



È,questa, una dichiarazione di appartenenza e di scelta di un certo pubblico, ma anche un progetto educativo che ognuno di noi sceglierebbe per i propri figli. E questo progetto si articola per tutto il libro, una delle chiavi di lettura possibili, attraverso concreti esempi. Nel contesto di un quotidiano dominato da rapporti mafiosi e dalla illegalità emergono con forza le figure di chi ha il coraggio di agire rivolgendosi al diritto e di combattere all’interno delle istituzioni e con le istituzioni, senza scorciatoie. Saviano dà largo spazio a storie di solidarietà, di coraggio, di imprese dolorose ed epiche per riuscire ad affermare il proprio diritto alla vita e al successo. Imprese individuali e collettive di successo e di riscatto.

Fra queste storie colpisce quella di Lionel Messi, detto la Pulce, affetto da una rara forma di nanismo e, insieme, un giocatore di calcio fenomenale, che può essere recuperato al suo destino solo grazie a una terapia costosissima a base dell’ormone GH. Il Barcellona ci crede e investe in quell’ eterno bimbo, insieme alla sua famiglia. Seguiamo con intensa partecipazione il farsi di questo corpo e di questo campione attraverso il dolore, la fatica, la passione e il suo guadagnarsi un nuovo soprannome il “Messia” che si trasforma poi nel più adeguato “Messidona”:



La stampa si inventa subito il nomignolo “Messidona”, ma c’è qualcosa nella somiglianza dei due campioni argentini che oltrepassa simili trovate e mette i brividi. In uno sport che la fase epica sembra essersela lasciata alle spalle, le prodezze di Messi somigliano al reiterarsi di un mito, e non di un mito qualsiasi, ma di quello che più fortemente è in contrasto con il nostro tempo: Davide contro Golia. Fisici minuscoli, quartieri poveri, incapacità nel vedersi diversi da quando giocavano nei campetti, faccia sempre uguale, rabbia sempre uguale, come un’accidia che ti porti dentro. Teoricamente avevano tutto quanto per sbagliare, tutto quanto bastava per perdere, tutto quanto bastava per non piacere a nessuno e per non giocare. Ma le cose sono andate diversamente

.


Lionel Messi ha combattuto con successo contro un destino avverso ed è diventato il simbolo del riscatto di una famiglia, di un paese e di tutto lo sport del calcio.

Al mondo della Boxe appartengono invece Clemente Russo e Domenico Valentino, due campioni della nazionale azzurra:



Tutti e due poliziotti. Pugili che gli avversari cinesi studiano da anni in previsione degli incontri di Pechino. Russo e Valentino sono entrambi di Marcianise, la tana dove si allevano i cuccioli della boxe. Quando crescono, vanno nella polizia o nell’esercito e infine dritto alle Olimpiadi.



Marcianise è una delle capitali mondiali della boxe, il vivaio storico dei pugili in Italia. Questa tradizione risale alla seconda guerra mondiale, quando gli americani, stanziati in Campania chiamavano la gioventù locale a misurarsi con i marines come sparring partners. Alcuni degli sfidanti continuarono a combattere e divennero allenatori di futuri campioni.

Con una potente binomio rinforzato dalla identità fonetica, Saviano definisce la boxe una forma di agonismo-agonia che richiede grandi doti per la sua pratica: costanza nell’allenamento, silenziosa sopportazione del dolore, rispetto della sconfitta e dell’avversario, un concentrato di forza, cuore e intelligenza. Le regole e le qualità richieste dal pugilato sono del tutto incompatibili con quelle dei clan mafiosi; per questo Marcianise grazie ai suoi campioni e, ancor prima, grazie ai suoi valorosi allenatori, oggi appare come il luogo del riscatto di tutta la Campania.

Vorrei ricordare solo altri due tra i molti altri significativi momenti di questo libro. La partecipazione accorata alle vicende di Beppino Englaro nelle vesti dell’infelice e dignitoso padre di Eluana che ha combattuto una disperata battaglia in difesa della vita di tutti e un personale e autentico ricordo di Enzo Biagi, il grande giornalista da poco scomparso la cui etica di giornalista e al contempo filosofia di vita Saviano sinteticamente ci racconta:



Era in grado di raccontare l’Italia attraverso la chiarezza del dato. Cosa rara soprattutto per un editorialista che odiava l’editoriale come mero commento individuale. Due fatti uno di faccia all’altro, due idee, due visioni. Il fastidio per le certezze ideologiche, per il bene e il male, per l’ateismo sfrontato e per il cattolicesimo che si fa ortodossia, per la politica urlata, per gli intrallazzi silenziosi. Un modo di opporsi proponendosi di fare il contrario di ciò che detestava come contraddizione. Se si odia il cachinno dei politicanti si cercherà la parola autorevole, se si detesta l’approssimazione si afferrerà l’esattezza. Un modo semplice di vivere. Essere diverso da ciò che non si vuole essere. Non cercare di piacere a tutti e individuare ciò per cui val la pena prendere posizione. E prendere decisioni forti è stata per Biagi una scelta di riguardo verso la fiducia di chi l’ha ascoltato e solo in un secondo momento verso la propria coscienza. Non trattare il proprio spazio di comunicazione come una reggia dove porte su porte si aprono ai diversi poteri politici facendo divenire opinionisti soubrette e strateghi di approfondimento e portaborse esperti di moduli 740.




Vorrei infine concludere usando per questo libro le stesse parole che un anziano accademico del Nobel ha detto a Saviano a proposito di Gomorra: “Il suo libro mi è entrato nel cuore”.








 
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