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LA BATTIGIA
di Trilussa



14/12/2008- SHOPPING
a New York

Ieri in televisione è passato un servizio giornalistico da New York. Città enorme, traffico caotico, milioni di persone che fanno fatica per non urtarsi sui marciapiedi,


SHOPPING



Ieri in televisione è passato un servizio giornalistico da New York.

Città enorme, traffico caotico, milioni di persone che fanno fatica per non urtarsi sui marciapiedi, moltissimi col telefonino all’orecchio per paura di perdere l’attimo, o forse per giocare a sentirsi meno soli in un mondo di comunicazione globale ma di solitudine personale.

Il giornalista incrocia due signore italiane, cariche di pacchi e pacchini, un accento del nord italia, sorridenti e soddisfatte. Alla domanda del giornalista rispondono di essere venute a New York per lo shopping, appositamente per quello e una aggiunge, leggiadra, di aver visto tante di quelle cose così carine che confessa “ho comprato mezza New York, soprattutto quello che non c’è in Italia!”

Devo ammettere che la cosa mi ha colpito. Non per la vista di un ricco che compra con il suo legittimo denaro quello che gli piace, e nemmeno il fatto che queste signore abbiano preso l’aereo e siano andate in America solo per fare delle compere, no, la cosa che mi ha colpito è la faccia tosta, la mancanza di vergogna, o almeno del riserbo di fare una cosa così sfacciatamente da ricchi mentre tutto il resto del paese si arrovella per tirare a campare. L’assoluta indifferenza di queste due signore, perché non saprei come altro definirla, alle condizioni di sofferenza o per lo meno di difficoltà di milioni dei propri concittadini che imporrebbe loro almeno una certa riservatezza, un certo pudore nella dimostrazione del proprio benessere, della propria sfacciata ricchezza.


Non voglio dire che abbiano fatto qualcosa di male nella loro “scappatella” a New York per fare le spese natalizie, né voglio addentrarmi nel giudizio, sempre parziale per un osservatore esterno, della scala di valori di queste due signore. Tuttavia questa ostentazione mi è apparsa un po’ fuori luogo, una cosa che a me verrebbe di fare forse un po’ di nascosto, vergognandomi anche un pochettino per la dimostrazione sorridente del mio benessere, della mia agiatezza, della mia condizione economica che mi pone al riparo dalle difficoltà del paese.

Perché è indubbia e palese la difficoltà in cui si trovano, in questo momento di crisi, i giovani precari, i lavoratori delle fabbriche che chiudono, i risparmiatori truffati, i pensionati che fanno al fila per la Social Card, i disoccupati che vedono allontanarsi sempre di più la possibilità di una loro occupazione, trascinata via dalla crisi mondiale che ha investito il mondo del lavoro.


E’ un’altra Italia probabilmente, forse quella della “Milano da bere”, delle sfilate di moda, quella della prima della Scala che abbiamo visto a striscia la notizia. E’ un’altra stranezza del nostro paese quella di lasciare le inchieste giornalistiche più interessanti alle trasmissioni di intrattenimento.

Lo spettacolo è quello di sempre: autorità., sorrisi e sorrisetti, abbondanza di silicone, battutine infantili, gioielli, coppie fortemente disarmoniche (per usare un eufemismo), apparenza. Basta.
Spese enormi per l’allestimento della Prima, applausi e fischi ma qui non si capisce bene se fischiavano quelli che se ne intendevano e applaudivano gli altri o viceversa, e la domanda che viene spontanea è qual è la vera Italia.

Quella dello shopping a New York e questa dell’apparenza, dello sfarzo, della cultura ma solo per pochi o quella degli operai in lotta, degli studenti che tirano uova e pomodori al segretario personale del Presidente, degli operai della Lucchini di Piombino o della Eaton o della Dalmine che non sanno quale sarà il futuro loro e delle loro famiglie?

Difficile rispondere o meglio è facile: sono tutte e due Italia.

Sono entrambe il risultato dell’acuirsi del divario fra i ricchi che sono diventati sempre più ricchi (solo un po’ meno a causa delle Borse, ma tirano avanti!) ed i poveri che sono diventati e stanno diventando sempre più poveri. Una tendenza che appare inarrestabile e che nemmeno il momentaneo e breve (ma forse sufficiente) governo del centro sinistra è riuscito a mitigare, forse nemmeno a scalfire in pratica dopo i ripetuti ed ossessivi teorici annunci di cambiamento e di rigore morale.

Aggiungo a questi ricordi recenti uno più antico di un servizio, mi pare di Report, che intervistava una madre con indosso un vistoso e vaporoso accappatoio bianco comodamente seduta su un divano in una sauna esclusiva di una grande città del Nord. Forse qualcuno se lo ricorda, la signora parlava di quanto costava il mantenimento del suo unico figlio: 100.000 euro l’anno! Sa, diceva la signora, c’è la scuola privata, la scuola di ippica, il corso di inglese, sa oggi non si può mica non sapere la lingua, il corso di chitarra classica e poi i vestiti, i regali.

La signora si sentiva tranquillamente a sua agio in questa mattinata lavorativa che lei trascorreva in un club esclusivo, non si vergognava dell’intervista, non aveva timore alcuno né titubanza morale a comunicare la cifra enorme spesa per il figlio, una cifra che avrà fatto spalancare gli occhi a chi ascoltava e sapeva di guadagnare un quarto o anche meno dei centomila euro in un intero anno di lavoro in fabbrica. Senza il minimo accenno non dico di comprensione, un sentimento molto personale, ma nemmeno di un po’ di vergogna, di pudore, di riserbo, di semplice decenza.

Io non faccio parte di questo mondo, e ne ringrazio mio padre che mi ha cresciuto povero, come diceva Benigni, ma queste cose mi amareggiano e, pensandoci bene, mi fanno anche un po’ paura.

Trilussa


 
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