L'analisi del nuovo articolo di Franco Gabbani si sposta questa volta nel mondo di un associazionismo antesignano, le confraternite, necessarie per togliere dall'isolamento e dal mutismo le popolazioni delle campagne, anche se basate esclusivamente sui pricipi della religione.
E d'altra parte, le confraternite, sia pur "laiche", erano sottoposte alla guida del parroco.Sono state comunque i primi strumenti non solo di carità per i più bisognosi, ma soprattutto le prime esperienze di protezione sociale verso contadini ed operai.
L’impressione è che qualcosa stia cambiando.
Le elezioni amministrative di questi giorni hanno dato forti indicazioni che forse questa spensieratezza, questa leggerezza del vivere e del fare politica incarnata (e praticata) dal nostro attuale Presidente del Consiglio non funziona più.
I problemi del Paese in effetti non sono mai stati affrontati con la necessaria decisione e i ceti meno abbienti sono progressivamente sprofondati sempre più in basso nella scala sociale ma fino ad ora avevano conservato la speranza, e l’illusione soprattutto, che in qualche modo se la sarebbero cavata. Hanno atteso nella speranza che affidando il loro destino ed il loro futuro ad una specie di taumaturgo che aveva dato sicura prova di efficienza nei suoi affari, potevano sollevare finalmente la loro sorte di ultimi.
Dopo così tanti anni si affidava il paese non più ad un vecchio politico di professione ma ad uomo nuovo, un manager, un industriale di successo che dava garanzie di maggiore efficienza, di maggiori capacità organizzative. Si andava incontro finalmente ad un modo nuovo di governare, ad una conduzione manageriale dello Stato con la garanzia di decisioni finalmente rapide e incisive, anche spregiudicate ma efficienti, sui tanti problemi del Paese. Di riforme indispensabili e non più rimandabili per dare un nuovo volto, più dinamico, più brillante, più energico ad un paese mummificato da decenni di incertezze e inconcludenti lotte politiche.
Si è aperta quindi una fase politica nuova accolta con molte speranze e altrettanto grandi promesse.
A distanza di alcuni anni i cittadini però si stanno accorgendo che la realtà è ben diversa dalle promesse e che quello che doveva essere il paese del ben vivere, del benessere per tutti con l’avvento delle epocali riforme continuamente sbandierate è ben lungi da arrivare.
Sono invece arrivati, a causa dell’ultima crisi economica, nuovi problemi e la gente comincia a farsi domande sul proprio futuro, un futuro che da roseo ha cominciato piano piano a cambiare colore.
La crisi economica purtroppo è solo l’ultima di una serie, un evento inevitabile e solo ultimo in termini di tempo in una società basata sul capitale che porta in sé i germi stessi delle crisi ricorrenti, di cui quest’ultima caratterizzata semplicemente da una particolare gravità. Una gravità in grado di mettere in difficoltà economiche gli Stati economicamente più deboli e anche quelli che più hanno cercato di sfruttare le opportunità finanziarie per i loro conti, invece che puntare su uno sviluppo legato alle loro capacità produttive.
Ma forse è in crisi anche l’idea stessa di un diverso tipo di società.
Una società nuova e più dinamica che doveva liberarsi dai vecchi dogmi comunisti, affrancarsi dallo statalismo imperante, dalle stesse regole che frenavano lo sviluppo e la libera iniziativa dei singoli e delle imprese, dalle pastoie burocratiche che imbrigliavano gli imprenditori in rigide formalità. La libertà, finalmente, da un fisco oppressivo e opprimente.
Una auspicata libertà del mercato che finiva poi per sconfinare nel mondo del lavoro con la ricerca della massima flessibilità per le imprese di assumere e licenziare, di usare e dismettere, di produrre e delocalizzare, di modificare anche i contratti nazionali dei lavoratori faticosamente raggiunti dopo anni di lotte e sacrifici pur di aumentare il fatturato, il volume d’affari, i profitti delle imprese che avrebbe avuto come contropartita un paese più libero, più ricco, più competitivo. Finalmente più ricchezza e benessere per tutti.
Poco importa se tutto questo avviene a scapito dei lavoratori, se si arriva a minare gli stessi diritti sindacali faticosamente raggiunti, se tutto ciò avviene sotto la minaccia della chiusura e del licenziamento.
La stessa televisione in questi anni perde progressivamente il suo ruolo di informazione e formazione dei cittadini per diventare un semplice mezzo di svago, di divertimento e presenta agli italiani un nuovo modo di vivere. Nuovi modelli che superano l’impegno politico e sociale per proiettarsi nel mondo del superfluo, del gossip, della moda, della risata invece che della riflessione.
Una televisione trasgressiva e liberatoria adatta al nuovo mondo, al nuovo modo di essere, con la inutile cultura relegata giustamente ad ore impossibili e solo per nottambuli tristi, per insonni cronici nel tentativo di un appisolamento tardivo, per riempire un palinsesto che non vede mai nessuno. Una inutile perdita di tempo per chi vuole la Milano da bere, l’happy hours, per chi ama il fitness, per chi vive una vita di continua ed esasperante lotta contro la cellulite, contro le prime rughe di espressione, contro il primo accenno di calvizie. Per chi smania per una comparsata televisiva, per una serata al Billionaire, per una esclusiva festa privata.
La vita diventa convulsa, sempre più veloce, tanto veloce a volte da dimenticare il bimbo piccolo per ore nella macchina sotto il sole fino alla morte per disidratazione. Padri degeneri o semplicemente padri moderni, vittime loro stessi di una società non più a misura d’uomo?
E anche il sesso finalmente liberato, le donne finalmente libere. La finzione televisiva entra in tutte le case mostrando un paese disinibito, felice, allegro, una uguaglianza finalmente raggiunta dove si dimostra a tutto il paese che le donne, liberate, riescono ad urlare ed offendere in maniera volgare al pari dei loro uomini!
Una utopia finalmente realizzata.
Ma nelle crepe provocate dalla mancanza del lavoro, dalle ristrettezze amministrative che tagliano beni e servizi, dalla profonda crisi industriale del paese cominciano a fiorire richieste di maggiore sobrietà, di maggiore aderenza alla realtà, di maggiore attenzione ai reali problemi del paese.
Cresce forte la consapevolezza del contrasto fra le beghe politiche e verbali dei vari partiti, fra i problemi affrontati a ripetizione dal Parlamento, fra le tante dichiarazioni pubbliche, le tante promesse e la reale e grave situazione del Paese riguardo al lavoro, alla scuola, alla sanità pubblica, alla questione morale.
Si alza sempre più forte anche un vento ambientalista che smuove le coscienze finalmente sul valore del nostro territorio, sulla necessità assoluta del rispetto del terreno agricolo visto non più come zona degradata ma come elemento prezioso per produzioni agricole indispensabili al nostro benessere non solo economico. Cresce anche la consapevolezza del valore del paesaggio, che può rappresentare ancora la maggiore ricchezza nazionale se legato ad un turismo di qualità.
Forse siamo veramente all’anno zero, l’anno della svolta, alla fine di un periodo.
Speriamo che chiunque avrà l’onere e l’onore di guidare il paese in questa nuova fase abbia la capacità di imboccare una strada di maggiore realismo, quella di saper affrontare con maggiore decisione i gravi problemi del paese, ma soprattutto capace di una maggiore sobrietà e di un maggiore rispetto per gli avversari politici e per i massimi Organi dello Stato.