Il mese scorso è stato presentato un nuovo libro pubblicato dall'Editore MdS, "Il coraggio tra i fiori di ortica", un'opera intensa e profonda cheracconta l'infanzia non solo nella sua dimensione più luminosa, ma anche nelle sue ombre, fatta di giochi e risate, ma anche nelle sue ombre, tra segreti, paure, abusi e battaglie quotidiane che i più piccoli affrontano con straordinaria forza.
Un libro che ci ha subito colpito e per il quale si preannunciava un sicuro interessamento e successo a livello nazionale.
Guarnito D’Appiano, vissuto a Pisa fra il 1200 e il 1255, diede origine ad una discendenza che, dalla città natale, si allargò dominando fino in Aragona, Piacenza e Piemonte e, vicino a noi, a Piombino, Populonia, Suvereto, Buriano, Scarlino, Vignale, l'Elba, Pianosa e Monte Cristo.
Nel 1392 un discendente, Jacopo, capo della fazione dei Raspanti in Pisa, fece uccidere a tradimento Pietro Gambacorti, signore della città, ed avvelenò i suoi due figli, capi della fazione dei Bergolini, insieme alla consorteria dei Lanfranchi acquisendo la signoria di Pisa per quasi un decennio (e questa è storia locale).
Vi fu una lunga serie di Appiani, i più di nome Jacopo, che fecero il bello e il brutto nei possedimenti pisani sulla costa, fino ad una serie di mosse sbagliate che ne estinsero la potenza e il destino la stirpe.
Jacopo VI nel 1548 fu scacciato da Piombino poiché l'imperatore Carlo V aveva ceduto il principato a Cosimo I, insoddisfatto di come l'Appiano difendeva le sue coste dai pirati.
Con la morte del nipote Jacopo VII, la casata degli Appiano si estinse in linea maschile primogenita nel 1603.
Ricapitoliamo: il distretto di Ferraio all’isola d’Elba era pisano; Portoferraio, chiamato oggi così, fu fondata per volere di Cosimo I dei Medici, granduca di Toscana, dal quale la città prese il primo nome, "Cosmopoli", nel 1548, e fu concepita come presidio militare con lo scopo di difendere le coste del Granducato e dell'isola.
Dall’altro lato della grande baia a ferro di cavallo (non deriva da qui il toponimo, ma dal minerale da sempre estratto e lavorato!), si ergeva, ed ancora oggi domina, il Castello del Volterraio, posto sulla sommità di un ripido colle e che si vanta, se non per la maestosità dell’opera e del panorama che si può osservare, per il fatto che non è mai stato vinto dai tanti nemici, siano stati essi dei romani od etruschi, barbareschi o greci, austriaci o francesi od anche da, purtroppo, genti della stessa isola che aveva, nella vetta, il confine fra Granducato di Toscana e Ducato di Piombino.
Due parole sul nome e poi basta: il nome Volterraio non deriva dalla possibile origine etrusca e quindi legata alla grande città sul “continente”, ma da colui che lo restaurò nel 1281, Vanni di Gherardo Rau, per adeguarla alle esigenze difensive dell'epoca.
Gherardo era di Volterra e Vanni lo chiamavano "il volterraio"!
Poveri pisani, è vero tutto quello che si dice sulla vostra poca “svegliezza”!
Essere padroni di una delle più belle isole italiane, avere la possibilità di controllare l’enorme flusso di turisti e quindi di denaro e voi vi mettete nelle mani di un discendente di Guarnito, guarnito di cosa poi non si sa!
Ma a consiglialli, ‘io rivortrato!, o un cerin stati Leo der Vinci co Roberto e co Massimo, che la conoscevin bene la storia der “quantiseicosaportateunfiorino” ?
O quanti n’averebbero ‘ncassati di fiorini colle barche barchine barcotte traghetti e tragotti da tutti che dovevin passà di sotto ‘r Vortraio che l’averebbero ri…vortrati vai se fussen stati guidati da…sverto e non da…ppiano!!!
e piangevin sì, 'io feraio; artre e piange'! c'era da picchià ma la 'iorba ner muro e mi sa che 'r castello lo sfenno 'osì!