L'analisi del nuovo articolo di Franco Gabbani si sposta questa volta nel mondo di un associazionismo antesignano, le confraternite, necessarie per togliere dall'isolamento e dal mutismo le popolazioni delle campagne, anche se basate esclusivamente sui pricipi della religione.
E d'altra parte, le confraternite, sia pur "laiche", erano sottoposte alla guida del parroco.Sono state comunque i primi strumenti non solo di carità per i più bisognosi, ma soprattutto le prime esperienze di protezione sociale verso contadini ed operai.
Quanta fatica costa essere se stessi? Portarsi dietro la propria storia, che è un po' il nostro passato, è tanto del nostro presente e per il futuro ci chiede coerenza. Ma questo bagaglio ha due pesi e due misure, un conto è quello che noi crediamo di essere e altro è quello che gli altri credono che noi siamo, un conto è quello che vorremmo essere e altro è quello che gli altri ci rimandano di noi, un conto è la facilità con cui noi rimuoviamo quello che non ci piace altro è la capacità mnemonica degli altri delle cose che non ci piacciono di noi.
Tutto questo carico della nostra storia, del nostro modo di abitare il mondo, di essere e di fare, di dire e non dire, di sparire o comparire, diventa elemento fondamentale nelle relazioni che decidiamo di intrattenere con le persone che incontriamo sulle strade che ogni giorno ci troviamo a percorrere.
Quanta fatica facciamo per essere ricordati, accettati, accolti, quanto impegno nel confronto, nel dialogo, nel mediare e anche nel litigare. Quante strategie diverse mettiamo in atto per affermare le nostre idee, per creare legami significativi o per troncare legami che non ci interessano più.
Ognuno in base alla storia di cui è portatore si inserisce sulla scena delle relazioni con le cose, con i pensieri, con le parole, con i fatti, con le persone. Ognuno ha un suo modo, ognuno sceglie chi e che cosa curare, chi e che cosa trascurare. Ognuno di noi ha il suo stile.
Nella vita reale, quella fatta di persone con un nome e una faccia riconosciute e riconoscibili, noi siamo come siamo, come ci vedono, come ci interpretano, ma c'è una zona più soft: la vita virtuale.
Apri una pagina su facebook, inizialmente cominci un po' in sordina, timidamente, a cercare le persone che conosci già, poi arrivano richieste di estranei, o di amici degli amici, poi non sai più neanche te cosa succede, è come dipanare un gomitolo e arrivi a 500 amici in un batter d'occhio e sono pure pochi.
Ma cosa vuol dire avere 500 amici su fb? All'inizio riesci a leggere quello che viene postato o linkato, poi leggi solo quello che prende evidenza, una specie di dominanza incontrollata, o una prepotenza dovuta alla presenza, alla attività...quante foto metti, quanti commenti fai, quante variazioni di stato posti.
Che relazione si può intrattenere con 500 amici? Solitamente si posta qualcosa, o si linka una pagina e scattano i MiPiace e se sei fortunato i commenti, i cuoricini, le faccine, gli emoticon. La relazione è molto semplificata nel mondo di fb, se qualcosa non ti piace puoi ignorarla con facilità, non sei obbligato a scontrarti, la scorri, oppure la fai scomparire dal tuo schermo senza conseguenze, l'altro non lo saprà e quindi non te ne chiederà conto. Se per qualche ragione ti senti obbligato puoi spargere una quantità esagerata di Mipiace, nessuno vedrà la tua faccia che dice esattamente il contrario, e sei salvo con un tasso di fatica vicino allo zero.
Nel mondo di fb anche partecipare, essere attivi è facile, basta un clic sui link giusti e dai una mano a qualsiasi causa sociale, politica, culturale...ma un proverbio dice che tra il dire e il fare c'è di mezzo il fare.
Dico questo consapevole del fatto che movimenti come quelli di Se non ora quando hanno trovato in fb un mezzo molto efficace di coinvolgimento, una specie di altoparlante che ha moltiplicato le voci, un tamtam moderno. Ma in ogni caso non riesco a non pensare che questo mondo virtuale ci può disabituare all'utile fatica della costruzione di relazioni concrete, faccia a faccia.
Come sono faticose le relazioni amorose, familiari o amicali, altrettanto lo sono le relazioni per affinità di interessi, dove la partecipazione vuol dire presenza, lavoro, coerenza, trasparenza, impiego di tempo e di energie, vuol dire conflitto, o meglio capacità di so-stare nel conflitto dovuto alla diversità di idee, di vedute, di scelta e di strategie. Partecipare, prender parte, essere parte delle cose, delle azioni, dei pensieri, delle relazioni risponde ad un bi-sogno, scritto così perchè è duplice il suo significato.
Uno risponde al bisogno personale di fare qualcosa, di sentirsi utile, di essere ricordato...l'altro risponde al sogno di realizzare qualcosa che avrà un significato o un'utilità che andrà oltre noi. Sia come sia, la partecipazione ad un progetto ha bisogno del mondo reale, delle persone in carne ed ossa, del loro lavoro e del loro impegno che però nel nostro mondo attuale non può fare a meno dell'altro mondo, quello virtuale sia fb o un canale come questo.
Quello che non capisco sono gli attacchi, a volte ingenerosi, le critiche aspre senza via d'uscita che si sentono muovere a chi ha alzato il proprio sedere dal divano ed è uscito, abbandonando per un po' il pc in standby, e ha deciso di impegnare e spendere la sua faccia, le sue energie per prender parte ad un progetto, portando quello che è, quello che sa, quello che può e mettendolo a disposizione, correndo il rischio di doverlo mutare, stravolgere o addirittura lasciare da parte per far posto a qualcosa di più efficace. Chi prende parte, chi partecipa, corre il rischio, si espone al rischio della relazione, dell'interpretazione, della non comprensione, del conflitto, della fatica relazionale.
Chi critica, chi mette in discussione postando commenti, slogan, resoconti ha realmente provato a fare qualcosa, a uscire di casa e andare nei luoghi dove accade quel qualcosa di cui non siamo soddisfatti e portarci un atteggiamento diverso, un fare e un dire diverso, con ostinazione, tenacia, passione e onestà insistendo fino a che qualcuno ha ascoltato o fino a che qualcosa è cambiato?
Credo che questo accada poco frequentemente e lo credo perchè se fosse diversamente vorrebbe dire che le assemblee di questa o quella cosa sarebbero affollate, o che quando viene chiesto chi si occupa di questo o di quello di mani alzate ce ne sarebbero talmente tante da avere l'imbarazzo della scelta, da doversi porre il problema dell'alternanza.
Allo stesso tempo credo nella autenticità di quello che leggo sulla rete, ci voglio credere, perchè questo mi dà l'immagine della possibilità di vedere molte persone motivate che potrebbero assumere incarichi, che si accollerebbero impegni e responsabilità e correrebbero dei rischi per dar voce ai loro bi-sogni.
Lo credo perchè se si riuscisse a costruire un'altra strada per il flusso delle denunce e dei clic sulle cause on line, o per l'indignazione a cascata su fb, se provassimo a frequentare i luoghi, invece di commentarli e criticarli e basta, forse scopriremmo che c'è gente che sa farsi da parte, se qualcuno arriva, se la strada da percorrere la percorriamo insieme.
Sono certa che scopriremmo che nessuna porta è blindata abbastanza se si è in tanti. Ma qualcuno deve aprire quella porta, e sono sicura che ognuno di noi possiede le chiavi giuste, basta volerle trovare con onestà e passione.