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L'articolo di oggi non poteva non far riferimento alla festa del SS. Crocifisso che Pontasserchio si appresta a celebrare, il 28 aprile.Da quella ricorrenza è nata la Fiera del 28, che poi da diversi anni si è trasformata in Agrifiera, pronta ad essere inaugurata il 19 aprile per aprire i battenti sabato 20.La vicenda che viene narrata, con il riferimento al miracolo del SS. Crocifisso, riguarda la diatriba sorta tra parroci per il possesso di una campana alla fine del '700, originata dalla "dismissione" delle due vecchie chiese di Vecchializia. 

. . . non é certo colpa mia e dello mondo difficilerrimo .....
. . . anche te racconta che c'entrano i voti del 1978, .....
. . . . chiebita perché l'acqua calda la scoperse .....
Salutoni a Bruno e al suo fido fiorentino
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Di Gavia
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di Michelle Rose Reardon a cura di Giampiero Mazzini
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di Mollica's
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Di Siciliainprogress
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Colori u n altra rosa
Una altra primavera
Per ringraziarti amore
Compagna di una vita
Un fiore dal Cielo

Aspetto ogni sera
I l tuo ritorno a casa
Per .....
Oggi è venuto a mancare all’affetto di tutti coloro che lo conoscevano Renato Moncini, disegnatore della Nasa , pittore e artista per passione. .....
FINALMENTE DOMENICA!
di Ovidio Della Croce
Ieri

14/10/2012 - 12:44

Ieri un corteo pacifico e colorato ha attraversato le vie di Pisa, il corteo del Municipio dei Beni Comuni. Quando ha raggiunto in via Montelungo l’ex Colorificio Toscano, di proprietà della multinazionale Junionfin, chiuso dal 2009 e in stato di degrado, le centinaia di attivisti, studenti e cittadini, davanti a uno schieramento ingente di polizia, hanno alzato in alto un libro. Da una terrazza dell’ex Colorificio Toscano è spuntato uno striscione: “Pisa esve dal grigiore. Colorificio liberato” e una delegazione di manifestanti alla luce del sole ha annunciato: "L'ex Colorificio oggi diventa la sede del Municipio dei Beni Comuni".
 
Rebelpainting. Beni comuni e spazi sociali: una creazione collettiva è il titolo del libro che tenevano tra le mani i manifestanti. Ieri me lo sono letto tutto, dalla prima all’ultima pagina. È un libro denuncia sull’abbandono da parte della proprietà dell’ex Colorificio Toscano. È scritto da diversi autori tra cui Francesco Gesualdi, Ugo Mattei, Bruno Settis, Stefano Gallo, Mauro Stampacchia, Cinzia Colosimo, Giusi Di Pietro e Guido Viale. Il Municipio dei Beni Comuni vuole provare a recuperare l’immobile degradato e, come è successo in altre parti d’Italia, ricreare uno spazio sociale per tutta la città “collocando consapevolmente la propria azione nel solco costituzionale dell’articolo 42”, scrive nel suo intervento Ugo Mattei, professore universitario di Diritto costituzionale.
 
Apre la seconda parte del libro un’accurata analisi di Francesco Gesualdi, coordinatore del Centro nuovo modello di sviluppo, intitolata Cosa succede in città: J Colors, un modello globale. Questo l’inizio: “Pisa, come molte altre città d'Italia, o meglio d'Europa meridionale, sta pagando il prezzo dell'integrazione economica mondiale, meglio nota come globalizzazione”. Gesualdi ricostruisce i motivi economici che hanno portato la multinazionale J Colors a chiudere il Colorificio Toscano.

Continua Gesualdi:
“J Colors non è un'azienda pisana. Prima di lei esisteva il Colorificio Toscano, industria di vernici fondata nel 1924 da tale Alfred Houlston Morgan, un chimico inglese, che si innamora della Toscana e decide di trasferirsi a Pisa dove apre uno stabilimento di vernici. Nel 1995 l'industria fallisce e viene rilevata da J Colors, società di un più vasto gruppo chimico fondato dal tedesco Hans Junghanns. Ma nell'orizzonte della nuova proprietà non c'è la continuità produttiva del Colorificio Toscano. Tant'è lo stabilimento viene gradualmente depotenziato, fino a diventare poco più di un magazzino che nel 2008 sarà definitivamente chiuso licenziando gli ultimi 14 dipendenti rimasti”.


Gesualdi sostiene che la multinazionale J Colors non fosse interessata a sostenere il lavoro sul territorio, bensì ad appropriarsi del marchio del Colorificio Toscano particolarmente attrattivo sui mercati internazionali e a trasformare gli oltre dieci mila metri quadrati un tempo luogo di lavoro in una colata di cemento con palazzine ad uso abitativo.


Leggendo alcune schede del libro si arriva in Cina, nella provincia del Guandong, sito produttivo dove per le condizioni di lavoro si torna all’Ottocento, seguendo la pratica di “delocalizzazione ossia del trasferimento produttivo affidato a stabilimenti esteri dove la licenza di sfruttamento del lavoro e di inquinamento è così alta da ridurre considerevolmente i costi di produzione”. Poi si approda nel paradiso fiscale di Madeira e in “quei territori, cioè, che garantiscono un alto grado di segretezza e forti sconti fiscali, perché anche le tasse sono costi che le imprese vogliono ridurre" (Gesualdi).
 
Penso che l’analisi e le conclusioni di Gesualdi siano giuste: “Non usciremo dalla crisi, finché non colmeremo le ingiustizie e non ci orienteremo verso un altro modello di società che privilegi il locale sul globale, i diritti sul profitto, la salute sul fatturato, l'ambiente sul Pil, la comunità sull'interesse privato, la qualità della vita sul consumismo, la cooperazione sul mercato. In una parola che privilegi la persona sul denaro”. Le grandi multinazionali insieme alle banche e alla corruzione sono le principali responsabili della crisi dalla quale sarà dura uscire se con la giustizia sociale non riusciamo a ridurre “le diseguaglianze tra un numero infimo (semplificando, l’1 per cento) dei sempre più ricchi e un numero immenso (il 99 per cento) dei sempre più poveri” (Guido Viale, economista).
 
La terza parte del libro ricostruisce molto bene la traiettoria Dal globale al locale: le conseguenze sui territori. Mauro Stampacchia, prof. di Storia del movimento operaio e sindacale all’Università di Pisa, prende le mosse dalle magistrali narrazioni di Pisa città proletaria fatte da Athos Bigongiali per poi analizzare “la deindustrializzazione come un fenomeno di lunga durata, che decolla in Italia però solo dopo gli anni Ottanta del secolo scorso. A Pisa invece questo fenomeno sembra essere anticipato, e cominciare già con gli inizi degli anni Settanta” con le vicende della Marzotto e della Saint-Gobain.


Stampacchia ricorda come “la deindustrializzazione, questo processo così pervasivo dell'intero sistema produttivo” viaggi “di pari passo con la delocalizzazione vale a dire lo spostamento delle industrie dalle tradizionali sedi ad altre, il più delle volte fuori dei confini nazionali, in zone dove la manodopera costa meno”.

Poi Stampacchia pone alcune domande:
“Cosa si sostituisce agli insediamenti industriali? Nuova industria, nuovi servizi di terziario avanzato?”. E risponde: “Non direi. Quello che immediatamente si vede è la liberazione di aree che vengono freneticamente convertite in aree ad alta edificazione edilizia”. Con il rischio che “Pisa, da sempre a rischio di essere provincia d'Italia, e provinciale, diventi una provincia della globalizzazione, ancora più sperduta, anonima, imbruttita, caotica, appiattita come solo la globalizzazione appiattisce, senza una vera anima propria”. Questa l’amara conclusione di Mauro Stampacchia.
 
Nelle testimonianze operaie raccolte dalla giornalista Cinzia Colosimo e dall’ingegnere informatico e delegata Fiom Giusi Di Pietro si percepisce il lungo addio degli operai alla produzione dell’ex Colorificio Toscano, nel tentativo di fermarne la chiusura. Ma la fine arriva nel 2008, quando Il Tirreno titola: "Chiude l'ex Colorificio, tredici a casa".

 

C’è un aspetto, forse marginale nel libro, che mi ha colpito: il ruolo dell’allora segretario della Filcem Cgil Franco Marchetti nella tratttativa svolta in quei giorni difficili. In un articolo de La Nazione del 10 dicembre 2008 si legge una sua combattiva e generosa dichiarazione: “Se sperano di licenziare le persone approfittando delle difficoltà, per poi sperare in una soluzione che faccia loro ottenere guadagni dalla vendita dei capannoni vuoti per costruirci altre cose, noi faremo il possibile perché ciò non accada”. In altre parti del libro si cita il contributo prezioso del volume Storie di Piaggio, amore e libertà, scritto da Marchetti e uscito quest’anno.
 
Leggendo la storia del Colorificio Toscano ricostruita da Bruno Settis e Stefano Gallo mi sono imbattuto in questa frase: “All'inizio degli anni '70 il Colorificio occupava ancora 200 dipendenti circa, e l'area dove sorgeva rappresentava il terzo polo industriale del territorio comunale, nella zona che gravitava intorno al Viale delle Cascine si contavano 800 addetti alle attività industriali, di cui la metà concentrati negli attigui stabilimenti del Colorificio Toscano e della Vetreria Scientifica Kimble”.
 
Allora ho ricordato un mio breve periodo di lavoro operaio, proprio negli anni ’70, quando entrai in una fabbrica di quella zona. Un giovane studente come ero io che incontra gli operai del Colorificio Toscano e della Kimble e capisce cosa vuol dire la vita di fabbrica e la condivisione. Per me gli anni ’70 non furono anni di piombo, ma di formazione. Il tempo passa in fretta sotto i nostri nasi raffreddati, ma a me sembra appena ieri quando scoprii la voglia di libertà e di partecipazione. Giusto, appena ieri.
 


Ho un avviso come poscritto. Domenica 14 ottobre alle 17:30 al Cantiere San Bernardo (via Pietro Gori, angolo via San Bernardo) presentazione del libro bianco “Rebelpainting. Beni comuni e spazi sociali: una creazione collettiva”.

 

Scarica qui sotto la versione pdf di "Rebelpainting. Beni comuni e spazi sociali: una creazione collettiva"


https://dl.dropbox.com/u/46991322/finale.pdf


 
 
 

 

 

 

 

 

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6/11/2012 - 9:24

AUTORE:
un proletario

Premessa: questa discussione è un po tardiva, quindi la smetto qui; questo articolo è di tre settimane fa, poi ce n'è stato un altro che parlava dei giovani e dei centri sociali a Ginevra, l'hai visto?

Giusto verificare, ma fai male a non fidarti degli studi seri. Keplero, Galilei cozzavano contro il senso comune e "la realtà dei fatti come appariva", ma non era.

Non c'è una verità assoluta, quindi non esiste soltanto la solita strada: lascio un'area in degrado, aspetto una variante urbanistica, vendo e guadagno speculando ed ecco che arrivano tante villettine a schiera. Mentre l'economia pisana langue e le attività delle associazioni non trovano uno spazio.

Visto che ti piace toccare la realtà con mano, prova a fare un salto all'ex colorificio. Ti segnalo la prossima iniziativa:

"PISA NON È MACONDO:
IL TEMPO DEL QUINTO STATO TRA ATELIER DELLA CONOSCENZA E NUOVA CITTADINANZA SOCIALE
Venerdì 9 novembre all’Ex-Colorificio Toscano dalle 18:30 un workshop per provare a costruire le possibili riposte ad alcune domande:
Quali pratiche per spezzare il circolo vizioso tra scelte depressive di politiche pubbliche e speculazioni sulle rendite immobiliari?
Come fondare nuove istituzioni autonome dell'intelligenza collettiva, dove le pratiche della formazione (in-formazione, auto-formazione, co-formazione), divengono strumento operativo per realizzare il cambiamento ed affermare una nuova idea di società?
Ne parleremo con:
Roberto Ciccarelli
Paolo Godani
Un esponente del Progetto Rebeldìa

5/11/2012 - 23:43

AUTORE:
Un Cittadino

La delocalizzazione se fosse provata sarebbe un argomento da prendere seriamente in considerazione e forse per averne prova basta solo andare in un punto vendita e chiedere se il prodotto proviene dall'estero. (domani lo farò)

Non sono abituato a fidarmi di studiosi ed esperti (Houston Stewart Chamberlain si definiva uno studioso ed esperto di politica internazionale e teorizzo il nazismo) preferisco piuttosto la nuda realtà dei fatti. Anche perchè ovviamente ci sono diversi modi di rappresentare la realtà, e ciascuno ha il suo ma dubito che ci possa essere una verità assoluta.

5/11/2012 - 19:51

AUTORE:
Un proletario

Sono grato a cittadino che pone domande.

La strada legale con l'amministrazione è stata battuta per trovare una sede alle attività sociali che da anni a Pisa vengono portate avani da una trentina di associazioni.

Abbandonare un sito enorme e andare a portare produzioni in Cina non mi pare un comportamento responsabile da parte dell'azienda.

Le affermazioni contenute nel libro sono frutto di ricerche da parte di studiosi ed esperti.

J Color, qualche giorno dopo la riapertura dell'ex colorificio ha cancellato dal suo sito il legame col territorio di cui tanto si vantava. le tracce della delocalizzazione vanno ricostruite con pazienza e studio.

La strada che suggerisci di acquistare lo spazio mi sembra un'idea eccellente.

5/11/2012 - 18:46

AUTORE:
Un cittadino

Ti ringrazio della rassicurazione e condivido che c'è bisogno di una politica che punti a buon investimenti e non a speculazioni. Ma se lo scopo è quello di creare un luogo dove attività sociali e produttive possano svilupparsi perchè non si è cercata la strada legale di acquistare l'area magari facendolo dare dall'amministrazione comunale?
In che modo quell'iniziativa era in contrasto con l'utlità sociale (come previsto dall'art. 41 della Costrituzione)?
Inoltre nessuno mi ha risposto sulla verdicità delle affermazioni, questi non mi sembrano mica una multinazionale, sul loro sito si presentano più come un'azienda di famiglia, e non ho trovato traccia della delocalizzazione.

5/11/2012 - 16:56

AUTORE:
Un proletario

Speriamo di no, di non finire sulle barricate. Non credo proprio che questa azione sia un'anticipazione di espropri proletari, penso che sia un'apertura alla città affinché possa crearsi un luogo dove attività sociali e produttive possano svilupparsi. Credo che di questo ci sia bisogno e non di "mitra ed esprpori proletari". C'è bisogno di una politica che punti a buoni investimenti e non a speculazioni.

5/11/2012 - 16:21

AUTORE:
Un cittadino

Ma qualcuno ha verificato tutte le affermazioni fatte nella pubblicazione? Si parla di multinazionale,di delocalizzazione, di scatole cinesi, di abbandono, di dono alla collettività e di riletture dell'articolo 42. Forse l'unica verità la dice nei post "Un proletario", questa azione altro non è che un'anticipazione degli esporpri proletari e delle frasi tipo "ci vedremo sulle barricate io con il mitra in mano e tu disarmato". Ma è proprio così che si arriva al bene comune.

20/10/2012 - 15:30

AUTORE:
Municipio dei Beni Comuni

"Il Municipio dei Beni Comuni ha restituito alla città, rivendicando in tutti questi giorni la dimensione pubblica del proprio gesto, un immobile di proprietà di una multinazionale da anni abbandonato. Un dono che Pisa fa a se stessa, uno spazio sociale liberato e restituito alla città come Bene Comune, perché possa tornare alla determinazione e alla cura della collettività".

In occasione della "riapertura" dell'ex Colorificio Toscano il Municipio dei Beni Comuni ha indetto un'assemblea pubblica presso lo spazio di via Montelungo 7 alle ore 17 per presentare “il progetto di restituzione alla collettività di questo bene comune”.

17/10/2012 - 21:59

AUTORE:
Un proletario

"L'iniziativa economica privata è libera.
Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali"
Questo caro ccp è l'art. 41 della NOSTRA Costituzione. La Mamma e il Babbo di tutte le leggi. Chi fa le leggi deve attenersi a questo e se cosi non viene fatto le leggi si devono contrastare in tutti i modi. Tira tu le conclusioni e dimmi chi è fuori dal diritto: la multinazionale che ha abbandonato 12mila metri quadri in quelle condizioni? o chi tenta di rimettere uno spazio a disposizione dell'utilità sociale? La proprietà privata in quel caso come in molti altri nelle nostre città si attiene alla nostra Costituzione? oppure ha privatizzato gli utili (per anni) e socializzato i costi(per anni)? Se ti fa preoccupare il fatto che ci siano tante persone che si immaginano un mondo diverso che farai quando la crisi porterà agli espropri proletari?

17/10/2012 - 20:33

AUTORE:
Pik

E se la proprietà è irresponsabile che si fa, subiamo?

17/10/2012 - 17:42

AUTORE:
CCP

L'ex colorificio è una proprietà privata e chi volesse accedervi deve chiedere il permesso alla proprietà, altrimenti visto che è in vendita può comprarlo. Se in Italia esiste ancora un po di diritto le regole sono queste e se venissero rispettate i Carabinieri potrebbero fare cose più utili alla collettività e meno dispendiose.
Per il resto per le manifestazioni come previsto in democrazia deve essere informata la prefettura e molto spesso come è giusto che sia vengono autorizzate. Se qualcuno si immagina un mondo diverso, be c'è di che preoccuparsi.

17/10/2012 - 16:29

AUTORE:
Silvestro Labate

Sono un ex lavoratore del Colorificio Toscano. Ai primi anni ’90 lavoravo nel reparto smalti sintetici, addetto all’inscatolamento.

Ho partecipato a quel corteo organizzato dal Municipio dei Beni Comuni, bello e festoso, i volti colorati erano accompagnati dai sorrisi dei bimbi, da abili giocolieri, una festa a cui però faceva da contraltare uno smisurato spiegamento di forze; un’iniziativa di democrazia partecipata, fatta tutta alla luce del sole, voleva essere marchiata (secondo le intenzioni di chi?) da una risposta repressiva (ma quanto è costata?).

C’è così tanta paura del libero pensiero? Forse in questa Italia sì. Creare uno spazio di discussione, di politica dal basso, fa paura; paura che la gente s’incontri senza essere mero consumatore o passivo spettatore, si ha paura che i pensieri mettendosi insieme possano denunciare ciò che è sotto il naso di tutti, ma che nella solitudine dell’individuo, passa inosservato.

Quando mi sono ritrovato, con sorpresa, davanti a quell’edificio, oramai spoglio di quell’umanità conosciuta, divenuto solo un esoscheletro di una storia finita, la voglia di rientrarci era tanta.

Sappiamo com’è andata, il corteo non ha potuto fare altro che stendere simbolicamente uno striscione sulla facciata, del resto non aveva mai avuto, sin dall’inizio, alcuna intenzione di avere un contatto fisico con quella idea di repressione, generata da pensieri grigi.

Il colore deve poter vincere.

Silvestro Labate, ex lavoratore del Colorificio Toscano

16/10/2012 - 23:02

AUTORE:
reb

Letto e condiviso il tuo articolo.
Chissà se presto ci sarà un'altra storia da raccontare.
Ciao, reb

16/10/2012 - 18:20

AUTORE:
Autori Vari

A Pisa il 13 ottobre il Municipio dei Beni Comuni, con la partecipazione di associazioni, attivisti, studenti e cittadini a cui ci sentiamo vicini, si è mobilitato con l'obiettivo di liberare un nuovo spazio per coltivare democrazia e diritti.

La riapertura alla città dell'ex Colorificio Toscano potrebbe segnare il recupero di un bene produttivo che una multinazionale aveva acquisito e poi dismesso, passando in quindici anni da quasi 100 dipendenti a 13 operai, licenziati infine nel 2008 per delocalizzare. Attraverso l'azione collettiva questi magazzini abbandonati potrebbero divenire bene comune, crocevia di attività culturali e scambi di economia solidale, arti e mestieri, sport e socialità, pace e solidarietà tra i popoli.

Sosteniamo coloro che hanno aderito a questo movimento e costruiscono ora nuove reciprocità partecipando alla gestione del Municipio dei Beni Comuni, che sono beni relazionali, definibili solo dalla comunità che li tutela.

Seguiremo con attenzione e simpatia questo percorso che si nutre della volontà degli individui di far funzionare nuove istituzioni, basate su un capitale di relazioni piuttosto che su quello finanziario. E' questa l'innovazione che può traghettarci fuori dalla crisi senza aspettare il traino della crescita economica, scegliendo la rotta di un paradigma alternativo.

Chiediamo agli enti locali, a partire dalla Regione Toscana, di rispettare e sostenere per quanto possibile questa pratica di cittadinanza, che avrà l'obiettivo di ospitare anche attività e idee delle nostre organizzazioni. La modalità aperta, pacifica e trasparente con cui è stato riaperto questo percorso segna il passo di un nuovo tempo e l'affermarsi di nuove comunità, con cui le istituzioni tradizionali devono imparare a dialogare alla luce del sole.

Don Andrea Gallo, Danilo Zolo, Sandro Medici, Vittorio Agnoletto, Luisa Morgantini, Giuliano Giuliani, Haidi Gaggio Giuliani, Aldo Zanchetta, Alberto Castagnola, Paolo Cacciari, Andrea Baranes; Alberto Zoratti e Monica di Sisto (Fairwatch), Lorenzo Guadagnucci (Comitato Verità e Giustizia per Genova), Patrizia Sentinelli e Roberto Musacchio (Altramente), Maurizio Gubbiotti (Legambiente), Laura Greco (A Sud), Gianluca Carmosino (Comune.info), Annalisa Sacco (Associazione La Strada), Riccardo Troisi (Reorient), Ciro Pesacane (Forum ambientalista), Francuccio Gesualdi (Centro Nuovo Modello di Sviluppo), Marco Bersani (Attac Italia), Michele Rovere (La Talpa e l'Orologio), Farshid Nourai (Associazione per la pace), Martina Pignatti Morano (Un Ponte Per…), Mariano Mingarelli (Associazione di amicizia italo-palestinese), Don Nandino Capovilla (Pax Christi), Pietro Raitano (direttore di Altreconomia), Luca Martinelli (redattore di Altreconomia), Re:Common, Fratelli dell'Uomo, Comitato Acqua Pubblica Pisa, Claudio Riccio (Quaderni Corsari), Andrea Polacchi (Officine Corsare)

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