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Anche per il 2024 si terrà il concorso ideato da MdS Editore dedicato al territorio e all'ambiente, attraverso le espressioni letterarie ed artistiche delle sezioni Racconto, Poesia, Pittura.tpl_page_itolo di quest'anno sarà "Area Protetta".Per questa dodicesima edizione, oltre al consueto patrocinio dell'Ente Parco Regionale Migliarino, San Rossore, Massaciuccoli, che metterà a disposizione la bella sala Gronchi per la cerimonia di premiazione, partner dell'iniziativa saranno la Sezione Soci Versilia-Valdiserchio di Unicoop Firenze e l'associazione La Voce del Serchio.

Comune di San Giuliano Terme - comunicazione
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Prefettura di Pisa – Ufficio Territoriale del Governo
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Massimiliano Angori
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. . . non discuto. Voi riformisti fate il vostro cammino .....
. . . l'area di centro. Vero!
Succede quando alla .....
. . . ipotetica, assurda e illogica. L'unica cosa .....
. . . leggo:
Bardi (c. d) 56% e rotti
Marrese ( c. .....

per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com

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Di Umberto Mosso
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IMMAGINA San Giuliano Terme
I nostri candidati
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di Danilo Di Matteo
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di Alessandro Maran
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Di Gavia
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di Michelle Rose Reardon a cura di Giampiero Mazzini
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di Mollica's
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Di Siciliainprogress
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C'è qualcosa, un tesoro
che tutti cercano.
Non è pietra preziosa
ne' scrigno d'oro:
si chiama semplicemente
LAVORO
Se poi al lavoro
si aggiunge .....
La Proloco di San Giuliano Terme, attenta alla promozione e alla valorizzazione dell'ambiente indice il concorso "il giardino e il terrazzo più bello" .....
SCOMPARSA
Don Andrea Gallo

23/5/2013 - 12:07

Andrea nasce a Genova il 18 Luglio 1928 e viene immediatamente richiamato, fin dall'adolescenza, da Don Bosco e dalla sua dedizione a vivere a tempo pieno "con" gli ultimi, i poveri , gli emarginati, per sviluppare un metodo educativo che ritroveremo simile all'esperienza di Don Milani, lontano da ogni forma di coercizione.

 Attratto dalla vita salesiana inizia il noviziato nel 1948 a Varazze, proseguendo poi a Roma il Liceo e gli studi filosofici. Nel 1953 chiede di partire per le missioni e viene mandato in Brasile a San Paulo dove compie studi teologici: la dittatura che vigeva in Brasile, lo costringe, in un clima per lui insopportabile, a ritornare in Italia l'anno dopo.

Prosegue gli studi ad Ivrea e viene ordinato sacerdote il 1 luglio 1959. Un anno dopo viene nominato cappellano alla nave scuola della Garaventa, noto riformatorio per minori: in questa esperienza cerca di introdurre una impostazione educativa diversa, dove fiducia e libertà tentavano di prendere il posto di metodi unicamente repressivi; i ragazzi parlavano con entusiasmo di questo prete che permetteva loro di uscire, poter andare al cinema e vivere momenti comuni di piccola autogestione, lontani dall'unico concetto fino allora costruito, cioè quello dell'espiazione della pena.

Tuttavia, i superiori salesiani, dopo tre anni lo rimuovono dall'incarico senza fornirgli spiegazioni e nel '64 Andrea decide di lasciare la congregazione salesiana chiedendo di entrare nella diocesi genovese: "la congregazione salesiana, dice Andrea, si era istituzionalizzata e mi impediva di vivere pienamente la vocazione sacerdotale".

Viene inviato a Capraia e nominato cappellano del carcere: due mesi dopo viene destinato in qualità di vice parroco alla chiesa del Carmine dove rimarrà fino al 1970, anno in cui verrà "trasferito" per ordine del Cardinale Siri.

Nel linguaggio "trasparente" della Curia era un normale avvicendamento di sacerdoti, ma non vi furono dubbi per nessuno: rievocare quel conflitto è molto importante, perché esso proietta molta luce sul significato della predicazione e dell'impegno di Andrea in quegli anni, sulla coerenza comunicativa con cui egli vive le sue scelte di campo "con" gli emarginati e sulle contraddizioni che questa scelta apre nella chiesa locale. La predicazione di Andrea irritava una parte di fedeli e preoccupava i teologi della Curia, a cominciare dallo stesso Cardinale perché, si diceva, i suoi contenuti "non erano religiosi ma politici, non cristiani ma comunisti".

 

Un'aggravante, per la Curia è che Andrea non si limita a predicare dal pulpito, ma pretende di praticare ciò che dice e invita i fedeli a fare altrettanto: la parrocchia diventa un punto di aggregazione di giovani e adulti, di ogni parte della città, in cerca di amicizia e solidarietà per i più poveri, per gli emarginati che trovano un fondamentale punto di ascolto.Per la sua chiara collocazione politica, la parrocchia diventa un punto di riferimento per molti militanti della nuova sinistra, cristiani e non. L'episodio che scatena il provvedimento di espulsione è un incidente verificatosi nel corso di una predica domenicale: lo descrive il settimanale "Sette Giorni" del 12 Luglio 1970, con un articolo intitolato "Per non disturbare la quiete".


Nel quartiere era stata scoperta una fumeria di hashish e l'episodio aveva suscitato indignazione nell'alta borghesia del quartiere: Andrea, prendendo spunto dal fatto, ricordò nella propria predica che rimanevano diffuse altre droghe, per esempio quelle del linguaggio, grazie alle quali un ragazzo può diventare "inadatto agli studi" se figlio di povera gente, oppure un bombardamento di popolazioni inermi può diventare "azione a difesa della libertà".

Qualcuno disse che Andrea era oramai sfacciatamente comunista e le accuse si moltiplicarono affermando di aver passato ogni limite: la Curia decide per il suo allontanamento dal Carmine. Questo provvedimento provoca nella parrocchia e nella città un vigoroso movimento di protesta ma, la Curia, non torna indietro e il "prete scomodo" deve obbedire: rinuncia al posto "offertogli" all'isola di Capraia che lo avrebbe totalmente e definitivamente isolato. Lasciare materialmente la parrocchia non significa per lui abbandonare l'impegno che ha provocato l'atteggiamento repressivo nei suoi confronti: i suoi ultimi incontri con la popolazione, scesa in piazza per esprimergli solidarietà, sono una decisa riaffermazione di fedeltà ai suoi ideali ed alla sua battaglia

"La cosa più importante, diceva, che tutti noi dobbiamo sempre fare nostra è che si continui ad agire perché i poveri contino, abbiano la parola: i poveri, cioè la gente che non conta mai, quella che si può bistrattare e non ascoltare mai. Ecco, per questo dobbiamo continuare a lavorare!"

Qualche tempo dopo, viene accolto dal parroco di S. Benedetto, Don Federico Rebora, ed insieme ad un piccolo gruppo nasce la comunità di base, la Comunità di S. Benedetto al Porto: quest'anno festeggiamo trentadue anni: se il nostro progetto con tanti compagni e compagne non fosse un poco riuscito, potremmo essere ancora qui??? Dopo tanti anni, la nostra porta è sempre aperta!

 

Don Gallo si è spento il 22 maggio 2013 a 84 anni nella comunità della sua Genova.

Dal "FATTO QUOTIDIANO"  di Monica Lanfranco
Ero a Bologna quando sui cellulari di alcune persone che erano con me è arrivata la notizia della morte di Don, e i volti si son fatti tristi.

Mi son salite le lacrime, nonostante fossero giorni che si sapeva che il momento stava arrivando, e ci si stava preparando all’evento, inutilmente, perché la morte è sempre ospite inattesa.
Essendo l’unica genovese in quel momento è scattato uno strano sentimento di appartenenza e di obbligo a dover fare in qualche modo da cerimoniera: istintivamente il gruppo si è rivolto a me, quasi che il lutto mi riguardasse un po’ di più.
Così ho ricacciato indietro l’emozione e mi son sentita dire, io laica e atea, mentre cercavo di sorridere: ”Non siate tristi, Don sarà contento ora che è con il suo dio”.

Che strana sensazione, e che regalo prezioso da parte di quest’uomo al quale non era possibile restare indifferenti.

Quando, in occasione dei suoi 70 anni, gli fu conferito un premio per la persona più impegnata nella solidarietà in Liguria, la premiazione si trasformò in una festa organizzata in un teatro, anche perché cadeva in occasione del suo compleanno, (Don era del cancro, nato un giorno dopo il mio primo figlio, per questo me lo ricordo bene).
La scelta fu di celebrarlo con piccoli tributi a sorpresa, brevi frasi e saluti da parte di chi lo conosceva e amava, e a me venne chiesto di partecipare in qualità di ‘femminista’.

Don aveva sempre partecipato con gioia e generosità a tutte le iniziative che avevamo organizzato come rivista Marea, spesso unico uomo (e sacerdote) a prendere parola con la sua consueta veemenza nelle iniziative con taglio di genere. “Son sempre le donne a fare di più, quanto c’è da imparare dalla Maddalena, noi uomini facciamo schifo così tante volte da farmi vergognare”, diceva spesso, e ricordava con delicatezza sua madre, della quale ricordava la pazienza e la forza.

Quando ero giovanissima giornalista nella tv genovese del Pci, (parliamo degli anni ’80) e lui partecipava, con l’immancabile sigaro, alle affollatissime riunioni del partito sulla legalizzazione delle droghe leggere, ebbi il primo impatto con la sua particolare trasgressività.
Mentre fervevano discussioni dal tipico stampo genovese plumbeo, nelle quali i duri del partito erano fermamente contrari alla legalizzazione della cannabis, perché ‘dallo spinello alla siringa il passo è breve’ lui, che di tossici ne sapeva già da allora, si alzava, tossiva, e brandendo il toscano diceva:

Compagni, sono tutte cazzate. Questo qui (il toscano) è anche peggio dello spinello. Se non si ragiona sulla legalizzazione delle leggere i ragazzi cadranno nella droga non perché si passa facilmente dallo spinello alla pera, ma perché il mercato illegale metterà in commercio la ‘merda’ (eroina e cocaina) a basso prezzo, e ne perderemo. Datemi retta”.

Ricordo il silenzio imbarazzato dei notabili comunisti, e le bocche aperte per la sorpresa.
Don era così, diretto e senza preamboli. Che meraviglia.

A Sanremo, invitata qualche anno fa con lui da un gruppo di donne a parlare di laicità e diritti riproduttivi (sì, avete letto bene), dovetti fermarlo prima che bestemmiasse, cosa che qualche volta rischiava di capitare, e il divertente era che io, ormai avezza a questa gag, riuscivo ad anticipare il momento ed esclamavo: “No Don!” e lui rideva a crepapelle.

Non si rideva, invece, quando facendo anticamera per parlargli, nella sede genovese della Comunità al porto, si aspettava che uscisse dal suo studio.
Spesso ci sono capitata quando dentro c’era un ragazzo in procinto di essere accolto in una delle case di accoglienza per tossicodipendenti sparse in Italia o all’estero, e con me nella sala adiacente alla vecchia chiesa sedevano i genitori del malcapitato, aspettando l’esito del colloquio.

Sguardi stanchi, mani nervose, volti segnati dalla fatica e dal dolore di vite devastate dalla droga nella quale è caduto un figlio o una figlia, un’esperienza dalla drammaticità inimmaginabile. La comunità di San Benedetto, per molti, è l’ultimo approdo.
All’improvviso la porta in cima alla scaletta si apriva, e Don usciva, spingendo giù il ragazzo. “Drogato di merda, vai dai tuoi e ringraziali che son qui per te”.

Parole durissime dette con una carica di affetto e di incoraggiamento potente, salvifica, catartica, che ti rimette al mondo, letteralmente.
In quella premiazione, quando il mio nome fu chiamato e mi trovai accanto a lui per dire la mia frase lo guardai e gli misi una mano sulla spalla, in procinto di abbracciarlo.

Ti voglio bene Don, gli dissi – Accidenti a te, se non fossi un prete…”. Sorrise, ricambiò l’abbraccio, si lasciò festeggiare.

 

Che dono grande averlo conosciuto.

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