L'analisi del nuovo articolo di Franco Gabbani si sposta questa volta nel mondo di un associazionismo antesignano, le confraternite, necessarie per togliere dall'isolamento e dal mutismo le popolazioni delle campagne, anche se basate esclusivamente sui pricipi della religione.
E d'altra parte, le confraternite, sia pur "laiche", erano sottoposte alla guida del parroco.Sono state comunque i primi strumenti non solo di carità per i più bisognosi, ma soprattutto le prime esperienze di protezione sociale verso contadini ed operai.
C'era una volta un Bosco e una Marina.
Il bosco era grande e immacolato, con enormi pini dalle grandi chiome, scuri e duri lecci contorti, cipressi, ontani, alberi esotici venuti da chissà dove, piante e fiori di ogni colore, genere e grandezza e popolato da mille animali daini, cinghiali, lepri, volpi, conigli e qualche occasionale cane randagio di passaggio.
La Marina viveva solitaria con i lecci e i grandi pini fino al confine della battigia prima di essere distrutti dalle polveri volatilizzate dei detersivi “a schiuma frenata” (Microbo), meta di qualche cacciatore di frodo o invitato di rispetto o, anni prima, di qualche eroe militare che si allenava per andare a compiere eroiche imprese in quel di Alessandria ed in altri mari del mondo.
Il bosco progrediva felice, in animali e sottobosco, racchiuso com'era da una alta rete che lo circondava ed impediva l'accesso agli estranei. Guardie in divisa e armate controllavano, girando per la pineta, che nessuno violasse la proprietà. Occasionali cercatori di funghi e cacciatori di frodo erano i soli estranei che superavano le reti di recinzione stando bene attenti a non incorre nelle guardie che percorrevano in bicicletta i lunghi viali ombrosi e profumati.
Il bosco di pini era stato piantato molte decine di anni prima da contadini locali al soldo del signore proprietario ed ora cresceva rigogliosamente formando una grande chioma ombrosa dove regnava la pace rotta solo dai rumori degli animali della foresta e si estendeva fino ad una lunga spiaggia di sabbia fine dorata, un luogo incontaminato ed incantato.
Ma erano gli anni della espansione economica del Paese e le spiagge erano i luoghi più ambiti dalla speculazione edilizia che appariva, in quel momento storico del boom economico e del benessere facile per tutti, la garanzia del miglior modello di sviluppo.
Anche il nostro governo locale cedette alla lusinga e fu stabilito di cedere un parte del bosco in cambio di una strada pubblica che conducesse al mare. Finalmente i cittadini potevano andare direttamente alla loro marina senza la necessità di un permesso scritto rilasciato dalle guardie “alla catena”.
Ma in quegli anni cominciò a farsi viva nel Paese una nuova e diversa sensibilità rispetto all’ambiente, un nuovo concetto di sviluppo che considerava il territorio non più come un bene da sfruttare economicamente per un progresso finto ed effimero, ma come un valore da difendere conservare e tramandare.
La nascita di un Comitato (prima forma primitiva di democrazia diretta), la raccolta di numerose firme, la presa di posizione di esponenti di spicco della nomenclatura politica e culturale nazionale finirono per far abortire l’idea della lottizzazione e la pineta fu salva. Nacque il Parco Naturale.
La strada aperta però rimase e nel tempo quello che era un paradiso per pochi si andò trasformando in un luogo pubblico per tutti. Una grande conquista democratica sicuramente, alla condizione però che ogni nuovo arrivato rispetti il luogo che frequenta, ne percepisca il valore anche culturale e ne conservi soprattutto l’integrità.
Tiziano Terzani, grande scrittore ma prima ancora gran viaggiatore, diceva che il turismo di massa consuma tutto. Il turismo, il semplice affollarsi di gente nei luoghi ne snatura inevitabilmente il carattere, ne altera la spiritualità, ne cambia la geografia così come cambia le persone, infrange le tradizioni e modifica i costumi.
Il luogo divenne così affollato, gli spazi si ridussero a poco a poco, i rumori aumentarono di intensità e cambiarono timbro, i versi degli uccelli e delle onde del mare vennero sostituiti da quello dei motori, un luogo di pace diventò un luogo di confusione fino a che le persone iniziarono a trasportare in un luogo isolato, ma proprio per questo straordinario e privo di tutto, le loro comodità casalinghe e il paradiso della bocca del fiume finì.
La spiaggia che correva lungo il bosco, come luminoso esempio di saggezza amministrativa, fu invece in seguito acquistata e poté così rimanere pubblica. Fu deciso però che l’operazione doveva avere anche un certo vantaggio economico a favore dell’Amministrazione e della comunità.
Poteva forse bastare la consapevolezza di avere salvato un bene comune, poteva prevalere il concetto della massima salvaguardia del bene cercando un diverso approccio nell’accesso all’arenile, poteva essere portato avanti l’originario e lungimirante progetto di una Porta che fisicamente e culturalmente dividesse la parte nobile del bosco da un’area periferica di minor valore ambientale. Ma si preferì una più semplice ed immediata monetizzazione del presente e si scelsero i parcheggi. Non esterni da programmare nel tempo ma immediati, all’interno del Parco.
Migliaia di auto e moto, dagli anni di quella scelta, ogni giorno di estate si lanciano per la strada del mare alla spasmodica ricerca di un parcheggio, di un briciolo di spiaggia libera e a buon mercato.
E il bosco anche per questo si trasforma. Molti pini oramai centenari vengono abbattuti e ampi spazi vuoti con pochi alberelli striminziti e qualche basso arbusto colpiscono gli occhi e il cuore di chi per tanti anni li ha visti coperti dagli ombrelli degli alti pini, accanto alle migliaia di auto e moto che percorrono le strette stradine che conducono al mare lungo la rete di recinzione che appare in molti punti divelta, abbandonata anch’essa al suo destino. Vecchie caserme vengono trasformate in luoghi per turisti nella zona più bella e preziosa del bosco, come a favorire l’arrivo di altre auto, di altre persone, di altra confusione.
La Marina non è da meno. Da striscia di spiaggia dorata e deserta vede oramai lunghe file di auto cariche di bagnanti che affollano l’arenile per godere del mare e del sole a buon mercato.
Solo di prima mattina, o di sera quando i bagnanti hanno fatto la loro scorta di sole, la marina acquista di nuovo il suo fascino, la sua straordinaria magia, quando il sole scende colorando il cielo e la sabbia diventa a poco a poco tiepida sotto i piedi. Durante tutto il giorno, quando una marea di auto e moto ingorga le strade alla ricerca di un parcheggio, quando frotte di bagnanti fanno a gara a trovare un posto per ripararsi dal sole il luogo si trasforma e diventa simile a mille altri luoghi, di mille altri posti e perde la sua unicità e la sua bellezza.
Come anche la sera quando diventa terra di scambisti, prostitute, travestiti, ladri e ladruncoli di ogni sorta che rendono sconsigliabile l’accesso o la permanenza sulle strade.
Il mantenimento di una spiaggia libera e accessibile a tutti è stata una scelta difficile ma vincente ed è da considerare un bene pubblico, da condividere e da difendere. Ma siamo in un Parco Naturale e se guardiamo altre realtà anche qui in Toscana, vediamo che in nessun luogo si permette un accesso così massiccio e incontrollato di veicoli a motore dentro la riserva naturale. In ogni luogo vi sono limiti e chiusure, in ogni luogo il senso che si vuole trasmettere al visitatore o al bagnante è quello di stare entrando comunque in un’area protetta, un luogo di grande valore da rispettare. Per questo in molti parchi vi sono chiusure notturne, limitazioni di accesso di veicoli a motore, pagamento di pedaggi, servizi di controllo.
Una cosa è andare al mare cercando servizi, comodità, per tante e varie ragioni e non mancano certo bagni attrezzati, parcheggi coperti, bar e ristoranti, docce e servizi disponibili in località vicine.
Cosa diversa è decidere di andare al mare in un Parco Naturale dove i servizi devono necessariamente essere limitati o addirittura assenti, come nelle campagne, sulle nostre montagne, nei Parchi Nazionali. Lì si va per la natura, spesso a piedi, con fatica e sudore. Nessuno si sogna di chiedere il bagno con le sdraio o il bagnino, il soccorso o la bibita fresca.
Qui si è scelto di mandare in un Parco le auto fino alla spiaggia, senza fatica se non quella del parcheggio, tenendo anche poco conto dei residenti, dei fruitori storici, offrendo alcuni servizi propri dei bagni privati. Una via di mezzo che non contenta né chi vuole solo il mare a buon mercato e chiede perciò la spiaggia pulita e senza detriti, la sdraia e il lettino, il gazebino per il fresco, la televisione, il bar con i gelati a la bibita fresca.
Ma non contenta nemmeno chi vede in tutto questo una perdita di valore del Parco, un depauperamento fisico e culturale dell’idea originale quando l’idea di Parco si confondeva, nella mente di chi ci ha creduto e lottato, con Natura, Paesaggio, Rispetto, Cultura, Tradizioni.
Per finire un pensiero su un edificio che ha a che fare con la nostra storia, la testimonianza di una pagina storica importante per il nostro paese. Una pagina di guerra ma ugualmente importante perché gli uomini che la vissero non lo fecero per interesse personale o di parte e nemmeno di partito ma solo per serietà, servizio ed amore per il proprio Paese.
E’ la casa da dove partivano gli eroi della X° Mas per le loro missioni, spesso suicide, in molti mari del mondo. Una storia troppo spesso dimenticata e altrettanto spesso travisata da chi non è a conoscenza dei fatti ma si fa guidare dai preconcetti o da schieramenti di parte.
Forse bisognerebbe riuscire a guardare con occhi diversi questo nostro Bosco, questa Marina e questa piccola Casa, per capirne fino in fondo l’importanza ed il valore. Forse entrambi avrebbero bisogno di una maggiore attenzione, per invertire una tendenza che li vede degradare giorno dopo giorno.
Perché la natura, come la storia, non ha necessità di produrre profitto o ricchezza, la ricchezza ce l’ha dentro di sé.