L'analisi del nuovo articolo di Franco Gabbani si sposta questa volta nel mondo di un associazionismo antesignano, le confraternite, necessarie per togliere dall'isolamento e dal mutismo le popolazioni delle campagne, anche se basate esclusivamente sui pricipi della religione.
E d'altra parte, le confraternite, sia pur "laiche", erano sottoposte alla guida del parroco.Sono state comunque i primi strumenti non solo di carità per i più bisognosi, ma soprattutto le prime esperienze di protezione sociale verso contadini ed operai.
“Inferno” l’ultimo libro di Dan Brown è ambientato a Firenze, nei palazzi d’arte e proprio lì è stato presentato in questi giorni nel Salone dei Cinquecento, una splendida sala lunga ben 54 metri per una larghezza di 23 e un'altezza di 18 metri. È la più grande sala in Italia realizzata per la gestione del potere civile.
Fu fatta realizzare nel 1494 da Girolamo Savonarola, il frate ferrarese in quegli anni il signore di fatto di Firenze e promotore di una riforma in senso popolare e plebiscitario delle istituzioni della Repubblica fiorentina. Per questo scopo fece costruire questo salone che doveva accogliere il Consiglio dei Cinquecento o Maggior Consiglio, formato appunto da 500 cittadini in modo che il potere decisionale si "spalmasse" sulla popolazione, rendendolo più difficilmente controllabile da una singola persona.
Il Savonarola, forse troppo avanti per i suoi tempi, fu poi scomunicato da papa Alessandro VI e l'anno dopo impiccato e bruciato sul rogo come «eretico, scismatico e per aver predicato cose nuove», ma questa è storia antica.
Lo scrittore americano in città con la moglie (che ha preferito una nuova visita agli Uffizi alla presentazione del libro del marito) è rimasto profondamente colpito dalla bellezza del Salone e dalla bellezza della città.
"Il mio nuovo romanzo è un atto d'amore per la civiltà artistica e letteraria italiana, che non ha paragoni nel mondo, e che prende avvio simbolicamente con la Commedia di Dante Alighieri.
L’ho scritto per dire grazie all'Italia e a Dante, consapevole che la bellezza di quel passato parla anche a noi contemporanei».
Strano come le nostre bellezze artistiche, le nostre città d’arte ed i nostri antichi Borghi colpiscano così tanto il visitatore e colpiscano così poco noi stessi e il nostro sistema politico che dedica loro spesso molte parole ma pochissimi fatti concreti.
Forse siamo così assuefatti alla bellezza che ci circonda che non la notiamo più, come non notiamo quasi più l’immondizia lasciata cronicamente nelle strade, le rotonde stradali incolte, le carreggiate stradali sempre più dissestate che fanno da contraltare alla nascita di sempre nuove strade che avranno anche loro bisogno presto di manutenzione e rifacimenti.
Stiamo perdendo il senso della bellezza.
Non solo quella dei nostri monumenti e delle nostre opere d’arte ma anche quella del nostro territorio, delle nostre campagne, dei nostri boschi, delle nostre marine apprezzate solo se dotate di tutte le comodità, della sdraia e dell’ombrellone, del bagnino che ti salva, del medico che cura i tuoi malanni, del parcheggio per la tua auto.
Abbiamo perso anche la bellezza del sesso, trasformato ormai anch’esso a semplice bene di consumo dove non conta più il sentimento, la partecipazione emotiva ma solo la prestazione, come fosse un Pc, un tablet, un telefonino. Vale di più chi ha più Giga di Ram, chi ha lo schermo più grande, chi ha più Pixel, le App più aggiornate, chi sa navigare meglio.
La bellezza dei contatti umani.
La vecchia “dichiarazione” che i giovani ragazzi facevano alla fidanzatina si è aggiornata trasformandosi oggi in un semplice SMS: “Cara Laurina tu non mi conosci ma ho incrociato in FB i nostri nomi e le nostre date di nascita e tu 6 la donna che fa x me. Ti aspetto stasera a casa mia x fare sesso” “Caro Paolo ti ringrazio ma stasera ho una cena con le amiche di squola*, ti potrebbe andare bene giovedì?” (* l’errore è voluto). Sembrano in contatto col mondo, secondo le statistiche passano in media 4 ora al giorno attaccati al telefonino, per non parlare della Tv, ma appaiono molto più problematici e insicuri nei rapporti personali.
La bellezza del paesaggio e del cibo.
Un concetto relativamente nuovo che vede il progresso, ed il futuro per una Nazione come la nostra, nel mantenimento delle aree verdi, dei suoli, dei terreni agricoli, dei boschi e delle foreste che sono, insieme ai Beni Culturali, la base della nostra ricchezza. Non disponendo di materie prime e con la nostra industria manufatturiera in difficoltà per la concorrenza dei paesi emergenti dove la mano d’opera, ma anche i diritti umani e sindacali, sono ai minimi termini il paesaggio ed il cibo sono la nostra maggiore ricchezza.
Stefan Neuhaus manager del gruppo tedesco Tui Ag è solito ripetere:
“Vendiamo il paesaggio, l’arte , la cultura e il cibo: il resto non lo chiede nessuno!” E lo sa bene Oscar Farinetti patron di Eataly che sta progettando a Bologna la Disneyworld agroalimentare su 100 mila metri quadrati con fabbriche, mulini, negozi e ristoranti per attrarre 10 milioni di turisti l’anno.
Vediamo il degrado del paesaggio nella invasione delle villette a schiera, nelle periferie urbane degradate, nei villaggi vacanze costruiti in posti di grande valore naturalistico, nelle strade stracolme di automobili con cui vogliamo andare dappertutto. Già nel 1978 riferendosi al traffico delle città il grande storico dell’arte Carlo Giulio Argan ebbe modo di affermare “O le automobili o i monumenti” e le cose, specie nelle città d’arte le cose sono molto peggiorate.
Oppure i centri commerciali sempre più giganteschi e invadenti, le strade specie a Nord perimetrate da file ininterrotte di capannoni industriali (spesso vuoti) come se questi ultimi rappresentassero sviluppo e lavoro mentre l’agricoltura viene abbandonata. Abbandoniamo un’agricoltura di pregio e di qualità, e possibile fonte non solo di opportunità lavorative ma di rinascita per il Paese, per sostituirla con importazioni da altri paesi del Mediterraneo o dal terzo mondo, Cina in testa.
E poi stiamo perdendo anche la bellezza delle nostre tradizioni.
In periferie degradate ed ormai ridotte in molti casi a semplici dormitori le persone nemmeno si conoscono, i paesi perdono la loro identità, la vita si chiude nelle quattro mura domestiche, i vicini a stento si salutano e si sopportano e le vecchie tradizioni non supportate da nuove energie si perdono. I contatti umani si riducono, la solidarietà e l’altruismo quasi scompaiono e la qualità della vita scende in basso.
Una grande perdita quella della socialità, del senso e del valore della comunità, compensata fortunatamente da un grande sviluppo del volontariato che sta diventando sempre più una solida base di appoggio e di aiuto popolare nei settori progressivamente abbandonati dallo Stato come quello dell’assistenza agli anziani, della salute, dell’assistenza agli umili e ai disabili.
Se vogliamo cercare un po’ di bellezza forse la dobbiamo cercare proprio qui, in queste persone semplici e spesso anonime che si dedicano agli altri senza alcun compenso, se non quello della riconoscenza dei propri simili e delle consapevolezza di compiere un gesto antico quanto nobile, perché la vera felicità e la bellezza, come diceva qualcuno, non è nell’avere ma soprattutto nel dare.