È possibile dipingere il silenzio?Questa è la domanda che si poneva la nuova mostra di Gavia al Real Collegio di Lucca, cercando una risposta nelle immagini dipinte.
E la mostra ha rappresentato quello che l'artista stessa ama, uno spazio di incontro e di condivisione di un senso comune all’interno di una situazione pittorica, materiale e artistica ma anche in particolare il luogo dove possa emergere una realtà di emozioni che attingano dentro ogni nostra sensibilità intima e “silenziosa”.
Ogni 15 giorni tocca a noi scrivere e per scrivere devi trovare un filo, oppure un gomitolo, a volte è una matassa da dipanare. Questa volta è una matassa arrivata all'improvviso, tanto ingarbugliata da faticare a trovarne il bandolo, probabilmente perchè ne ha molti o forse ne ha uno solo? Fatto sta che abbiamo voluto seguire questo filo senza trucchi e senza inganni, cercando di scendere anche dentro di noi, con autenticità. Ma l'argomento è così particolare che sarebbe interessante che ci fossero anche i contributi di chi legge. E' un argomento faticoso, pieno di trappole, ma è qui, ci avvolge e ci travolge, a prescindere da che parte si scelga di stare.
E infatti non so da dove cominciare...ma non rinuncio, perchè so che è importante parlare di noi e loro. Chi è il noi e chi il loro? Bella domanda. Difficile risposta. Noi/Loro è una categoria variabile, dipende dalla latitudine e dalla longitudine del pensiero e del ragionamento che si fa...noi e loro, loro contro noi, noi contro loro. Quando noi insieme sotto lo stesso cielo?
Hai letto quello che è successo a Bocca la scorsa settimana? Saprei io che fare...li rimanderei tutti a casa...vengono qui a rubare e basta...a loro gli danno le case e gli permettono di fare tutto...altro che accoglierli...deve venire solo chi ha intenzione di rispettare le regole...oh, vai in giro e non senti più parlare italiano...sono troppi devono andarsene... Tutto nasce così, ma non solo...il Papa che chiede scusa ai migranti, un appello fatto a Pisa per ripristinare lo scuola bus per i bimbi nomadi e un articolo che parla della scoperta e dell'abbattimento di un campo nomadi abusivo a Pisa, in mezzo ad un canneto, mi colpisce una frase ...avevano costruito un bel villaggetto con tutti i confort...faccio fatica ad immaginare il bel villaggetto e di quali confort si stia parlando...
Allora scrivo a Emanuela e Lara per farne argomento di discussione e vedere dove si va a cascare, e scrivo così: son cresciuta con il monito di stare attenta all' “omo nero”, degli “zingheri” che rubavano i bambini, con quello delle loro donne che davano il malocchio o ti facevano stregonerie. Ma sono cresciuta anche leggendo La capanna dello zio Tom, Orzowei, il diario di Anna Frank, con i film sugli indiani d'America, sui tedesci e i campi di concentramento...Contraddizioni? No nella mia testa su questo non ne ho mai avute, nel pensare...nel fare, nello stare e nell'esser-ci, sicuramente si.
Ho sempre pensato che esiste una sola razza, quella umana e che comprende ogni sorta di varietà, anche negativa, purtroppo.
Ho sentito spesso il disagio di chi chiede l'elemosina agli angoli delle strade, di certi incontri nelle stazioni, del lavavetri al semaforo...mi fanno paura i racconti dei media sulle bande criminali. Ma altrettanto mi commuovo e mi indigno. Queste si son contraddizioni, che non nego, ma che cerco di affrontare perchè nel mio pensiero la certezza è che siamo tutti sotto lo stesso cielo, che quando dico che tutti hanno diritto ad avere diritti, penso davvero a tutti nessuno escluso. Mai sono riuscita a pensare, anzi a tuonare...devono andare a casa sua...vengono qui solo a rubare...o che loro sono il degrado della società...so che in agguato, qui, c'è la trappola inversa...il buonismo, la difesa ad ogni costo...che vuol dire essere razzista oggi? forse bisognerebbe coniare una parola nuova perchè questa viene identificata con fatti lontani nel tempo...oggi chi dice ...saprei io cosa fargli... o che respinge gli sbarchi degli immigrati, o gli vorrebbe prendere le impronte (vi ricordate?) o li tiene dentro quei recinti mica pensa di far qualcosa che non va. I media che esaltano la nazionalità del crimine lo sanno di stare nel gioco della costruzione della vittima del razzismo? Perchè quella è la parte determinante, la preparazione culturale e semantica e emotiva che giustifica quel che dico e quel che faccio, la parte che fa cambiare il senso comune, che aiuta il pensiero a costruire categorie che disumanizzano.
Scrive Emanuela: Ogni qualvolta mi imbatto, e devo dire che le cronache recenti ne sono piene, nella descrizione di episodi di razzismo, mi ritorna davanti un’immagine di qualche anno fa e una considerazione che feci allora e nella quale credo fermamente anche oggi. L’immagine risale alla prima elementare di mio figlio, una mattina, all’uscita di scuola.
Il giorno prima ero stata avvicinata dalla mamma di un suo compagno di classe, che mi chiedeva se avrei mandato il giorno successivo il bimbo a pranzo a casa sua. Lei, palestinese, era nella mia città per un anno, a fianco del marito, qui per lavoro. Lei che, quando è arrivata, non parlava e capiva l’italiano, ma già dopo due mesi si intendeva con noi benissimo. Il bimbo poi non ne parliamo. All’uscita quel giorno c’ero, ma solo perché dovevo avvisare le maestre, eravamo in prima elementare e ci si conosceva tutti molto poco. Per fortuna, però, che quel giorno sono andata, perché vedere mio figlio che si allontanava con serenità per mano ad una donna con l’hijab, senza che nemmeno per accenno ne chiedesse la ragione, è una di quelle immagini che mi porterò sempre dentro, come un dono prezioso.
Ci sono volte in cui mi pace pensare di avere qualche merito in questo. In effetti, con i miei figli ho sempre cercato di non sottolineare mai le differenze nel colore della pelle, neppure in contesti dove questo sarebbe sembrato naturale. Se dovevo indicare una persona preferivo in ogni caso fare cenno al colore del suo vestito, al tipo di oggetti che vendeva, ma evitavo il riferimento al colore della pelle e, quindi, sì, forse c’è anche un po’ del mio, ma a ben pensarci più probabilmente il merito è tutto e solo loro.
E allora ho ormai preso un’abitudine, che spero di conservare. Quando mi rendo conto di quanto poco basti tra adulti per innescare la miccia, per iniziare battaglie inutili e logoranti, per rovesciarsi addosso rancori e malumori covati magari da tempo, ecco, in quell’esatto momento, cerco di fare un passo indietro, a volte con sforzo, e di guardare le cose, le stesse di un attimo prima, con gli occhi loro, gli occhi dei bambini.
Scrive Lara: Parto con un aneddoto che mi racconta sempre mia mamma: ero piccola, tre anni, un giorno bussano alla porta di casa mia due zingare, mamma e figlia, chiedono qualcosa, io vado in un'altra stanza e torno con la mia bambola più bella, dice mia mamma, e la regalo alla bambina poco più grande di me! Anche io da piccola ho spesso sentito parlare in modo minaccioso dell’uomo nero, ma riflettendo su questa cultura comune ho realizzato che l’immagine che ne ho sempre avuto era quella di un uomo grande e grosso, vestito tutto in nero, compresi mantello, cappello e stivaloni!!! Mai ho pensato al colore della sua pelle, insomma per me la minaccia del fantomatico omo nero, non stava nel colore della pelle, che non ho mai neppure immaginato, ma nella sua stazza…forse allora il pensare che esiste un’unica razza umana è si, un fatto cultural-familiare ma è anche un po’ nel nostro DNA, dai primordi, dalla “creazione” di questa razza e qualcuno di noi, ne ha mantenuto in discendenza un gene, altri no e si son dimenticati che “siam tutti fratelli!!! Una dimenticanza che ha portato a considerare il diverso da noi, che dunque ci ergiamo a razza superiore, negativo, ladro, furfante, delinquente, ignorante, cattivo ossia negativo! Per me non è così, certo può esserlo, perché non possiamo nasconderci dietro un dito e far finta che gli zingari non vivano d’espedienti, che molti stranieri facciano altrettanto, chi per necessità e chi perché è la strada più facile, rischieremmo di sfociare in un eccessivo buonismo, che secondo me è un’altra forma di razzismo. Credo che la diversità culturale costituisca ricchezza, sia nella conoscenza e nell’accoglienza di usi e consuetudini, sia perché per prendere eventuali distanze da certi fenomeni culturali, bianchi o neri che siano, dobbiamo prima conoscerli, allora conoscendo scegli e costruisci il tuo piccolo bagaglio culturale, quello che ti farà in seguito ancora aprire alla conoscenza, scegliere di nuovo e aggiungere un altro pezzettino al tuo bagaglio. Pensando all’episodio narrato da Emanuela, mi son chiesta: manderei mio figlio a giocare da un bambino in un campo nomadi? Onestamente la risposta è no e penso al perché del mio no, non trovo un motivo preciso, un “no” culturale? Forse, ci han sempre detto che gli zingari son sporchi e rubano i bambini, così come ci han sempre detto che i comunisti i bambini li mangiano…appurato che almeno la seconda che ho scritto non è vera, allora dovrei conoscere meglio quel mondo nomade per cambiare idea o trovare un perché al mio no. E qui mi rendo conto che siamo ancora lontani anni luce a quella che chiamiamo integrazione!
Volutamente lasciamo così, tutto a pezzi...perchè il puzzle dell'umanità è, purtroppo, ancora da costruire, le tessere dopo un periodo di relativa e apparente docilità e calma, son tornate a mischiarsi, girarsi e a confondersi. La speranza, minima, ma necessaria, crediamo sia nella voglia di prendersi cura delle tessere, e di tessere, appunto, una trama narrativa che ci racconti e ci coinvolga nei vari tentativi di far crescere il nostro senso di umanità, il bisogno di comunità, lo spirito di fratellanza e la ricerca di buona vita.
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