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L'articolo di oggi non poteva non far riferimento alla festa del SS. Crocifisso che Pontasserchio si appresta a celebrare, il 28 aprile.Da quella ricorrenza è nata la Fiera del 28, che poi da diversi anni si è trasformata in Agrifiera, pronta ad essere inaugurata il 19 aprile per aprire i battenti sabato 20.La vicenda che viene narrata, con il riferimento al miracolo del SS. Crocifisso, riguarda la diatriba sorta tra parroci per il possesso di una campana alla fine del '700, originata dalla "dismissione" delle due vecchie chiese di Vecchializia. 

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per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Colori u n altra rosa
Una altra primavera
Per ringraziarti amore
Compagna di una vita
Un fiore dal Cielo

Aspetto ogni sera
I l tuo ritorno a casa
Per .....
Oggi è venuto a mancare all’affetto di tutti coloro che lo conoscevano Renato Moncini, disegnatore della Nasa , pittore e artista per passione. .....
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Un Ponte di Lana
Le Madamadorè

23/3/2014 - 14:36


Trovo questa foto e subito mi pare di averla già vista, per cui tiro avanti col mio mouse, ma poi qualcosa mi dice di tornare indietro…non è la stessa immagine, meno che mai lo è quando leggo di quel che si tratta.

Nello specifico la foto ritrae Cesenatico e racconta di un’iniziativa di molte donne della città che hanno voluto rivestire la città per combattere il grigiore della nebbia.

Nello specifico la foto l’avevo scambiata con qualcosa di simile a quanto è accaduto a Pisa.

 

La  foto ha evocato il ricordo del Ponte di Mezzo a Pisa, le cui colonne sono state tappezzate con manifesti di carta o stoffa colorata, per consentire la pubblicità ad una multinazionale, una pubblicità senza marchio, non ne aveva bisogno…Ma è stata un'evocazione fugace, una similitudine subito sfuggita perché era evidente che quella foto rappresentava ben altro, trasudava dai suoi colori, allegria, amicizia, solidarietà e speranza. La similitudine era solo strutturale;  per chi al di là dell'apparenza ha voluto coglierne le differenze, ne ha potuto trovare a migliaia. I colori caldi di un materiale che caldamente riveste e riscalda una oggetto urbano, quasi a volerlo coccolare, riscaldare con affetto, da chi ha voluto trasformarlo per sentirlo suo e renderlo migliore per tutti.

Sarebbe bello poterlo fare anche qui da noi, perché no? Abbiamo già delle idee, voi preparate i ferri del mestiere…

Torniamo alla foto e leggiamo  la storia di questa operazione di colorazione di Cesenatico e veniamo invase dalla poesia, dall’amore per i propri luoghi, dalla voglia di fare concretamente qualcosa, dal legame che è stato pazientemente tessuto tra le persone, dal senso di comunità e di appartenenza, dalla voglia di scaldare i luoghi del nostro vivere e lavorare che diventano sempre più grigi e anonimi, non solo per la nebbia.

E in un clic ci appare anche la consapevolezza di come molte forme di “resistenza” che partono dal basso, ma che hanno molta creatività e forza, possano venire trasformate in operazioni di tutt’altro segno e significato da chi in basso proprio non c’è …

Con qualche clic in più troviamo altre informazioni. Questa forma di “resistenza” politica e sociale si chiama guerrilla knitting ed  è un movimento che nasce in America nel 2004, con il fine di decorare i quartieri cementificati e anonimi: la deteriorabilità delle creazioni è controbilanciata dalla facilità di rimozione delle stesse, al contrario dei più discussi graffiti.

Proprio come il guerrilla gardening, il guerrilla knitting è una forma collettiva di riappropriazione e riqualificazione degli scenari urbani da parte di cittadini insoddisfatti. Quando la città è sentita come res pubblica, gli abitanti decidono di autogestire e auto-ridefinire l’ambiente in cui abitano, scegliendo, inoltre, di utilizzare in modo creativo e costruttivo il proprio tempo libero.

Questo movimento spontaneo e che nasce dal basso, non ha solo il significato di una rivoluzione gentile, ma crediamo che evidenzi dei bisogni che troppo spesso vengono ignorati o in qualche modo silenziati.

Bisogni che parlano di un altro modo di disegnare le città. Parlano di mappe mentali, sociali e politiche da riscrivere, di architetture più calde e morbide. Ma crediamo che parlino anche di vuoti, di spazi urbani abbandonati, come che parlino anche di energie cre-attive, di idee, di un tessuto sociale attivo, di inquietudini e insoddisfazioni.

La trasformazione degli ultimi decenni del nostro vivere e lavorare ci ha incastrato e costretto a camminare su strade strette,  e spesso in fila indiana, uno dietro l’altro…il guerrilla knetting, come altri movimenti, mettono in evidenza come ci sia il bisogno di riscoprire sentieri diversi, dove sia possibile camminare insieme e accanto.

Come aldilà delle forme del vivere e del lavorare si cerchi di costruire ed alimentare fattori di compensazione ecologica e ambientale, di produzione e rappresentazione di valori estetici, poetici, sociali e anche simbolici, e ambiti  culturali e di coesione sociale.

Nella nostra ricerca su questo tema, la rete ci fa saltellare di qua e di là, troviamo un termine che ci serve,  “urbanistica della cancellazione”.

Urbanistica della cancellazione…quanta ne abbiamo vista?

È una locuzione che ci fa venire in mente molti esempi per somiglianza o per differenza.

Quelli somiglianti sono più semplici da gestire, richiedono meno sforzi anche come persona, perché fondamentalmente ti chiedono di essere un utente o un cliente,  gli esempi dissonanti sono complicati, mettono in disordine, creano scompiglio e spaesano, perché richiedono presenza, partecipazione, responsabilità, condivisione e collaborazione, dialogo e ascolto, anche come persona perché ti chiedono di essere un cittadino. 

 

Urbanistica della cancellazione … ecco stavamo pensando proprio a questo, troppo spesso la progettazione delle città ha cancellato e o tenta di cancellare certe forme di “vuoto” che invece hanno un significato importante nell’ecologia di una città, certe forme di cittadinanza “difforme” da quella utile al modello di vivere che si vuole costruire.

Si parla molto di complessità, ma poi si fa di tutto per costruire un minimo comune denominatore culturale, produttivo, sociale e politico.

Si parla di nuove forme di cittadinanza, di  possibilità per tutti, di pari opportunità, di creatività economica, sociale e politica e poi che si fa?Dove sono gli spazi per costruire laboratori di cittadinanza attiva, di autogestione, di rigenerazione urbana e umana?

Certo di “orti” ce ne sono tanti, bene presto recintati e presidiati come proprietà esclusiva, recinti di altro potere, ma sempre di quello si tratta, recinti per pochi.

 

Se il nostro mondo è complesso e multi…forme, i colori della tavolozza devono essere tanti, i fili da intrecciare e da tessere devono essere tanti e in mano a tutti e a tutte in modo che la comunità si esprima, si auto organizzi, sperimenti nuove forme di strutturazione per la gestione degli spazi pubblici, più condivise, libere e “decentralizzate”. Con queste modalità lo spazio pubblico può mutare, con più facilità in spazio comune, realizzando luoghi relazionali, flessibili, condivisi, migliorando gli spazi attraverso l’intervento diretto dei fruitori.   

 

 

http://www.greenme.it/abitare/arredo-urbano/12867-guerrilla-knitting-ponte-cesenatico  

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