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L'articolo di oggi non poteva non far riferimento alla festa del SS. Crocifisso che Pontasserchio si appresta a celebrare, il 28 aprile.Da quella ricorrenza è nata la Fiera del 28, che poi da diversi anni si è trasformata in Agrifiera, pronta ad essere inaugurata il 19 aprile per aprire i battenti sabato 20.La vicenda che viene narrata, con il riferimento al miracolo del SS. Crocifisso, riguarda la diatriba sorta tra parroci per il possesso di una campana alla fine del '700, originata dalla "dismissione" delle due vecchie chiese di Vecchializia. 

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Colori u n altra rosa
Una altra primavera
Per ringraziarti amore
Compagna di una vita
Un fiore dal Cielo

Aspetto ogni sera
I l tuo ritorno a casa
Per .....
Oggi è venuto a mancare all’affetto di tutti coloro che lo conoscevano Renato Moncini, disegnatore della Nasa , pittore e artista per passione. .....
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IL GIUGGIOLO DI D'ALEMA
di Trilussa

13/4/2014 - 17:49


D’Alema nella sua villa in Umbria si vanta di avere un giuggiolo da 15.000 euro mentre Mauro Moretti si lamenta se si mette in discussione il suo stipendio annuo di 800.000 euro. Sembrano due cose molto diverse fra loro ma a guardare bene mostrano di avere base comune: sembrano appartenere a persone sempre più lontane dalla realtà quotidiana dei cittadini.


E dimostrano anche come il denaro sia in grado di condizionare fortemente la nostra vita, le nostre azioni, il nostro pensiero. Se si spendono 15.000 euro per un giuggiolo (è un albero, fa le giuggiole) vuol dire che di soldi ne abbiamo in abbondanza e, nel caso di D’Alema, vengono dalla politica. Tranne forse qualche introito da libri e incarichi vari. Niente di male ma sembra quasi che non si possa dire, forse perché non è troppo polically corret perché la politica, ci hanno insegnato almeno a noi della sinistra, che non è una professione ma un servizio al Paese. Comunque per la semplice indennità di uscita dal Parlamento di D’Alema si vociferava, al tempo, di una cifra intorno ai 135.000 euri.


Ci si potrebbe, o forse ci si dovrebbe, domandare se questi politici (parlo di D’Alema perché ho letto del giuggiolo, ma si può dire lo stesso per molti altri, forse per la maggior parte dei politici di lungo corso) siano ancora legati alla realtà delle cose. Se quando parlano del disagio degli italiani, delle famiglie, delle piccole imprese, dei lavoratori rimasti senza lavoro od in procinto di perderlo siano veramente consapevoli della situazione reale di cui stanno parlando.

 

Mentre abbracciano idealmente i lavoratori in difficoltà siamo sicuri che effettivamente siano con loro oppure, una volta fatta l’intervista, i loro interessi siano altri? E non il mutuo, la casa, le bollette da pagare, il lavoro, la spesa quotidiana per mettere a tavola la famiglia ma magari se sia meglio il giuggiolo (un po’ caro, bisogna ammetterlo!) oppure una più economica mimosa, il figlio che studia all’estero e chiede la prebenda mensile, il volo in businnes class da prenotare per al conferenza a Parigi, il figlio dell’amico a cui non si può dire di no da sistemare da qualche parte (è un buono a nulla, ma come si fa?). 

 

E invece di vantarsi della propria azione politica, della partecipazione attiva alla soluzione dei problemi del paese o del partito, ci si può vantare (sempre parlando del nostro amico Massimo, ma è solo un esempio) del giuggiolo da 15.000 euro o dello spumante rosè , di sua recente produzione e già situato nella classifica dei primi 350 spumanti migliori al mondo. Problemi ben diversi che si sommano poi alla preoccupazione per  la propria carriera politica, il posto alla Camera o al Senato, il problema della rielezione per non perdere i tanti privilegi che negli anni si sono accumulati con il consenso (nascosto, quasi sempre) da tutti i gruppi parlamentari.


Il grosso rischio di chi fa politica da tanti anni, e di politica vive,  infatti è quello di diventare conservatori, corporativisti, di difendere comunque  un equilibrio stabilito in anni di irresponsabilità, di grandi abbuffate anche quando le vacche erano magre, di trovarsi a difendere un sistema di potere e privilegi a cui si rinuncia malvolentieri. Al pari dei tassisti, dei notai, degli avvocati , di ogni ordine di categorie che negli anni si sono chiuse nei loro privilegi a cui non vogliono rinunciare. Nel caso della politica è ancora più grave perché il comportamento di chiusura al cambiamento si riflette su tutti i cittadini che sono poi quelli che ne fanno le spese. Qualunque cambiamento rischia di modificare un equilibrio mantenuto costante oramai da decenni, e se qualcuno dal cambiamento ci guadagna ci deve pur essere qualcun altro che ci rimette, che deve cedere qualcosa di quello che in passato ha sempre avuto, in termini di privilegi, di soldi o semplicemente di potere.
 Come nei giochi d’azzardo in cui non si vince mai, ma se per caso si dovesse vincere i soldi che si vincono sono quelli di tanti altri disgraziati che li hanno persi.
 
Moretti da persona intelligente forse non voleva dire che non poteva vivere senza i suoi 800.000 ma si domandava perché solo a lui si dovesse chiedere il sacrificio di una riduzione di stipendio. E in questo ha ragione. Non solo non è il più pagato dei dirigenti delle Aziende di Stato ma nella sua protesta pretendeva almeno che anche tutti gli altri grandi dirigenti pubblici fossero compresi nel paniere. Poi si è scoperto che è possibile operare solo su una piccola parte del detto stipendio ma la sua incauta reazione è avvenuta in un momento veramente poco felice per la gran parte dei cittadini affannati, se non affamati, in altre e più importanti faccende.


Diciamo che scioccamente (ritiro in parte il giudizio sull’intelligenza) non ha capito che non si poteva permettere una tale osservazione nei confronti di coloro che hanno uno stipendio da operaio o da impiegato  (quando ce l’hanno).


A me colpisce non poco questa distanza, questo scollamento di alcuni personaggi importanti del nostro Paese dai problemi reali, quotidiani, concreti della gente.
Ecco che allora si può, senza vergogna , vantarsi di avere acquistato un albero da quindicimila euro e protestare perché si osa mettere in dubbio uno stipendio da 800.000 euro.
 
 
 

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Minimo 3 - Massimo 50 caratteri
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13/4/2014 - 23:47

AUTORE:
Mario Giordano

...diretto ora da Belpietro e prima da Sallusti, Feltri, Paragone...ed uno "sparafiele" come Mario Giordano merita proprio tradurlo sulla VdS, così 'mpariamo a fare/leggere grandi reportage anche noi.

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Produce spumante rosé, ma gli piace chiamarlo «champagne in esilio». È più chic. Non ha dimenticato l’Ulivo di Prodi, ma gli preferisce decisamente l’ulivo secolare del giardino, che vale 1.500 euro. Che poi non è niente, se confrontato ad altri alberi ancor più rari, che s’è regalato: un giuggiolo da 15mila euro, per esempio. Mostra la sua tenuta messa su con i soldi dell’Europa (60mila euro) e la consulenza dell’enologo dei vip: 16 ettari di vigneto, un paio di colline, un casale trasformato in residence d’été, pieno di gioielli del design, uova di Fabergé e collezioni di gufi. Tutto green naturalmente, con temperatura costante, sempre 25 gradi all’interno. E poi esibisce i suoi cani, che azzannano persino più di quanto azzannava lui. «Sono molto cattivi, sbagli una mossa e ti uccidono», dice con orgoglio. Quello che gli piace più di tutti è Ajace, così feroce da dover rimanere rinchiuso in gabbia: «Sempre obliasti, Ajace Telamonio, ogni prudenza in guerra...», recita di slancio citando Vincenzo Cardarelli. E si capisce che gli piacerebbe fosse un’autobiografia. Infatti , aggiunge, questo cane «non abbaia». Morde direttamente.


Sembra quasi la caricatura di se stesso il Massimo D’Alema che salta fuori dai video inediti e dalle pagine del libro di Alan Friedman («Ammazziamo il Gattopardo», Rizzoli): per anni l’hanno accusato di avere un debole per il lusso, dalle scarpe alla barca a vela, e lui qui rivendica il diritto a circondarsi di un giuggiolo da 15mila euro; l’hanno accusato di essere snob e lui parla di «champagne in esilio» prodotto con l’enologo dei vip; l’hanno accusato di essere aggressivo e lui qui si esalta a mostrare cani con denti «che sembrano squali». «Penso ai canini di D’Alema. E al collo di Prodi», commenta Friedman con anglosassone perfidia. In casa spuntano due teiere originali della rivoluzione francese e una candela rossa che raffigura Mao. Avanti popolo, alla riscossa, con lo spumante rosé.


Quella che è stata mostrata l’altra sera nel video di Piazzapulita, e raccontata nelle pagine di «Ammazziamo il Gattopardo», è la tenuta di Otricoli, in Umbria. D’Alema se l’è comprata per consolarsi della vendita della barca a vela, la famosa Ikarus. È ancora un po’ arrabbiato per quel distacco, così arrabbiato da risultare confuso. Da una parte, infatti, dice che barca a vela non può essere sinonimo di lusso, dall’altra dice che l’ha venduta perché costava troppo mantenerla. La contraddizione è evidente. Comunque lui l’ha risolta a suo modo: si è comprato 16 ettari di vigneti, pregiati filari di cabernet franc e pinot nero che danno 35mila bottiglie l’anno di un vino che è entrato fra i primi 320 del mondo. Se questo è risparmiare... Eppure il compagno D’Alema non si accontenta. Al giornalista indica un ex monastero che sovrasta la sua tenuta e fa capire che vorrebbe comprarlo. «Se l’azienda andrà bene, forse farò un po’ di soldi...», dice. Si capisce: finora, con le piante da 15mila euro e l’enologo delle celebrity, è andato al risparmio.


D’Alema si presenta per l’intervista in jeans, scarpe da ginnastica e polo bianca firmata Les Copains. «Abbigliamento da vero viticoltore», annota Friedman che evidentemente conosce i viticoltori assai meno della finanza. In effetti: avete mai visto qualcuno che pota le viti con la polo firmata Les Copains? Il peggio però arriva quando l’ex segretario Ds smette di mostrare il suo podere e comincia a parlare. Si pavoneggia con il libro di Condoleezza Rice che lo cita (bye bye Massimo, ricordate?), si compiace per qualche telefonata con Berlusconi, si vanta come al solito per i soliti convegni a Cracovia o dintorni (c’è sempre «gente importante» che vi partecipa, ovviamente) . Ma quando si tratta di arrivare al punto, svicola sempre. Glissa. Gli chiedono della Cgil e lui si mette a recitare la storia d’Italia, gli chiedono dell’economia e lui risponde che non c’era mai, e se c’era dormiva («io non c’entro, io no...»), se la prende con il federalismo perdendosi in un lungo racconto su un cantiere alla foce del Tevere, ma dimenticando che le riforme del federalismo le hanno promosse lui e il suo partito…
Prende vita solo quando gli citano Prodi: allora scatta «come una tigre infuriata (o forse come un gattopardo)», annota Friedman. Nega il complotto del ’98, parla con vigore di menzogne e di «odio politico». Ma è solo una fiammata. Subito dopo torna a inserire il pilota automatico, con parole sfuggenti e discorsi in politichese che al giornalista anglosassone ricordano Andreotti. Un Andreotti di sinistra, grande difensore dei partiti e della prima Repubblica, un Andreotti pieno di rimpianto per il passato, ma anche un Andreotti con spumante rosé, il giuggiolo da 15mila euro, il design e il cane Ajace che non abbaia ma morde direttamente. Un po’ strano, no? Quando saluta Friedman, D’Alema gli fa un complimento: «La leggo sull’Herald ogni giorno e spesso sono d’accordo con quello che scrive», dice. E il giornalista non ha il coraggio di rispondergli la verità: è da 10 anni che non scrive più sull’Herald. Andreotti l’avrebbe mai sbagliato? Povero D’Alema, caricatura di se stesso, fa quasi tenerezza: i complimenti non sono mai stati il suo forte. Ma adesso il vero problema è che, con buona pace di Ajace, non riesce nemmeno più ad essere cattivo: cerca di sputar veleno, e gli escono solo nostalgia, ceramiche in design e pinot-cabernet.

di Mario Giordano