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Nei giorni 26-27-28 aprile verranno presentati manufatti in seta dipinta: Kimoni, stole e opere pittoriche tutte legate a temi pucciniani , alcune già esposte alla Fondazione Puccini Festival.Lo storico Caffè di Simo, un luogo  iconico nel cuore  di Lucca  in via Fillungo riapre, per tre mesi, dopo una decennale  chiusura, nel fine settimana per ospitare eventi, conferenze, incontri per il Centenario  di Puccini. 

. . . per questo neanche alle 5. 50 prima di colazione. .....
. . . alle nove dopocena non ciai (c'hai) da far altro? .....
. . . il plenipotenziario di Fi, Tajani, ha presentato .....
Ieri 19 Marzo ci ha lasciato un Vs. concittadino Renato .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Il sole nutre
col suo splendore
il croco il bucaneve
la margherita. . .
Il cuore
cancella il dolore
se alimentato dall'amore
essenza della vita
Quando .....
Oggi è venuto a mancare all’affetto di tutti coloro che lo conoscevano Renato Moncini, disegnatore della Nasa , pittore e artista per passione. .....
Le Parole di Ieri
Da Cassole a Catorzolo

22/2/2015 - 17:51


CASSOLE
Lett: CAPSULE. [Cassettina, piccolo recipiente].
In dialetto si chiamavano cassole dei piccoli cilindretti di metallo dorato, chiuse ad un estremità, dove si trovava una piccola quantità di polvere da sparo che esplodeva facendo un piccolo botto.
Si introducevano nel tamburo di pistole giocattolo, chiamate appunto “pistole a cassole”, e si facevano scoppiare tirando il grilletto esattamente come nelle pistole vere. Praticamente ogni bambino possedeva una pistola del genere ed era comune “giocare a caoboi”, scambiarsi cioè immaginari colpi di pistola imitando le imprese degli eroi del “farveste”. Le cassole rendevano più verosimile tale gioco facendo un rumore molto simile a quello di una pistola vera.
Di cassole ne esisteva anche un tipo in plastica, ma meno potente e poco utilizzata.
Presero il posto dei “furminanti”, piccole strisce di carta di colore rosso con inserite, in serie, piccole cariche esplosive raccolte in piccoli rotoli che venivano inseriti all’interno dell’arma e da cui uscivano, svolgendosi, ad ogni colpo. Anche le armi giocattolo in cui venivano usate erano completamente diverse e lo scoppio che facevano (e molto spesso fallivano), era di intensità molto inferiore a quello ben più violento delle cassole che seguiranno prendendo per questo il nome di dialettale e diminutivo di scoppietto.
Un altro tipo di pistola usata per gioco era quella ad acqua.
Le pistole ad acqua avevano l’aspetto di normali pistole automatiche ed erano di plastica, spesso trasparente, colorata. Nella zona del cane avevano un foro, chiuso con un gommino collegato alla pistola con una striscia di gomma morbida, da cui si potevano riempire d’acqua. Il livello di riempimento traspariva attraverso la plastica della pistola. Tirando il grilletto si azionava una pompa che tramite due tubicini, uno che pescava sul fondo e l’altro che si collegava alla canna, emetteva uno spruzzo intermittente d’acqua. Lo spruzzo era piuttosto limitato nella quantità ed aveva una portata di 2-3 metri, sufficiente tuttavia per accanite guerre e vari dispetti. Niente a che vedere con i nuovi modelli tipo Liquidator che hanno una portata d’acqua maggiore e sinceramente esagerata  in cui verrebbe voglia di vedere se galleggiano i cervelli di chi li fa e di chi li compra ai poveri e sempre più indifesi bambini.
Le pistole ad acqua erano giunte in sostituzione di antenate più rudimentali costituite da una specie di pallina rossa di plastica morbida, con un aspetto vagamente simile ad una pistola. Questa funzionava semplicemente con la spremitura della calcio nel palmo e la cui carica, pur essendo continua al contrario della pistola successiva, si esauriva abbastanza rapidamente.
 
Aneddoto.
Egisto del Luperini si nascose all’angolo del baraccone di Curzio, di notte, e con una pistola a cassole aspettò Anullo che a quell’ora passava sempre per andare al “logo”.
Quando lo vide arrivare uscì dal nascondiglio, spianò la pistola e gli sparò un colpo, tremendo:
 “Delinquente, m’è ammazzato!” disse Anullo, e stramazzò al suolo.
 
CASTRATE
Lett: CASTRATE. [Intaccare le castagne per farne bruciate].
Castrate si chiamano appunto le castagne destinate ad essere arrostite e che vengono preventivamente incise al centro per evitare il loro scoppio una volta messe sul fuoco.
Durante la cottura sul fuoco, infatti, l’acqua che è contenuta all’interno della castagna tende ad evaporare ma è ostacolata dalla presenza del guscio, duro ed impermeabile.
Per evitarne lo scoppio questo viene inciso con una lama.
Ballotte sono chiamate invece le castagne cotte nell’acqua con tutta la buccia.
[Ballotta nel senso di castagna risale all’arabo ballut, sorta di quercia che produce ghiande commestibili in su le coste dell’Africa]
 
CATANA                         
Lett: CATANA. [Giaccone da cacciatore].
[Captanea, dal latino captare intensivo di capere contenere]
Per i nostri cacciatori con questo vocabolo si indicava solo la grande tasca posteriore della cacciatora, giacca usata per la caccia, in cui veniva riposta la selvaggina.
Sullo Zingarelli troviamo anche catana come nome di una [pistola a canna corta] usata in Corsica, e come nome di un [pugnale giapponese] ma l’origine pare più facilmente appartenere alla lingua latina.
 
CATORZOLO
Lett: CATORZOLO. O catorcio. [Prominenza nodosa che si forma sulla superficie legnosa].
In dialetto ha un significato più generale e si usa (più spesso forse usiamo catrozzolo), per indicare una persona piccola e massiccia, rozza, ma anche sgradevole e malformata.
Catrozzolo di merda” è usato con un forte significato offensivo-dispregiativo.
Catorcio indica invece più semplicemente una persona, od una cosa, inefficiente, malata, non funzionante.
Sei proprio un catorcio!” : sei proprio messo male, in senso blandamente dispregiativo. 
La tu’ macchina è proprio un bel catorcio!”: la tua auto è veramente in brutte condizioni!
Da notare nella frase l’uso contemporaneo sia del termine “proprio”, usato in dialetto con un intento rafforzativo, che del termine “bel”, di significato opposto, come alleggerimento tendente a conferire alla frase un senso di comprensione e simpatia.
In questo caso l’uso contemporaneo dei due termini dialettali riesce ad esprimere in maniera perfetta il significato di leggerezza voluto dare alla frase.

 


FOTO. Una delle "baracche" in Bocca di Serchio

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