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L'articolo di oggi non poteva non far riferimento alla festa del SS. Crocifisso che Pontasserchio si appresta a celebrare, il 28 aprile.Da quella ricorrenza è nata la Fiera del 28, che poi da diversi anni si è trasformata in Agrifiera, pronta ad essere inaugurata il 19 aprile per aprire i battenti sabato 20.La vicenda che viene narrata, con il riferimento al miracolo del SS. Crocifisso, riguarda la diatriba sorta tra parroci per il possesso di una campana alla fine del '700, originata dalla "dismissione" delle due vecchie chiese di Vecchializia. 

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Colori u n altra rosa
Una altra primavera
Per ringraziarti amore
Compagna di una vita
Un fiore dal Cielo

Aspetto ogni sera
I l tuo ritorno a casa
Per .....
Oggi è venuto a mancare all’affetto di tutti coloro che lo conoscevano Renato Moncini, disegnatore della Nasa , pittore e artista per passione. .....
A Zonzo per Pisa
L'Orto

6/3/2015 - 15:41

A cura di TARZIA
 
L’orto botanico di Pisa nasce nel 1544, il primo in Europa.

Nasce in una collocazione diversa da quella odierna. L’istituzione è stata fortemente voluta dal Granduca Cosimo I per integrare la ricerca dell’università e fornire il materiale da studio agli allievi del nuovo corso di Filosofia e Medicina, inaugurato in quegli anni insieme ai corsi di Diritto e Teologia.
La prima collocazione dell’Orto dei Semplici è in un terreno vicino all’Arsenale mediceo. I semplici sono le parti di piante, animali o minerali utili nella farmacopea, nel caso nostro strumento per collegare l’ars medicinalis teorica alla medicina pratica.


Il granduca convocò a Pisa studiosi illustri, come il medico e botanico Luca Ghini di Imola, che fu il primo prefetto dell’orto, fornendolo di nuove essenze che lui stesso raccoglieva sugli Appennini. Alla sua morte l’incarico fu assegnato all’allievo Andrea Cesalpino, che per primo creò gli erbari secchi, essenziali per l’inizio della classificazione sistematica delle essenze botaniche descritti nel suo fondamentale trattato  “De plantis”.


Con l’espandersi dell’arsenale l’Orto fu trasferito nel 1563 nella nuova sede vicino al convento di Santa Marta (via del Giardino deve il suo nome proprio all’orto botanico), ma, come recita una cronaca dell’epoca “le piante non provano in detto luogo per aver carestia di sole et per essere (il terreno) assai negro e non tutto unito né molto capace”. Nonostante la scelta poco felice, l’Orto sotto l’egida di Cesalpino fino al 1583, e poi sotto Lorenzo Mazzanga da Barga, rimase lì fino al definitivo trasferimento nell’attuale collocazione nel 1591.


Galileo Galilei negli anni ’80 del sedicesimo secolo era allievo di Cesalpino, per cui è molto probabile che fosse un frequentatore dell’orto.


La collocazione odierna, fra via Santa Maria e Via Roma (allora via del Chiodo) era funzionale al vicino Ospedale, e agli edifici della Sapienza.


L’incarico di curare l’ ”orto novo” toccò al fiammingo Benincasa o Casabona, già prefetto dell’Orto Fiorentino e curatore dei giardini del Granduca. Il naturalista aveva raccolto in un suo viaggio a Creta molte piante che arricchirono il patrimonio botanico. L’Orto Pisano vantava una raccolta di essenze straordinaria, tanto da essere giudicato fra i più belli d’Italia. Nell’epoca Casabona l’istituto si arricchì di dipinti di piante e animali “ad vivum” che il prefetto aveva commissionato al tedesco Daniel Froeshl.


Morto precocemente il Casabona, passati alcuni anni, l’incarico di prefetto fu affidato al frate Francesco Malocchi, che riceveva dalla vedova Casabona il 2 Febbraio 1595 le “cose naturali” della Galleria (come veniva definito il museo formatosi in quegli anni): bocche di pesci stravaganti, un “bauletto” di osso di balena, zampe di leone pelate, uno scheletro di scimmia. Il Malocchi cominciò la collezione dei ritratti dei direttori dell’istituto, collocandoli sulle pareti di una vera e propria galleria che andava dall’ingresso principale all’interno dell’orto (l’insegna è tutt’ora visibile con la lapide e il busto di Ferdinando II al numero 55 di via Santa Maria). Fece anche costruire nell’orto una “fonderia” dove si preparavano i medicamenti per i poveri e per l’ospedale di via del Chiodo. La costruzione molto particolare presenta una facciata ricca di grottesche, conchiglie, madrepore e pietre secondo il gusto dell’epoca, e rimane ad oggi una delle attrattive dell’orto.


Il Malocchi era un esperto chimico, in grado di estrarre sostanze attive dai semplici, nasce con lui a Pisa la Chimica Farmaceutica. Purtroppo le sue ricette sono andate perdute.


Negli anni la galleria si trasformò in una vera e propria “wunderkammer”, (camera delle meraviglie) come in tante corti sei-settecentesche e vi venivano aggiunti, insieme a reperti della collezione personale del Granduca, cose come ossa di balena (spiaggiata a Piombino nel 1713), una mummia egizia, ossa di capodoglio, una testa umana pietrificata sovrastata da un corallo (naturalmente falsa ma non importava), comunque questo testimonia il grande interesse dei granduchi per il nostro Orto.


Un’idea della Galleria ce la facciamo visitando il museo di storia naturale della Certosa di Calci dove negli scaffali si ritrovano i reperti rimasti e la fisionomia originaria della galleria.


Fra i prefetti succedutisi alla direzione dell’orto ricordiamo Pietro Nati da Bibbiena, compagno di studi del grande Francesco Redi, archiatra del Granduca, che incrementa la collezione di pomi (in particolare agrumi, studiandone gli ibridi, detti allora “bastardume”); Michelangelo Tilli, direttore per ben 55 anni a partire dal 1685, che incrementa la raccolta di piante esotiche tra cui canna da zucchero, papiro del nilo, ananas, banano, caffè, cotone, tamarindo ed è fra i primi in Italia ad utilizzare le serre (o “stufe”) copiandole dagli olandesi.

E’ famoso per il suo catalogo delle piante dell’Orto Pisano. Incrementò molto la raccolta iconografica delle essenze tra le quali spunta la riproduzione del “mugherino” o gelsomino del Granduca, una rara specie di gelsomino introdotta nel 1689 e di cui il Granduca vietò la diffusione volendolo tutto per sé (solo alla fine del ‘700 Pietro Leopoldo permise di farne innesti).


Tornando al Redi, pare fosse sua l’idea di utilizzare una cassa di patate ricevuta in dono dal Granduca nel 1667 per piantarle in tutti gli orti di Toscana; probabilmente questo tubero che avrebbe cambiato la vita sociale dell’Europa è stato coltivato fra i primi nel nostro orto ed è finito sulla tavola del Granduca a Pisa ove spesso soggiornava.


Con la fine dell’epoca medicea e l’avvento della dinastia lorenese (1737) la situazione dell’orto migliorò per il grande interesse dei Lorena verso la botanica e l’Ateneo pisano, nel 1752 si inaugurava la farmacia, fu costruito il Tepidarium, al cui interno fruttifica per la prima volta nel 1769 il banano, naturalmente le banane le mangiò il granduca Pietro Leopoldo.


Alla fine del ‘700 inizia l’era dei Savi, Gaetano e Pietro che caratterizzarono le vita dell’Orto fino alla seconda metà dell’800.
Gaetano torna ad occuparsi della flora locale, il suo testo del 1798 “la flora pisana” è ancora oggi basilare per le conoscenze botaniche del nostro territorio, nel 1817 fa costruire l’idrofitorio per la preservazione della flora acquatica locale; il figlio Pietro si occupa di sperimentazione e fisiologia vegetale, succedendo al padre nella direzione dell’orto.


Alla morte di Pietro nel 1871 arriva Teodoro Karuel, nato in India da padre Francese e madre Inglese, che si fa aiutare dl pisano Giovanni Arcangeli, già aiutante di Pietro Savi, che succederà al Karuel.
Si deve ad Arcangeli, personaggio combattivo e determinato, la costruzione con fondi ministeriali del “gabinetto botanico” oggi sede del dipartimento di Scienze Botaniche”.


All’inizio del ‘900 l’Orto assume la sua fisionomia definitiva annettendo un terreno di circa 4000 mq appartenente alla famiglia Del Gratta (La parte meridionale con l’istituto botanico e l’orto del cedro, la parte settentrionale con l’orto nuovo, l’orto Del gratta e il laghetto dei loti).

 

Chi vuole visitare questo luogo incantato nel cuore di Pisa, sappia che è aperto al pubblico; vi troverà alberi secolari, uno dei più antichi è un gingko biloba del 1787, e poi sequoia, una magnolia grandiflora secolare, la quercia di Spagna del 1770, fiori acquatici in vasche cinquecentesche davanti all’antica fonderia, la victoria regia (vedi foto) che ci stupisce con le sue magnifiche ninfee, purtroppo non tutti gli anni.

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