Il nuovo articolo di Franco Gabbani non riguarda un personaggio o un evento in particolare, ma esamina un aspetto sociale e lavorativo che, presente da molti secoli, ebbe grande sviluppo nell'800 ( fino all'inizio del '900), ma che fortunatamente terminò relativamente presto, grazie agli sviluppi economici e scientifici.
Si tratta del baliatico, un'attività spesso vista benevolmente, ma che è stata definita "calamità occupazionale"
Festa del papà: perchè in Toscana si dice babbo „
"Ché non è impresa da pigliare a gabbo / discriver fondo a tutto l’universo, / né da lingua che chiami mamma o babbo",
si legge nell’Inferno dantesco, quando all’inizio del canto XXXII il poeta è in cerca delle parole più adatte per descrivere il fondo dell’universo che si trova davanti.
Sebbene nell’opera 'De vulgari eloquentia' Dante condanni fermamente l’uso delle parole 'mamma' e 'babbo', classificandole come termini puerili, è facile osservare quanto l’espressione alternativa per riferirsi alla figura paterna fosse diffusa nel dialetto toscano fin dall’antichità.
I Toscani però non sono gli unici: il termine 'babbo' infatti è usato nella medesima accezione anche in Emilia Romagna, in Umbria, nelle Marche, nel Lazio settentrionale e in Sardegna. L’italiano moderno, accanto a 'papà', accetta anche questa forma familiare affettiva, presente in tutti i dizionari: entrambe le parole infatti costituiscono due 'forme tipiche del primissimo linguaggio infantile, costituite dalla ripetizione di una sillaba, perlopiù formata dalla vocale a e da una consonante bilabiale (p, b, m), i suoni più facili da produrre per i bambini', scrive l’Accademia della Crusca. Mentre però l’espressione 'papà' risulta essere un francesismo, diffuso già nel veneziano del XVIII secolo, 'babbo' invece è una espressione autoctona, ovvero assolutamente locale.
E’ curioso ricordare come nei secoli passati nessuna delle edizioni del vocabolario registrasse la voce papà o pappà, mentre nel 'Lessico dell’infima e corrotta italianità' redatto da Pietro Fanfani e Costantino Arlìa nel 1877, il termine veniva addirittura criticato, additandolo come una 'voce francese ricevuta in cambio della più cara ed affettuosa di Babbo'.
La Crusca riporta poi le parole di Giuseppe Frizzi, che in una nuova edizione del 1865 scrisse: 'Padre è la voce vera e nobile, la quale si riferisce a tutti i padri in generale; e si trasporta a significare paternità spirituale, e comecchessia Colui che primo ha dato origine a una cosa. – Babbo è voce da fanciulli, ed è usata anche dagli adulti a significazione di affetto, e suol dirsi parlando del proprio padre o del padre di colui a cui parliamo. – La voce Papà è una leziosaggine francese che suona nelle bocche di quegli sciocchi, i quali si pensano di mostrarsi più compiti scimmiottando gli stranieri'.
Circa un secolo dopo, Aldo Gabrielli all’interno del Dizionario linguistico moderno (1956) afferma che papà, sebbene derivi dal francese, debba essere considerata una 'voce onomatopeica infantile, che ripete il balbettio puro e semplice dei bimbi di tutto il mondo. I puristi sostengono che si debba dir babbo (usato peraltro solo in alcune regioni), la quale è pur essa voce onomatopeica infantile: ora noi pensiamo che non ci sia da segnar barriere nella voce istintiva dei bimbi, sia essa pa-pa o ba-ba'.
Oggi, conclude la Crusca, così come è stata accettata l’origine francese del termine 'papà', ipotesi sostenuta anche dal suo configurarsi come un 'balbettamento' infantile per dire padre, allo stesso modo l’espressione 'babbo' è divenuta un regionalismo, diffuso soprattutto in Toscana, mentre in alcune zone del meridione viene usato in senso dispregiativo, diventando sinonimo di 'stupido'. Curioso però come quasi tutta l’Italia preferisca di gran lunga l’espressione 'Babbo Natale', ripresa tanto nei libri quanto nelle pubblicità televisive. In ogni caso, auguri a tutti: papà o babbi che siano. DA FIRENZETODAY