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L'articolo di oggi non poteva non far riferimento alla festa del SS. Crocifisso che Pontasserchio si appresta a celebrare, il 28 aprile.Da quella ricorrenza è nata la Fiera del 28, che poi da diversi anni si è trasformata in Agrifiera, pronta ad essere inaugurata il 19 aprile per aprire i battenti sabato 20.La vicenda che viene narrata, con il riferimento al miracolo del SS. Crocifisso, riguarda la diatriba sorta tra parroci per il possesso di una campana alla fine del '700, originata dalla "dismissione" delle due vecchie chiese di Vecchializia. 

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per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Colori u n altra rosa
Una altra primavera
Per ringraziarti amore
Compagna di una vita
Un fiore dal Cielo

Aspetto ogni sera
I l tuo ritorno a casa
Per .....
Oggi è venuto a mancare all’affetto di tutti coloro che lo conoscevano Renato Moncini, disegnatore della Nasa , pittore e artista per passione. .....
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Costumi contadineschi nei dintorni di Pisa

24/4/2015 - 6:58


[…] Le occasioni del guardaroba popolare sono nel secolo XVIII strettamente regolate da due poli: il mondo del lavoro e la pausa dal lavoro, la festività. Abiti da lavoro e abiti da festa sono le due tipologie vestimentarie che essenzialmente predominano nell’abbigliamento contadino toscano del secondo Settecento, seppure riservando evidenti diversità tra le sue numerose province.
La Toscana sfugge al principio generale del vestiario popolare, fondato sul conservatorismo  delle fogge, soprattutto se confrontata con altre situazioni italiane; citiamo ad esempio il caso delle regioni alpine, dove l’isolamento geografico agevola il mantenimento nel tempo di un abbigliamento contadino improntato rigidamente a modelli lungamente persistenti.
Pisa e la sua campagna, come del resto l’intera regione, vivono in un sistema vestimentario che si dibatte tra tradizionalismo del costume ed adeguamento alla moda della città; il rapporto città e contado in ambiente toscano è d`altra parte storicamente caratterizzato da un marcato dinamismo di scambi e contatti economici e sociali.
Ben soddisfa quindi il costume contadino pisano la tesi che “l’immobilita di questi abbigliamenti non è assoluta e talvolta si adegua al costume civile”.
Queste le idee, queste le coordinate con cui si invita il lettore ad analizzare le iconografie che seguono.
Una contadina pisana compare in una raccolta di ambito francese, del secondo Settecento con disegni di ]ean Baptiste Greuze: una figura che l’abilita dell’artista sa rendere di particolare grazia e delicatezza femminile.
La Donna Plebea in Pisa, pubblicata a Parigi nel 1768, indossa una veste con bustino rigido, come e tipico delle fogge eleganti, ma aperto sul petto, a mostrare la camicia; la sottana, certamente meno bizzarra rispetto alle linee innaturali portate dalle gran dame dell’aristocrazia, è pur sempre ricca di stoffa e sostenuta in modo tale da consentire una forma non naturale al corpo. Alcuni dettagli del capo svelano il gusto per le mode francesi nel grande secolo in Europa e in Italia.
Vera nota di sfiziosa eleganza, non può non sfuggire, è il manicotto di pelliccia, piuttosto grande, probabilmente di pelle di agnello o, se più prezioso, anche di pelle di orso; oggetto di vera eleganza, e portato come accessorio di lusso, specialmente se pensato nel clima pisano, che certamente non definiremmo rigido. Nella seconda meta del XVIII secolo, negli anni degli eccessi sfrenati della moda, i manicotti sono distintivi dell’abbigliamento alla moda delle dame ed anche dei giovani uomini, in questo periodo sono documentati in uso non solo nel contado pisano, ma per il ceto rurale agiato toscano in genere.
A proposito dell’abbigliamento tradizionale italiano osservava Rosita Levi Pisetzky in tempi ormai lontani, ma tuttavia scientificamente non superati, che “i costumi contadineschi rappresentano una cristallizzazione del modo di vestire di un dato momento storico, che soltanto in un secondo tempo può assumere un valore simbolico”.
Costumi contadineschi, termine un po’ poetico, dal tono idilliaco come l’ottica con cui, a nostro giudizio, devono essere lette le iconografie di moda popolare di tardo Settecento, nonché interpretate le molte riprese di primo Ottocento degli abiti dei contadini italiani ed europei.
Ed una pregevole ripresa della Donna Plebea in Pisa, è ideata da un anonimo autore inglese nell’opera Habit of a Country Woman near Pisa, anonimo primi decenni del XIX.
La stampa esaminata e dipinta a mano, la veste  di stoffa gialla, un colore che proviamo a collocare storicamente, al di là forse dell’intenzionalità filologica dell’incisione stessa. Di gran moda e infatti il giallo a partire dal sesto decennio del Settecento (nelle tonalità più tenui o più decise); curiosando nei Giornali di Moda dell’epoca scopriamo che esistono differenze tra il giallo “color di cedro” e il giallo “color coda di canarino”. La giovane contadina ha fiori freschi tra i capelli, come nelle acconciature popolari più comuni, in mano tiene un cappello di paglia. Il cappello e un accessorio elegante per ogni ceto sociale, nell’abbigliamento femminile del tardo Settecento; cappelli di paglia sono diffusi nel costume tradizionale, ma sono in voga anche per le Signore alla moda negli anni ’60 e ’70, sebbene i giornali mettano in guardia sul tipo di questi modelli che, “si collocano in maniera da lasciar vedere l’intera faccia”, ma attenzione però che non convengono “egualmente a tutte le donne”.
La donna indossa una veste in stoffa rigata, tono su tono color azzurro intenso, una camicia di tela semplice, senza pizzi o merletti, il corpetto e in stoffa rossa con cordoncini di passamaneria. Porta un cappello di paglia a piccola tesa, un modello funzionale, è scalza e ha le maniche della camicia rimboccate; sembra quasi colta in un momento lavorativo ma di riposo , come conferma il cestino da vivande posto ai suoi piedi. Un modello nell’insieme più modesto rispetto alla veste femminile ed esclusivamente da lavoro che indossa il suo compagno:  una veste corta sopra al ginocchio, usata nel vestiario rurale a partire dal tardo Medioevo. Interessanti anche le lunghe calze, probabilmente solate, che potevano essere fermate sopra o sotto al ginocchio. Un esemplare che codifica l’abito maschile tradizionale, e oserei dire quasi atemporale, del contadino pisano.
Un certo interesse viene riconosciuto a questa coppia di personaggi e di abiti, viste le diverse versioni che si conoscono: se la veste, abbiamo visto, è un segno sociale ben definito, anche gli strumenti da lavoro, la roncola e la falce fienaia, concorrono ad identificare il ruolo del personaggio.
Il lavoro si fa pubblico nel momento del mercato e la necessità di rapportarsi agli altri determina esigenze diverse anche per l’abbigliamento, come possiamo leggere nella stampa dei Contadini in abito da mercato: la veste femminile, di fatto uguale alla precedente, varia per alcuni particolari che qualificano una maggior eleganza: la manica della camicia, il fazzoletto, portato sotto il cappello, tipizzante le campagne pisane, le scarpe e le calze, forse di seta bianche, costanti i colori, bleu e rosso acceso, che colpiscono anche il viaggiatore Joseph ]érome Lalande, come cromie caratteristiche del pisano.
Il costume maschile guarda alla moda delle vesti cittadine, nella giacca, un modello a marsina, dal taglio molto più pratico senza falde lunghe e steccate, più consono alle necessità del movimento di un lavoratore; il capo è realizzato in tessuto robusto, un panno di lana, color marrone bruciato. I panni di lama, da sempre tessuti privilegiati del sistema vestimentario tradizionale, sono tuttavia sfruttati con successo anche per gli abiti da disimpegno di fine Settecento, per le occasioni del tempo degli uomini che per posizione sociale stessa sono definiti eleganti.
L’abito tradizionale per l’uomo trova una seconda conferma: l’arcaica soluzione della camicia, in tela chiara fermata alla vita da un’alta fascia, un lungo gilet dal taglio ampio, calze lunghe al ginocchio di stoffa color verde bottiglia, leziosamente chiuse da una serie di bottoncini, porta un cappello con falda larga. Fondamentali per la loro funzionalità i cappelli riconosciuti come elemento distintivo dell’abbigliamento, tanto al femminile come al maschile delle campagne toscane. La giovane contadina riprende lo stilema della veste da lavoratrice, la foggia di maggior semplicità e minor pregio tra le vesti contadine pisane della raccolta: camicia in tela chiara con maniche arrotolate, non porta scarpe ai piedi; nota di femminilità lo scollo e il fazzoletto posto sulle spalle e sul capo; ritorna il color giallo, accostato, come nel gusto dell’epoca, con il bleu brillante.
Moda e frivolezza prendono comunque campo anche nell’abbigliamento del contado pisano, dove i ceti subalterni guardano ai modelli della ricchezza urbana e si adeguano ai consumi dei ceti più elevati […].


Il testo è tratto   da “Costumi a Pisa” di Bruna Niccoli, edizioni ETS Pisa, nov.2000.
Le incisioni a colori riprodotte nel volume sono state gentilmente concesse all’autrice da collezionisti pisani, ricordo fra tutti Silvano Burgalassi, Marco e Paolo Tongiorgi ed altri annotati nella prefazione.
Le foto in bianco e nero sono di abitanti del comune.

 

Una considerazione che l’autrice non ha fatto, ma ha fatto intendere con il secondo paragrafo che ho sottolineato, è che il costume contadinesco e popolare della campagna toscana, e di tutta l’Italia in generale, è il completo abbandono del colore negli abiti. Nell’800 abbiamo notato una “frivolezza” eccessiva anche nel ceto meno abbiente, cosa che si è persa con il progresso industriale, quasi che il “colore” fosse da gettare come i mobili in rude massello di noce per far posto al più moderno “grigioscuro” al pari delle suppellettili in formica lucida.
Godiamo allora  con la sorpresa degli antichi colorati passant volant e gilet dei nostri avi e ricordiamo invece con amore la “pezzola” nera e i gonnelloni a pendant, ovviamente dello stesso colore, corredo feriale e festivo delle nostre ave contadine.

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