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L'articolo di oggi non poteva non far riferimento alla festa del SS. Crocifisso che Pontasserchio si appresta a celebrare, il 28 aprile.Da quella ricorrenza è nata la Fiera del 28, che poi da diversi anni si è trasformata in Agrifiera, pronta ad essere inaugurata il 19 aprile per aprire i battenti sabato 20.La vicenda che viene narrata, con il riferimento al miracolo del SS. Crocifisso, riguarda la diatriba sorta tra parroci per il possesso di una campana alla fine del '700, originata dalla "dismissione" delle due vecchie chiese di Vecchializia. 

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Colori u n altra rosa
Una altra primavera
Per ringraziarti amore
Compagna di una vita
Un fiore dal Cielo

Aspetto ogni sera
I l tuo ritorno a casa
Per .....
Oggi è venuto a mancare all’affetto di tutti coloro che lo conoscevano Renato Moncini, disegnatore della Nasa , pittore e artista per passione. .....
A Zonzo per Pisa
I costumi di Mastro Titta

4/5/2015 - 17:17

A cura di TARZIA

 

Presso il Teatro Verdi, in via Palestro 40, si trova la collezione dei costumi di scena del grande baritono pisano Titta Ruffo (Pisa 1877, Firenze1953).                                                                                                               

I costumi furono donati dalla famiglia del baritono al comune di Pisa: nel gennaio 1961 arrivarono a Pisa casse e bauli contenenti costumi, spartiti e suppellettili del baritono; il materiale era stato catalogato dal figlio stesso, ma risultò incompleto tanto che l’allora direttore del Teatro Loriano Andreini si avvalse dell’aiuto di Gino Bechi (collega di Titta) e del sarto teatrale Cerratelli per fare un nuovo inventario.


La collezione era incompleta, ma i costumi costituirono una parte del piccolo museo del teatro insieme a quelli di Tito Schipa e Marcello Rossi. Il museo all’interno del Teatro era costituito da tre sale, una dedicata a Titta Ruffo, una contenente i suoi oggetti personali e la terza dedicata alla storia del Teatro.


I costumi più significativi furono messi su dei manichini dentro delle vetrine, la sala fu inaugurata dalla figlia del baritono, Velia,  l’otto aprile del 1961. Per vent’anni il museo rimase così, per essere smantellato nell’80 a seguito di un passaggio di gestione del teatro (in tale occasione fu redatto un nuovo catalogo a cure di Giuliano Lenzi). I costumi, durante i lunghi lavori di ristrutturazione finirono a Palazzo Gambacorti e in parte in magazzini dell’economato, per un anno circa furono esposti nell’atrio del Palazzo comunale.


Finalmente, terminati i lavori di restauro del Verdi nel 1990, i costumi tornarono nella sede originaria, dopo un accuratissimo restauro che si rese necessario per i danni procurati dal tempo e dall’incuria ai tessuti e ai colori, diretto dalla dottoressa Daniela Liburdi. Dopo il restauro fu fatto un nuovo catalogo che comprendeva 43 costumi cuciti tra il 1898  e il 1931, armi bianche da scena, gioielli, parrucche, 60 spartiti, libri e fotografie (mancavano i costumi donati dallo stesso Titta al teatro Colon di Buenos Aires).


I costumi sono di una sontuosità e magnificenza eccezionali, realizzati con stoffe pregiatissime: uno dei più appariscenti è quello del Rigoletto di Verdi (personaggio particolarmente amato dal baritono) realizzato nel 1912, rappresenta un abito da giullare del rinascimento ricchissimo di decorazioni regalato da Titta Ruffo a Gino Bechi  e da questi reso al museo nel 1963, un altro molto importante è quello di Lord Enrico Ashton nella Lucia di Lammermoor di Donizetti indossato per la prima volta nel 1899, di foggia scozzese con un enorme mantello verde.

 

Il costume più originale è quello di Escamillo nella Carmen di Bizet, un vero e proprio costume da torero con nappe di seta e perline con stoffe donate da due veri e famosi toreri spagnoli fra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900. Un altro importante abito è quello di Boris Godunov (opera di Modesto Musorgskij) che rappresenta la mise cinquecentesca di un signore russo, ricco di decorazioni floreali, confezionato nel 1916.


Dal 1999 questi meravigliosi costumi si possono ammirare (non tutti perché per ragioni di conservazione vengono ruotati ogni 2 anni circa, attualmente ne sono esposti 16 insieme a suppellettili e armi di scena) nel grande corridoio della seconda galleria e nel ballatoio del Teatro Verdi.


Perché questi costumi sono così importanti? Per capirlo bisogna scoprire chi era questo nostro grande concittadino.


Cafiero Ruffo Titta (Titta era il cognome) nasce in Via Volturno  (allora via Carraia) nel 1877 da una famiglia di artigiani del ferro, il padre Oreste Titta era mastro ferraio. Precocemente si scoprì dotato di notevoli mezzi canori, tanto che per un periodo di pochi mesi frequentò l’Accademia di Santa Cecilia a Roma (maestro Persichetti) senza però riuscire ad emergere, per cui, come ebbe a dichiarare in seguito, riconobbe come suo maestro suo fratello Ettore, in realtà fu per la gran parte un autodidatta.
Era comunque una voce eccezionale tanto che già nel 1904 otteneva la parte di Rigoletto alla Scala di Milano diretto nientemeno che dal grande Toscanini.
Era nata una stella di prima grandezza tanto che da molti musicologi è ritenuto il più grande baritono del ‘900 se non di tutti i tempi. La sua voce spaziava dai toni bassi fino al do tenorile, la sua interpretazione era accurata, aiutata dal suo minuzioso studio dei personaggi anche sotto il profilo psicologico.


“Ebbe momenti di grande finezza ed efficacia di espressione che non sfuggirono al pubblico” si legge in una recensione all’indomani del Rigoletto della Scala.
Negli anni prima della grande guerra fece una grande tournee in America Latina approdando alla fine al Metropolitan di New York e a tutti i più importanti teatri del mondo.
Nel primo trentennio del ‘900 esistevano nella lirica due “artisti globali” lui ed Enrico Caruso, difficilmente insieme sulla scena perché costava troppo pagare tutti e due. (e forse erano anche un po’ gelosi l’uno dell’altro).
E’ evidente che un artista di questo calibro esigesse costumi eccezionali, quelli che ora sono a nostra disposizione.


Durante la sua carriera è tornato a cantare nei nostri teatri, dal 1898 nello scomparso teatro Politeama delle Piagge, al 1925 per una recita di beneficenza al Verdi.
Dopo questa data va in esilio volontario e non canta più in Italia; era cognato di Giacomo Matteotti (ucciso dal regime fascista nel 1924) avendone sposato la sorella e di idee socialiste e antifasciste. Il regime lo considerò allora un nemico, e oltre a togliergli la patente di artista, lo arrestò nel 1937 quando tornò in Italia. Si narra che il 26 luglio del 1943, all’indomani dell’arresto del duce, si sia affacciato alla finestra della sua casa per intonare la “la Marsigliese”.


Tra gli anni ’20 e ’30 inizia il suo declino vocale, precoce perché, come si legge nella sua autobiografia “la mia parabola” egli non era in possesso di una tecnica vocale tale da risparmiargli sforzi eccessivi nell’emissione della voce a causa della sua formazione in gran parte da autodidatta.
E’ sicuramente uno dei più illustri pisani di sempre.
 
T.

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