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L'articolo di oggi non poteva non far riferimento alla festa del SS. Crocifisso che Pontasserchio si appresta a celebrare, il 28 aprile.Da quella ricorrenza è nata la Fiera del 28, che poi da diversi anni si è trasformata in Agrifiera, pronta ad essere inaugurata il 19 aprile per aprire i battenti sabato 20.La vicenda che viene narrata, con il riferimento al miracolo del SS. Crocifisso, riguarda la diatriba sorta tra parroci per il possesso di una campana alla fine del '700, originata dalla "dismissione" delle due vecchie chiese di Vecchializia. 

. . . non discuto. Voi riformisti fate il vostro cammino .....
. . . l'area di centro. Vero!
Succede quando alla .....
. . . ipotetica, assurda e illogica. L'unica cosa .....
. . . leggo:
Bardi (c. d) 56% e rotti
Marrese ( c. .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Il Racconto
"Il Generale"
di Santino Gabrielli

10/8/2015 - 10:21


Il Generale


Questa storia  è dedicata a chi ce l’ha fatta.
Ogni riferimento a fatti o persone è puramente casuale. 
 
1.
Nell’interrato della sede FIS (Forze interventi speciali ) non volava una mosca. E faceva caldo, nonostante fosse inverno e i termosifoni spenti.  Baldo Baldi, capo operativo interventi, parlava da una buona mezz’ora. Guardava tutti con la cattiveria di sempre e gridava per sottolineare i passaggi più difficili. -“Abbiamo  tutti addosso. Governo e opposizioni, sindacati, Confindustria, giornali e opinione pubblica. Hanno fatto l’alleanza di unità nazionale, benedetta dal Presidente. Anche i preti  hanno fatto sentire la loro voce e non l’hanno fatto a caso”. Ma chi dava i brividi a Baldo Baldi erano gli americani. -“Se non siete capaci, lo facciamo noi.” Avevano fatto sapere per bocca dell’ambasciatore. E questo l’antiterrorismo italiano non se lo poteva permettere. Il Ministro degli Interni aveva minacciato di azzerare i vertici. Baldo Baldi aveva il compito di chiudere la partita. Quelli passati erano stati anni difficili  con morti eccellenti, e  c’era un mostro ferito là fuori al quale schiacciare la testa . Anche Baldi, pareva stanco. Dopo anni sul campo e una fama di comandante implacabile,era passato dietro la scrivania, ma le pressioni degli ultimi mesi lo avevano sfiancato. Lo chiamavano Acciaio, aveva alle spalle decine e decine di operazioni, alcune piuttosto discutibili per come erano state condotte. Aveva però la fama di non sbagliare e non perdere mai la calma. Tutti erano a conoscenza che qualche volta aveva esagerato, con atti fuori regola, -“da psicopatico” diceva sotto voce chi l’aveva visto.. Ma nessuno aveva mai ufficializzato niente. Acciaio era temuto e protetto in alto. Adesso passati gli anni aveva lasciato la prima linea.  In molti avevano tirato un sospiro di sollievo. Vederlo esagerare  non faceva piacere a nessuno, anche se pochi minuti prima, chiunque della squadra avrebbe voluto massacrare “gli obbiettivi”.
Verso la fine del discorso,come faceva sempre  prima di un’azione decisiva,  la sua voce era diventata quella di un padre premuroso. Spronando il capo missione Luigi Zamboni,  al  quale riconosceva l’intelligenza tattica ma non la necessaria cattiveria, aveva detto nomi e assegnato incarichi. Poi aveva concluso perentorio-“E soprattutto mai abbassare la concentrazione. Questi ,quando questi li pensiamo  finiti, hanno sette vite come i gatti!” Non chiedeva mai se c’erano domande, non ne voleva. Dava solo ordini. Gli aveva insegnato così suo padre, militare come lui, ormai in pensione. La democrazia nella sua testa era un ingombro.
Sette vite come i gatti. Aveva proprio detto così Il capo.   Mario Percassi detto Sangue, uno che veniva dal bergamasco, mentre uscivano dalla sala aveva messo una mano sulla spalla del suo capo, che conosceva fin da quando erano arrivati alla scuola antiterrorismo. E aveva detto-  “ Luigi vediamo di mordere subito, senza troppo abbaiare, se no mi sa che sono cazzi!”.
L’operazione era stata chiamata “44gatti”. Nessuno aveva osato chiedere in giro di chi fosse quella pensata.
 
 2.
Erano in quattro quelli che si occupavano della custodia.
E quattro quelli che avevano fatto la prima parte del lavoro.
L’anello di congiunzione dei due commando era uno che chiamavano il Doge. Nessuno conosceva il colore dei suoi occhi, sempre tappati da lenti ingombranti e scurissime.
L’avevano incontrato  solo due volte; la prima, poche settimane indietro, in un rifugio sulle Dolomiti.
Messo a punto  dettagli e date, si era rifatto vivo una seconda volta per confermare la data, incontrandoli singolarmente. Aveva consegnato a ciascuno, indirizzi,chiavi, soldi, cartine, foto ,indicazioni generali.
Le armi le avrebbero trovate la mattina stessa nell’appartamento.
L’azione era stata rapidissima. Quattro finti operai dei telefono avevano suonato il campanello di un pezzo grosso americano e l’avevano prelevato armi in pugno. Il graduato era senza scorta e nessuno, nemmeno di là dall’Oceano, avrebbe mai immaginato un fatto del genere.
Poi i quattro avevano portato l’uomo in un appartamento, dove in una stanza stavano gli altri pronti a prenderlo in consegna, armi in pugno. Il Doge aveva fatto da tramite senza farli incontrare, poi consegnato l’ostaggio se ne era andato anche e lui.
I quattro, arrivati lì da posti diversi, si alternavano nel lavoro. Non si conoscevano per nome , ma con uno pseudonimo. L’Etrusco alla sua prima azione “importante”, Il Burrasca un meridionale trapiantato a Torino che fino ad allora si era occupato di piccoli sabotaggi in fabbrica; il Muto, uno diceva tre parole al giorno in un italiano incomprensibile e un giovane studente, soprannominato Zapata, a cui il Doge si rivolgeva come se lo conoscesse da sempre.
Il Doge, l’unica volta che l’avevano  incontrato tutti insieme, aveva anche detto che non valeva la pena di rischiare fino in fondo e che se la cosa fosse precipitata sarebbe stato meglio “alzare le mani”.
Proprio così aveva detto. “Meglio una ritirata strategica alzando le mani, che farsi stendere”.
L’Etrusco da tempo aveva nella testa queste parole. Ma perché rischiare tanto allora se poi avremmo dovuto arrenderci.  Ma ormai cominciava a farsi strada nella testa  che quella era un’azione disperata che non avrebbe portato a niente.
Dopo che i capi storici erano usciti di scena, chi morto e chi nei carceri di massima sicurezza,  il terrorismo aveva avuto un momento di recrudescenza. Alcune seconde linee avevano assunto ruoli di comando. Ma più per inerzia che convinzione. E di strategico c’era veramente poco. Così rimuginava l’Etrusco. Poi dopo l’arresto eccellente di un capo storico , l’ultimo rimasto della prima fase, a qualcuno dei superstiti  era venuta l’idea di dare una dimostrazione di forza. Che ne parlasse tutto il mondo. Ma la spinta terroristica era ormai fiacca.
Anche i Servizi ,ormai sulle loro tracce da tempo,  non si spiegavano come dei  giovani terroristi di serie B”, avessero potuto affrontare una vicenda così complicata. “il rapimento di un  Generale”.
 
3.
Il rapito era niente popò di meno che il comandante delle forze TONA, nel sud Europa. Presidiava i confini con l’est. Per un ruolo del genere non si sceglie il primo venuto e il Generale non lo era.
 E siccome gli americani da tempo parlavano di installare missili puntati verso la Russia, proprio in una loro base italiana, era giunto il momento di fare un’azione che nessuno avrebbe mai previsto. Colpire il loro capo.
L’uomo, pluridecorato, aveva fatto tutto quello che c’era da fare sui campi di guerra con l’esercito americano. Il Vietnam era il suo fiore all’occhiello. La jungla, la cattura da parte dei vietcong, le torture, la fuga. Ma erano le missioni successive, quelle che non danno gloria, che erano state la sua forza.
Roba fuori dai trattati internazionali. Azioni coperte dall’alto, che l’avevano messo ai primi gradini della nomenclatura militare. Per questo l’avevano mandato, ormai cinquantenne a mettere la sua esperienza al servizio di un’area strategica.
Ora quest’uomo che avrebbe fatto paura ad un esercito, solo per le medaglie che aveva sul petto, stava  dentro una tenda da campeggio montata al centro di una piccola stanza, in un appartamento di un’anonima periferia italiana. Seduto su uno sedia, senza mai appoggiarsi allo schienale; busto eretto, sguardo dritto e occhi impenetrabili. Nessuna smorfia. Non aveva mai detto una parola ne fatto un lamento. Non dava segni di paura. Mangiava le poche cose che gli davano, lentamente. Dormiva in terra, evitando la piccola branda messa dentro la tenda.
Quell’uomo di ghiaccio ne aveva viste troppe per non percepire la paura dietro quei passamontagna che  sporadicamente incrociava durante la giornata.
Lo sorvegliavano a turno. Uno nella stanza. L’altro nel corridoio. Gli altri due fuori, nei pressi del palazzone popolare mischiati normalmente alla gente comune. E soprattutto confusi fra le decine di studenti universitari che abitavano quelle zone . Per il vicinato erano giovani come ce ne sono tanti in una città universitaria. Studenti fuori sede o lavoratori. Facevano la spesa, salutavano, compravano il giornale, come chiunque altro.
Un comunicato fatto ritrovare in un cestino all’università chiedeva la liberazione di alcuni capi storici. Cosa che non sarebbe mai accaduta e loro lo sapevano. I tempi della trattativa non erano quelli.
“Non conviene resistere, se entrano “le bestie” meglio arrendersi. Vuol dire che è finita. Meglio una ritirata strategica che farsi stendere.”.
Queste parole che prima dell’azione l’Etrusco aveva sottovalutato, ora cominciavano a rimbalzare nella testa.
L’uomo era alla sua vera prima missione importante dopo un periodo di ruoli minori e una fase di semi-clandestinità. Era una persona ideologicamente temprata, ma non conosceva la violenza.
Aveva viaggiato molto, il suo lavoro l’aveva aiutato e recapitato lettere. Poi aveva consegnato denaro delle rapine che lui non aveva mai fatto, a soggetti che non conosceva. Una sola volta aveva messo una bomba carta davanti a una caserma, ma sapeva in anticipo che l’azione era dimostrativa, non certo di sangue, come si usava dire.
Non aveva mai sparato ne tantomeno ucciso qualcuno. Non era mai stato intenzionato a farlo. Questa volta, che era stato chiamato per un’impresa più grande e non aveva potuto tirarsi indietro, sapeva che sarebbe potuto accadere, ma le parole del Doge sembravano escludere questo rischio.
“Se entrano chiunque ci sia , alzate le mani”.Quel chiodo fisso gli attutiva l’ansia.
 
4.
Luigi guidava il gruppo d’intervento di cinque persone, che avrebbe dovuto concludere l’azione.
Lo chiamavano Matraccio, per il collo lungo e le spalle arrotondate. Era una persona intelligente e navigata. Il soprannome glielo aveva messo un tecnico della scientifica.
Veniva da un paese di provincia dell’Emilia. I suoi avevano impastato per  una vita bomboloni e servito mezze lasagne alle feste dell’Unità, ma si era convinto che quel comunismo al di là da quella porta che prima o poi avrebbero sfondato non era quello di suo padre, che teneva la foto di Berlinguer accanto alla televisione. Nonostante tutto provava amarezza per quella deriva . Aveva avuto amici che si erano persi nell’eroina e altri nel terrorismo. Pochi si erano laureati, lui ci era riuscito studiando con tenacia nei ritagli di tempo. Venivano tutti da famiglie non abbienti.  Poi aveva scelto la polizia perché lo stipendio, se pur misero, era sicuro; anche se suo padre non era stato contento. Sapeva che quei “disgraziati” là dentro, potevano essere stati gli amici del biliardino alla Casa del popolo. E che non avevano scampo. Erano soli. Abbandonati a se stessi e dentro un’azione troppo più grande della loro testa. Tutto questo lo intristiva, ma sapeva anche che quando si va incontro ai meno esperti ideologicamente convinti, può succedere di tutto. E lui preferiva e voleva che non succedesse niente.
Le  due squadre che dovevano preparare il terreno, avevano bonificato il palazzo. Tagliato luce elettrica, staccato gas. Bloccato l’ascensore. Avvisato  il vicinato. I due all’esterno, in quel momento, il Muto e Zapata erano stati fermati senza problemi.  Uno su una panchina  mentre fingeva di consultare un manuale di anatomia e vigilava l’entrata del palazzo; l’altro con la spesa in bella evidenza mentre usciva dall’alimentari nelle vicinanze. Avevano appena fatto in tempo a chiedersi  dove avessero sbagliato ed erano finiti dentro due furgone di un finto fioraio e di una ditta idraulica, parcheggiati  poco più avanti. Tutto era libero. Toccava alla squadre di Matraccio.
L’appartamento era stato individuato da poche ore. Il Doge si era tradito e l’aveva subito pagata. Da tempo era sospettato, ma l’uomo era abile. Certamente uno della vecchia scuola. Ma una notte l’avevano bloccato mentre stava andando a trovare la madre morente e l’avevano riconosciuto. L’uomo era al corrente che alcuni giovani fiancheggiatori, pronti a fornire un letto a qualche latitante o disponibili a portare un comunicato da farri trovare, erano stati catturati e si diceva nel giro addirittura torturati, anche se nessuno poteva provarlo, fino a che non avevano fatto alcuni nomi. E il suo era venuto a galla, confermando i sospetti che su di lui gravavano da tempo.
 Quello che pareva essere un normale posto di blocco da superare tranquillamente mostrando la patente falsa, l’aveva fregato. Sulla macchina avevano trovato una pistola. Quella sera il Doge aveva avuto più di un sospetto di essere seguito, e non si sbagliava. Lo stato di ansia in cui era caduto girando e rigirando con l’auto prima di decidersi di andare dalla madre che non vedeva da due anni, non gli aveva fatto riporre la pistola al sicuro. L’aveva lasciate sul sedile. Aveva presentato i documenti falsi, senza togliere gli occhiali, ma quando i poliziotti si erano accorti con chi avevano a che fare e avevano sbirciato la pistola sul sedile, non avevano fatto in tempo a puntare la pistola che lui aveva già le mani alzate senza accennare nessuna reazione.
“Tutti hanno una debolezza prima o poi, come le avete voi, non bisogna perdonarli. Nemmeno se fossero sul letto della madre morente”. Le parole di quel figlio di puttana di Acciaio erano crudeli quanto vere.
Matraccio fermo sul pianerottolo ci aveva ripensato a quel bastardo del suo capo. Odiato da tutti ma infallibile e per questo tollerato e stimato dai piani alti.
Il Doge, messo di fronte alle evidenti accuse, non aveva tentato nessuna difesa. Si era subito dichiarato pentito e aveva collaborato.”Ritirata strategica” si ripeteva nella mente, mentre dettagliava luoghi e indirizzi.
Non c’era tempo da perdere, “l’operazione “quattro gatti” andava conclusa alla svelta.
Agire velocemente. Essere implacabili. Acciaio, avuto il via dai Capi, aveva convocato immediatamente Matraccio e dato il via all’operazione. Non dare il tempo  di pensare. Si giocava sul filo dei minuti. Liberare quell’impiastro di Generale che si è fatto rapire da quattro finti operai dopo essere scampato al Vietnam e consegnarlo agli americani. Così avrebbero smesso di minacciare di intervenire direttamente. Alla loro maniera, magari spianando un intero quartiere come solo sanno fare e facendoci fare una figura di merda sul piano internazionale.
Matraccio sapeva di essere un punto di riferimento per i colleghi. Era amato, soprattutto per la sua mania di difendere tutti  ed evitare violenze gratuite.  “Difendi anche gli stronzi” gli dicevano quelli a lui più vicino.  “Mio padre mi ha insegnato così” replicava. “Io non voglio incubi la notte.”
I suoi gesti in azione era importanti. Quelli che dettavano i tempi.  Una mano alzata , un dito puntato verso l’altro. Un gesto leggero verso una qualche direzione. E gli occhi, che sotto il passamontagna non dovevano dare segni di paura.
 “Non è vero che sotto un passamontagna siamo tutti uguali, chi se la fa sotto si vede” ripeteva con cattiveria Acciaio durante le riunioni operative. Matraccio aveva imparato a dominarla la quella bestia che si chiama paura, ma non a togliersela di dosso. “Perché chi non ha paura non è un eroe, è un cretino” diceva a sé stesso.
Agire velocemente però era fondamentale. Significava anche salvare vite. Qualunque fossero. Avevano scelto di agire ad un’ora insolita proprio per accentuare la sorpresa.
“C’è l’Etrusco di guardia al Generale, uno che non ha mai sparato e non lo farà nemmeno questa volta” aveva detto il Doge sotto interrogatorio.”Lui ha cervello …” aveva detto proprio così “ non opporrà resistenza”.
Sull’ultimo pianerottolo, quello dell’appartamento,Matraccio alza la mano affinché quelli dietro possano vedere bene. Pronto a dare il via.
Dentro il Generale , fermo sul panchetto fissa la ciotola con le cose da mangiare non ancora toccate. Gli sono state tolte dall’orecchio le cuffie con la musica degli AC/DC. L’unico che lo fa è l’Etrusco. Per pochi minuti ma lo fa vivere. Di togliergli ogni tanto le cuffie era stato una delle poche richieste del Generale. L’uomo di guardia si alza dalla poltrona per vedere se è stato mangiato qualcosa. Si chiede come si possa stare con quel busto e eretto per ore. Pensa alla forza d’animo di quest’uomo. Si preoccupa. Sono passati troppi giorni e l’ansia lo tiene prigioniero.
“Se entrano alzate le mani, perché è finita” si ripete nella mente.
Poi fa una cosa che non aveva mai fatto; cerca di sbirciare fuori da una stecca dell’avvolgibile rimasta lievemente aperta. Non riesce a vedere nulla. “Quando arriva  Zapata” dice fra sé.
Di là dalla porta dove  Burrasca monta la guardia, non vola una mosca.
Matraccio abbassa la mano, come dare la carica e si fa di lato. Due uomini abbattono la porta in tre secondi. Frastuono, lacrimogeni, lampi che accecano. La squadra di Matraccio porta maschere antigas e occhiali da marziano. Hanno in mano armi sofisticate. Burrasca nel corridoio non si accorge di nulla. Lo colpiscono prima che si renda conto di quello che succede. L’Etrusco sente il frastuono e capisce. Impugna la pistola. Il manico pare diventato un melone tanto lo ingombra. Poi  d’istinto la getta in fondo alla stanza, strusciandola sul pavimento. Alza le mani, attende la resa.
Il generale dentro la tenda non si muove. Senza cuffie, sente anche lui il gran rumore. Ha capito che sta accadendo qualcosa e sa che quello è il momento più difficile. Se le cose vanno male dovrà tentare l’ultima difesa. Ma non è la prima volta e raccoglie il respiro nel torace in attesa.
“Agire velocemente, essere implacabili” Matraccio si concentra su questa frase. L’Etrusco continua a fissare la porta  con le mani alzate. E’ impietrito.
-“Ci siamo” pensa. Tre secondi, la porta salta. Chiude gli occhi, sente un odore acre . Il fumo non fa in tempo ad invadere la stanza che un uomo che sembra Mazinga entra e  lo colpisce secco  alla tempia. Fa  in tempo a pensare ”E’ finita”.  Perde i sensi.

Poi il buio e il RITORNO ALLA VITA.
 
Santino Gabrielli  San Giuliano Terme 10 agosto 2015
 
 
 
 
 
 

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21/8/2015 - 8:24

AUTORE:
fabiano

bravo!