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Il mese scorso è stato presentato un nuovo libro pubblicato dall'Editore MdS, "Il coraggio tra i fiori di ortica", un'opera intensa e profonda cheracconta l'infanzia non solo nella sua dimensione più luminosa, ma anche nelle sue ombre, fatta di giochi e risate, ma anche nelle sue ombre, tra segreti, paure, abusi e battaglie quotidiane che i più piccoli affrontano con straordinaria forza.

Un libro che ci ha subito colpito e per il quale si preannunciava un sicuro interessamento e successo a livello nazionale.

Pas - Marina di Vecchiano
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Cooperativa Teatro del Popolo- Miglarino
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Massimiliano Angori, Presidente
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. . . gredigi🤔 con la vecchia lira ora una pizza .....
X non dimenticare £1936, 27=1€
Grazie a Prodi .....
•Governo Renzi
Presidente Mattarella
•Governo .....
Ricordate il tubo di refrigerazione della nuova pista .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Raccontino di Giancarlo Montin
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Incontrati per caso...
di Valdo Mori
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di Angela Baldoni
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Magnifico salvifico silenzio
È il primo maggio, uno splendore
Grazie all'esodo di tutte le persone
che lontane da casa
vivon la percezione
di fruire .....
ad oggi la situazione è peggiorata
ora anche tir, pulman turistici , trattori, camion con cassoni per massi,
etc. . E ad alta velocita,
inquinamento .....
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Un processo discusso

14/9/2015 - 8:11

Becco e bastonato!

 
Mangio rosicchi e bbev’acqua di bótro,
ar buo der culo c’è lle ragnatele,
ma per e più la parte facci’a llótro
e mmi tocca èsse’ ppreso pe’ lle mele.


Sarà cent’anni ‘he bàzzio le novelle,
ma nessuno mai con me ci vòrse sta’;
si mettin’anzi a rride’ a crepapelle
di chi ‘r mi nome cercava di spaccià’.


Vò’ vedé’, s’a ‘n piscologo ni gira,
vien fòri ‘he lli strizzoni della panza
fame ‘un era ma fórze ‘r tira-tira?


‘Ver che mmi press’a lletto ‘ndella stanza
‘un era ‘r marcio ch’ora ‘r mondo tira,
perché a’ mi’ tempi, … ‘un c’era ‘vest’usanza!


Il processo


Nella grande pineta dei Duchi Salviati di Migliarino, al centro di una grande radura interamente coperta di cisto, si erge la Grande Quercia. Sui grandi rami un gruppo di cornacchie gracchia ripetutamente:
“Processo al Lupo, processo al Lupo!
Per contorno, lungo il poderoso tronco, nascono le felci “lingue di lupo”, intorno non vi sono funghi che non siano quelli che in Francia chiamano “scorregge di lupo”.
All’ombra della quercia si trova la giuria composta da animali selvatici: Daini, Tassi, Volpi, Lepri e domestici: Gatti, Pecore, Galline e Cani.
Presiede il solito giudice Saggio Gufo.
Cancelliere è Solingo Istrice.
L’accusa è il classico Cavallo Bianco, che così esordisce:


“Tralasciamo, perché non pertinenti a questa causa, le pittoresche e varie identità dell’imputato che si fa chiamare a volte “solitario”, altre “siberiano” o “mannaro”, “di mare”, “Alberto” ecc.ecc. Signor cancelliere non ho starnutito, scriva eccetera eccetera, grazie. In questo processo si mette in discussione la cessione di comportamenti selvatici dall’animale all’uomo e, più precisamente, di alcune particolari caratteristiche che il qui presente imputato Lupo ha fatto in modo potessero essere attribuite alla gente comune. In primis, Signor Istrice non mi rizzi le sue penne per favore, scriva: Primo!, si ingiunge al suddetto imputato di cessare di far dire: Mangi come un lupo! Imputato, a lei!”
Un Lupo spelacchiato, scheletrico, con la gabbia toracica bene in vista sugli scarni fianchi, un orecchio su e uno giù, ma con vivi occhi brillanti di un giallo oro, si appoggia al ceppo di pino che funge da banco dei testimoni.


 “Io tengo a precisare che mi difenderò da solo come sono abituato a fare da sempre. Dunque, a riguardo del mio presunto appetito, ma caro avvocato, cara giuria, caro presidente, con la penuria di cibo che c’è è manna se trovo un rosicchio di pane duro che devo anche ammollare in acque torbide. Con il permesso della corte Vi mostrerò che, prendendo ora in prestito un detto dell’uomo, “chi ‘un mangia ‘un caa!”, al mio buco del culo un indisturbato ragno mi ci ha costruito una ragnatela! Signor cancelliere non mi venga vicino per favore!
Creda a quello che dico senza verifica.
Prova a difesa numero uno! Che venga messa agli atti!”.


Il Gufo dice che non occorre mettere niente a niente, non ritiene che vi sia offesa alla corte e dice al Cavallo di sospendere per dieci minuti, che una borra gli sta dando dei fastidi allo stomaco.
Dopo circa un quarto d’ora il Gufo, alleggerito, ritorna al suo posto sul trespolo.
L’accusa riprende visibilmente scossa:


“Accusa numero due e tre. Perché quando l’uomo, parlando con un suo simile, si accorge che sta verificandosi quello del quale stavano discutendo dice: Lupus in fabula? E perché quando si sentono beffati di una richiesta d’aiuto non veritiera gli umani gridano: Al lupo, al lupo!? Eh? Perché, perché?”


“So ‘na sega io perché quelli scemi mi devin sempre mette’ nder mezzo!
Scusate lo sfogo ma quando ci vuole ci vuole!
Mi hanno messo nelle novelle per centinaia d’anni a far la parte dello scemo affamato e bastonato; anche Disney, che lo credevo amico, mi ha usato da clown con Merlino e con Pierino. Ridono del mio nome e del pastorello che perde le pecore, (quella volta però mi sono rifatto) e non mi hanno mai dato una compagna e nemmeno un compagno. Beh! C’è stato quello di Assisi, ma quello era Santo!”


Il Cavallo accetta la difesa accorata e per un attimo guarda con simpatia l’imputato. Poi, scuotendosi la criniera, si infervora, nitrisce, scalpita, diventa roano e urla:


“Maledetto tu sia, condannato tu sia, e non per la fame, la solitudine e le beffe, ma per la tua…..”
La rabbia non gli fa uscire di gola la parola che lo tormenta da quando, nella pausa chiesta dal giudice, ha avuto un colloquio con lo psicologo del bosco, la Centenaria Tartaruga. La giuria si appiattisce nell’erba, il giudice si ripara velocemente in un buco della quercia perché il cancelliere si è rizzato eccitato con uno scatto e l’emozione gli ha fatto partire una scarica di aculei. Fortunatamente non si lamentano vittime o feriti. Il Gufo, ripresosi, chiede all’accusa di continuare e all’Istrice di contenersi.
“ ….PEDOFILIA. Sì, amici giurati, la pedofilia intride questo essere spregevole, me ne avevano dato conferma alcuni documenti trovati nelle scuole e nelle biblioteche da bambini e ne ho avuto la prova dalle dotte parole della dotta dottoressa Tartaruga.
Che cosa sentiva la povera piccina attirata dal bruto nella stanzina della povera vecchina prima di essere concupita? Sentiva un sordo brontolio che proveniva dallo stomaco della bestia cento volte bestia. Quella era la voce del desiderio, quella che sconvolge la mente e spinge al turpe approfitto di un’anima innocente. Non vi era la luna quella sera, quella luna che il meschino Lupo prende altre volte a prestito per le sue nefande imprese, non vi era la luna quella sera, non era neanche sera, ma sola vi era la voglia, la voglia di carne fresca e giovane, la voglia di…, scusate le lacrime,… non oso andare avanti cari giurati, esimio presidente, a Voi l’ultima parola e spero che sia di condanna. Grazie.”


Il Lupo è ammutolito e gli si affloscia l’orecchio rimasto ancora eretto.
Gli occhi di tutti sono rivolti su di lui e lui guarda tutti. Poi, con un ululato tremendo, che vien sentito fino a Torre del lago e fa ritornare indietro due o tre bracconieri che stavano saltando la rete, urla:


“Eh nòeh, eh nòeh! Accidenti a Grimme, Perrò, lo zoppo e a tutte le maiale delle su’ mamme di ‘ve brodi che mi scrissero! Accidenti anco a ‘vella popò di troia della mi’ nonna che si misse a ddà’ la puppa a que’ finocchi di gemelli, accidenti a mi’ fratelli che tirin le slitte, ar vuvvuèffe che mi doverebbe lassà’ stà’ ‘n culo a ‘ monti, e accidenti a tutti voàrtri!
Io ho FAME, come ve lo devo di’? Effe a emme e! FAME E E!!
Eppoi siete anco de’ pèori! E quando dïo pèori lo dïo a spregio! Perché ‘un tirate fori ‘ver proverbio che mi salverebbe ‘r nome ‘nvece di cercà’ ‘velli ‘he mi sputtanano? O rotti ’n culo, ve lo siete scordato che a un lupo ‘un ni riesce chiappà’ passere?
E allora? Lo stombao a mme mi borboglia dalla fame, non dar tira -tira!”


Conclusione.
Dopo una mezza giornata di consiglio il Lupo viene prosciolto da ogni accusa e se ne ritorna libero nel folto del bosco.
Tutta la giuria aveva votato “innocente”, con la sola eccezione della Pecora, ma, meno male, il Cane ce l’aveva fatta a convincerla.
Tutti si allontanano dal bosco o rientrano nella macchia trotterellando, tranne la Pecora che zoppichicchia e il Cane che si guarda una volta avanti e due indietro, una volta all’Aurelia e due volte a Marina, perché?
Ma perché
“In ogni cane si nasconde un lupo!”


Fra curiosità, storia e natura
La pineta di Migliarino fa parte del Parco Naturale di “Migliarino- San Rossore- Massaciuccoli”, istituito il 13 dicembre 1979, dopo più di 20 anni di lotte di politici e naturalisti, con la legge della Regione Toscana n. 61
La sua estensione è di circa 21.000 ettari suddivisi fra la provincia di Pisa e quella di Lucca e coinvolgenti i comuni di Pisa, San Giuliano Terme, Vecchiano, Viareggio e Massarosa.
Senza entrare nei temi che hanno fatto la storia della nascita e della crescita di questo nostro Parco, diciamo subito della sua conformazione e suddivisione.
Vi sono:
la TENUTA BORBONE, o Macchia lucchese, fra Torre del lago e Viareggio, con le Riserve naturali della Lecciona e della Guidicciona,
il LAGO E PADULE DI MASSACIUCCOLI, fra la ferrovia Viareggio-Lucca e la Bonifica del comune di Vecchiano, con le Riserve naturali del Padule settentrionale, del Chiarone, del Chiuso del Lago e Gusciona,
la TENUTA DI MIGLIARINO, tutta la Proprietà Salviati, con le Riserve naturali di Bocca di Serchio, del Fiumaccio, dell’Ugnone, del Bozzone, della Bufalina,
la TENUTA DI SAN ROSSORE, ex tenuta presidenziale, con le Riserve naturali del Palazzetto, del Paduletto, delle Lame di Fuori,
la TENUTA DI TOMBOLO con la Riserva naturale della Cornacchiaia e Ulivo e
la TENUTA DI COLTANO con la Riserva naturale del Bosco degli Allori.
Torniamo ora alla Tenuta di Migliarino che, anche senza la suddivisione del Consorzio del Parco, per i migliarinesi sarebbe sempre stata e rimasta: la Tenuta.
La Tenuta vuol dire Duchi Salviati, pineta, macchia, lavoro, Bocca di Serchio e inoltre funghi, legna, pine, borraccina natalizia.
Non c’è migliarinese che non conosca la storia, sebbene a sommi capi, della famiglia Salviati, la loro provenienza e le storie legate alle loro parentele ed anche le strade di accesso e la conformazione della Tenuta. Per gli altri, quelli non di Migliarino cioè, tracciamo una pianta della Macchia, come viene anche chiamata la Pineta.
Provenendo da Pisa sull’Aurelia ed arrivando al semaforo di Migliarino, subito dopo il ponte sul Serchio, siamo, grosso modo, ad un vertice del grande rettangolo Salviati.
Se voltassimo a sinistra verso la Via del mare, arriveremmo a Bocca di Serchio e da qui, lungo mare, alla foce del fosso della Bufalina, percorrendo così un lato minore prima, e uno maggiore poi, del suddetto rettangolo.
Se invece a Migliarino proseguissimo dritto sull’Aurelia fino a Torre del lago, arriveremmo alla Bufalina e da qui al mare percorrendo gli altri due lati in senso inverso di lunghezza.
Proprio sulla Via dei pini, a circa due chilometri dal semaforo, si trova un ingresso alla Tenuta: il Troncolo.
La strada del Troncolo, chiusa da un cancello, si innesta con una spettacolare strada, la Via Francesca che va perpendicolare al mare, e attraversando uno dei posti più suggestivi e caratteristici della Tenuta e di tutto il Parco: il Fiumaccio.
Chi percorre questa strada nota, a sinistra e a destra, un regolare avvicendarsi di viali paralleli fra loro e perpendicolari a quello che si sta percorrendo. Sono le delimitazioni dei famosi “quadri” o “quadrati” in cui è divisa la macchia dei Salviati, quadrati che servivano al più facile lavoro e spostamento e all’avvicendamento del taglio “raso”, totale cioè, a cui veniva sottoposto il bosco. Dopo aver tagliato ogni tipo di albero di un quadro, si passava al successivo per ritornare al primo dopo un numero di anni tale che le piante erano di nuovo in età adatta. Si diceva che i quadrati fossero cento e quindi si tornava al primo raso dopo un secolo.
Nel terzo quadrato a sinistra della via del Troncolo, in una radura piena di cisto, detta del Cinto, si ergeva maestosa la Grande Quercia. Era un esemplare di farnia di quasi 500 anni, con una circonferenza alla base di circa 6 metri e che ospitava,negli incavi dei rami dove può ristagnare l’acqua, una rara felce epifita: il Polypodium vulgaris. Le piante epifite sono caratteristiche delle foreste equatoriali e quindi nelle nostre zone estremamente rare. Epifita si dice di pianta che non nasce sul suolo, bensì su un’altra pianta superiore, senza che fra i due individui vi siano forme di parassitismo o simbiosi.
Molti anni fa, fra i rami della grande quercia, fu girato lo spot pubblicitario con il compianto Francesco Mulè vestito da poco credibile Tarzan che si batteva il petto bevendo birra e cercando di agguantare la biondina svedese della quale ho dimenticato il nome.

 

p.s .- Perché ho usato il passato per descrivere la Grande Quercia?

I lettori della Voce lo sanno benissimo da tante volte che l'ho scritto... ma è l'ora di metterci una croce (metaforicamente) sopra!

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