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L'articolo di oggi non poteva non far riferimento alla festa del SS. Crocifisso che Pontasserchio si appresta a celebrare, il 28 aprile.Da quella ricorrenza è nata la Fiera del 28, che poi da diversi anni si è trasformata in Agrifiera, pronta ad essere inaugurata il 19 aprile per aprire i battenti sabato 20.La vicenda che viene narrata, con il riferimento al miracolo del SS. Crocifisso, riguarda la diatriba sorta tra parroci per il possesso di una campana alla fine del '700, originata dalla "dismissione" delle due vecchie chiese di Vecchializia. 

. . . non discuto. Voi riformisti fate il vostro cammino .....
. . . l'area di centro. Vero!
Succede quando alla .....
. . . ipotetica, assurda e illogica. L'unica cosa .....
. . . leggo:
Bardi (c. d) 56% e rotti
Marrese ( c. .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Di Gavia
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di Michelle Rose Reardon a cura di Giampiero Mazzini
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di Mollica's
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Di Siciliainprogress
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Non cancellerò
Quella foto tua
Come la gioconda
E la rosa gialla
Sulla pelle mia
Stare insieme a te
In quest anni miei
Insieme a tutto il resto
Tu .....
La Proloco di San Giuliano Terme, attenta alla promozione e alla valorizzazione dell'ambiente indice il concorso "il giardino e il terrazzo più bello" .....
Le Parole di Ieri
"Gallonzeri"

9/11/2015 - 18:00

GALLONZERI
Lett: GALLONZOLO. [Tallo della rapa].
Il gallonzolo in dialetto era diventato gallonzero e la via per andare a Metato, oggi via Giordano Bruno, era via Gallonzeri.
Addirittura si pronunciava “Viagallonzeri “ tutto attaccato, ad indicare un luogo più che una strada, luogo dove probabilmente vi erano numerosi campi di rape.
Verso gli anni ’60 la coltivazione delle rape fu quasi completamente sostituita da quella più remunerativa degli spinaci.
Specialmente nella piana di Metato, forse per questioni microclimatiche, gli spinaci ebbero una coltura ed uno sviluppo intenso e straordinario, accompagnato da un successo di vendita tale da far coniare per loro il termine di “oro verde”.                    
La stazione di Migliarino, attualmente cancellata dall’elenco delle stazioni delle FFSS, in quel tempo visse una stagione di enorme attività: decine di carri merci carichi di spinaci partivano ogni giorno dai suoi binari, tanto da rendere necessario un doppio turno di personale per far fronte alle aumentate richieste. Una quantità di casottini, piccoli locali in muratura, nacquero nel piazzale prospiciente al Serchio per ospitare i rappresentanti di una decina di Società di Spedizioni che si occupavano dello smistamento dei carri nei vari mercati nazionali ed esteri.
Nella stagione di massima raccolta la stazione viveva in maniera veramente frenetica.
In quegli anni il Titolare della Stazione si chiamava Assirelli, che qualcuno ricorderà essendo vissuto qualche anno a Migliarino e il cui figlio, Roberto, frequentò anche la scuola in paese.
A questi subentrò poi mio padre Armando che rimase Titolare fino al 1976, anno del suo pensionamento.
 
Anche nei periodi dell’anno in cui non si spedivano spinaci l’attività della stazione ferroviaria rimaneva molto intensa. Erano gli anni in cui molti passeggeri che utilizzavano il treno per recarsi in città e di questi moltissimi erano studenti che usavano questo mezzo per recarsi a scuola. Provenivano da Migliarino, dai paesi vicini e da tutta la fascia costiera della Versilia.

In quegli anni cominciarono a comparire anche i primi motorini ma non erano affidabili e sicuri come quelli moderni e ancora non adatti per essere utilizzati come sicuro mezzo di trasporto alternativo.
Si usavano solo per brevi spostamenti, molto spesso per gare sconsiderate, ogni tanto si guastavano e sporcavano i vestiti non avendo grandi protezioni alle ruote.
Fino ad allora l’unico motore a scoppio alla portata delle famiglie era stato il Mosquito, un motorino a rullo della fine degli anni cinquanta, poco affidabile e poco efficiente.


La straordinaria ripresa economica ed industriale dell’Italia nei primi anni ’60 favorì la comparsa di una miriade di mezzi a due ruote con cilindrata cinquanta. I nomi erano i più vari e fantasiosi: Cucciolo, Califfo (Rososo), Dik Dik (Vazzoloretto), Motom (mitico, a quattro tempi, rosso, l’Arrighi e il Canarini), Moto Morini (Paperone), Malagutti, Atala 50 “Freccia d’oro”, Superlanda con le prime protezioni per le gambe (Piggiolo), Italjet (Piero del Malloggi) e da un personaggio di cui ricordiamo solo il soprannome Brutik Esageratik (era il momento del grande successo di Diabolik!) che aveva spostato il manubrio tanto in basso che arrivava quasi alla forcella!


I più fortunati possedevano mezzi più potenti come il Giubileo 98, di maggiore cilindrata e prestazioni, o il Moto Guzzi Airone, il Galletto, il Mondial 125, il Mival, di solito ragazzi grandi o adulti che usavano stendere sul sedile di queste moto di maggiori dimensioni una coperta ripiegata, un plaid, che veniva tenuto in sede con dei lacci elastici. Si diceva che rendesse più comoda la seduta e che, in caso di conquista, servisse a stare più comodamente sdraiati “in macchia”!
 
Cominciava in quegli anni anche la grande stagione della Vespa e della Lambretta, veicoli con maggiore cilindrata e con una struttura più elaborata e protettiva per il guidatore, mezzi che porteranno un notevole cambiamento nella capacità di spostamento delle persone e che costituiranno, sempre più con il passare degli anni, la vera alternativa ai mezzi pubblici.
Le auto erano ancora abbastanza rare e costose, ed anche la benzina costava molto rispetto ai redditi delle famiglie, in ripresa ma ancora molto bassi.
  
L’aumento vertiginoso dei mezzi a motore che si ebbe in pochi anni determinò, di conseguenza, anche la comparsa dei primi distributori di carburante e se tutti ricordano quello in piazza, gestito prima solo da “Seondo” (Baglini Secondo, simpatico personaggio famoso per la lunga guerra d’Africa, le incredibili previsioni metereologiche e per il gonfiaggio delle camere d’aria con scoppio anche di ruote gommate di trattori) e in seguito in società col “Microbo” (Stefani Spartaco, da Arena Metato, famoso intrattenitore e fine spirito ironico, inventore della famosa battuta sulla “benzina a schiuma frenata” e del servizio di spionaggio, il “più pagato della val di Serchio”) non tutti ricordano che ne esisteva un altro, sul viale dei dei Pini, gestito dal Pardi Luigi.
 
Per andare a Pisa c’era anche la Lazzi ma era assai più costosa dell’abbonamento ferroviario che proponeva delle riduzioni tariffarie consistenti per studenti e lavoratori. L’abbonamento ferroviario aveva anche l’ulteriore vantaggio di essere “a vista”, di permettere cioè un numero illimitato di corse di andata e ritorno per la tratta in questione. Anche gli operai che lavoravano nelle fabbriche di città o alla Piaggio di Pontedera abitanti nei paesi limitrofi fino a tutta la Versilia, usavano il treno per andare a Pisa. Qui trovavano un’apposita coincidenza per Pontedera (che spesso partiva in ritardo per aspettarli!).
 
Al movimento costante dei passeggeri si univa quello delle merci.
In quegli anni la maggior parte delle merci transitavano ancora per ferrovia. Le strade nazionali non erano ancora in condizione, per estensione e qualità, di sopportare un trasporto massiccio su gomma, ed anche i mezzi rotabili non erano adatti per lunghi viaggi. Il trasporto su rotaia era il mezzo migliore per spedire merci a grande distanza.


Sono anche gli anni dello sviluppo di un piccolo negozio di Nodica, di Eraldo Baglini, che dallo stanzino vicino al Circolo, con il sempre presente e paziente Bucchioni, si stava sviluppando sull’onda del rilancio economico del Paese nella riparazione di moto e auto, sostituzione di pneumatici e successivamente e soprattutto, nella vendita di biciclette.
Queste ultime arrivavano per ferrovia e alla stazione di Migliarino e il Baglini, settimanalmente od anche più spesso, veniva a caricarle, incartate e assottigliate, alla guida di un vecchio e malandato camioncino di colore verde.


Talvolta bisognava rimediare ai guai che capitavano nel trasporto e nella consegna della merce e mio padre spesso chiudeva un occhio sulle spese di deposito, o su altre piccole mancanze.
Il Baglini da parte sua, consapevole di questi favori, trattava sempre mio padre con lo stesso riguardo per le sue necessità e da questo rapporto personale nacque una sincera amicizia durata tutta la vita, che si è esaurita purtroppo con la loro prematura scomparsa.


In quegli anni la Stazione era veramente un ganglio vitale del paese. Ai movimenti di merci e persone che avevano necessità di spostamento, e quindi treni che fermavano e ripartivano, personale di stazione sempre presente anche di notte, operai delle ferrovie e dei vari servizi collegati, si univa la presenza degli avventori che frequentavano il Bar della Stazione chiamato “da Beppino”.


Il bar era piccolo e posizionato infelicemente fra la via Aurelia e la ferrovia tanto che i tavolini esterni si affacciavano direttamente sui binari (dal lato della ferrovia, dove c’era una bella pergola di glicine), o sull’Aurelia. Nonostante questo era piacevole rimanere seduti a parlare ed osservare le auto che passavano per la strada. Il traffico non era molto intenso ed in quegli anni ancora uno spettacolo da osservare. Il semaforo fu installato proprio in quel periodo (fine degli anni ’60), e pose fortunatamente fine ad una serie interminabile di incidenti, anche gravi e talvolta mortali, che videro coinvolti in molti casi semplici pedoni che traversavano la strada per recarsi in paese ai negozi, alla banca o alla posta sull’angolo della piazza Mazzini.


La stazione di Migliarino è stata disabilitata e quindi scomparsa definitivamente dall’elenco delle stazioni ferroviarie italiane nel mese di maggio 2003.


Gli anni ’60 furono veramente degli anni d’oro per il Paese. Per averne un’idea basti pensare che al museo d’arte moderna di New York nella collezione dei migliori oggetti del dopoguerra i prodotti italiani rappresentano circa il 50% degli articoli esposti. Come dice Curzio Maltese l’Italia, persa la guerra, ha vinto il dopoguerra con Germania e Giappone. Nel dopoguerra, fra Torino e Milano sono nate le automobili più imitate al mondo, basti pensare alle utilitarie Fiat e alle fuoriserie Ferrari e Maserati. Il premio Nobel Natta inventa la plastica industriale, quel Moplen del famoso spot di Carosello (e mo.. e mo.. Moplen!). La Olivetti di Ivrea studia, con dieci anni di anticipo sugli Stati Uniti, la possibilità di realizzare un computer da tavolo, anticipando il PC. Anche in campo aeronautico l’Agusta è fra le prime industrie mondiali del settore e gli elettrodomestici italiani, dominano il mercato in Europa. La lira diventa la moneta più stabile del pianeta: è la terza grande stagione della storia italiana, dopo Roma e il Rinascimento.

 

In quegli anni le condizioni di vita della popolazione cambiano in maniera vertiginosa e con lo statuto dei lavoratori cambia finalmente anche la vita degli operai. Già in maniera timida si erano avute alcune leggi a tutela di alcune categorie, come la legge del 1963 emanata dal governo Moro, il “centrosinistra organico” come veniva chiamato, che vietava il licenziamento per le lavoratrici per causa di matrimonio ed apriva loro le porte degli uffici pubblici e delle professioni. Fino ad allora le leggi a tutela dei lavoratori erano in verità molto sporadiche, anche se talvolta significative come la fissazione di limiti minimi di età per il lavoro minorile in cave e miniere e la riduzione della giornata lavorativa a 11 ore per i minori e 12 per le donne!!
        
Fu solo però con lo Statuto dei lavoratori, legge 300 del 20 maggio 1970, che il paese cambia volto. Per la prima volta i lavoratori hanno dei diritti, si impongono delle regole a quello che fino ad allora era lasciato all’assoluta discrezionalità dei datori di lavoro che potevano, nelle loro scelte, agire sì in base a criteri di mercato ma anche secondo criteri personalistici che ostacolavano, in particolar modo, lo sviluppo di una coscienza e crescita sindacale. Un’agilità di comportamento, chiamiamola così, che fu uno degli elementi alla base del cosiddetto boom economico di quel periodo, unito alla disponibilità crescente di mano d’opera a basso costo, molto spesso di provenienza contadina  e dai paesi del meridione d’Italia.


“Dovevi presentarti al lavoro cacato, pisciato e colazionato” diceva il Deri Fiorenzo (famoso muratore e grande amico di tutti), quando faceva l’apprendistato sotto il padrone, rendendo bene l’idea di quali fossero le condizioni di vita e le umiliazioni dei lavoratori appena cinquanta anni or sono.


Questo passaggio, anche culturale, derivava dalla accresciuta rilevanza che il mondo del lavoro aveva acquisito nella vita democratica, superando la struttura corporativistica del regime fascista. Non per niente la Carta costituzionale poneva al suo primo articolo proprio il riferimento al lavoro. Le campagne si andavano spopolando a causa dell’aumento dei costi di produzione e dell’avvento delle macchine e la popolazione di operai superò ben presto e di gran lunga quello dei contadini.
Le lotte sindacali iniziavano a catturare l’attenzione generale. Le tre confederazioni sindacali erano molto politicizzate ma spesso si trovarono a lavorare in sintonia nella lotta a quella “classe padronale” che per anni aveva imposto le proprie regole, il caporalato, il licenziamento senza giusta causa, la negazione dei diritti fondamentali dei cittadini, prima che dei lavoratori.


In questa lotta per l’acquisizione di diritti il sindacato fu sempre in prima linea e fu proprio un sindacalista, Giuseppe Di Vittorio autorevole esponente della CGIL e presidente della FSM (Federazione Sindacale Mondiale) a pronunciarsi apertamente sulla necessità della definizione di una legge che regolasse l’intera materia (1952) e a parlare per primo proprio di Statuto.


Vi furono nel Paese anche duri scontri, manifestazioni di piazza, in alcuni casi episodi di violenza ma alla fine fu un ministro socialista, Giacomo Brodoloni ex sindacalista e Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale, a richiedere l’istituzione di una commissione nazionale per la redazione di una bozza di statuto (Statuto dei diritti dei lavoratori) ed alla cui presidenza fu nominato Gino Giugni, docente universitario e personaggio molto noto e stimato.


Fu una grande conquista che ebbe come conseguenza un notevole miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori, ma più che altro fu il riconoscimento di un loro diritto, quello di essere finalmente considerati cittadini italiani.


Sulla fine degli anni ’60 a Migliarino, per tornare alla nostra storia più minuta, accadde un fenomeno particolare, tanto da meritare qui un accenno, poiché coinvolse moltissime persone e che ebbe anche l’onore dell’interessamento dei nostri Carabinieri: le sedute spiritiche.


Nei primi anni di università una discussione fra due studenti che avevano partecipato ad una seduta spiritica, e di cui parlavano con grande entusiasmo, stimolò la mia curiosità al punto che ne parlai con Forno (Franco del Nardi) ed un pomeriggio al bar dell’angolo, dal Gelli, su un bel tavolino di formica celestina allestimmo la prima seduta spiritica migliarinese: un bicchiere rovesciato, lettere dell’alfabeto tutto intorno, il dito indice di tutti i presenti sul bordo del bicchiere. Dopo pochi istanti di attesa, la richiesta di concentrazione, qualche solita infelice battuta, qualche rimbrotto e scappellotto, nella sorpresa generale ed anche con un briciolo di paura…il bicchiere si mosse.

Qualcuno credo lanciò anche un grido ed alcuni staccarono il dito dal bicchiere ma quello girava, girava, eccome se girava! Era uno “spirito” che si era manifestato, parlava, rispondeva alle domande, diceva anche il proprio nome e a Migliarino scoppiò la manìa.

 

Tutti si misero a fare sedute spiritiche: ai bar, nelle case fra amici, ai Circoli. E se ne parlava, ognuno raccontando la propria esperienza e chi aveva avuto la fortuna di incontrare: un militare, ricordo, morto sul monte di Avane, un affogato in mare con tanto di nome e cognome. Noi ragazzotti facevamo le sedute in uno stanzino alla stazione, uno di quei piccoli edifici occupati dalle società di spedizione fioriti durante la grande stagione degli spinaci ed ora abbandonato. Era il luogo dove andavamo a studiare, tutti insieme, anche materie diverse solo con lo scopo di farci compagnia. In uno di quegli stanzini, poi trasferito nel locale del bar di Beppino (Pippo aveva aperto un negozio di ottica in provincia di Udine e la Luisina aveva col marito un ristorante a Vada), fu allestito uno studio fotografico dove si sviluppavano e stampavano foto in bianco e nero.

 

A farmi compagnia Moni Paris, ferroviere, ora giovane pensionato con incarichi dirigenziali all’Uisp e Pasqualetti Mario, all’epoca aiuto macchinista ed attualmente architetto al Comune di Pisa, uno dei pochi esempi di lavoratore che riesce a laurearsi (con lode) pur continuando nella propria attività lavorativa. Col Parabolone che arrivava portando per merenda una confezione intera di frutta sciroppata, il Corrieri Valeriano che veniva ogni tanto a suonare la chitarra (piuttosto scadente ma forse qualche gene super è passato al figlio Carlo enfant prodige e avviato ad una luminosissima carriera come virtuoso di chitarra classica), il Ghiaccio (Sergio dell’Antonelli) fumatore accanitissimo dalle molte ed imprevedibili ritrose, il Di Sacco e il Banotto ed altri, facevamo le nostre sedute e cercavamo di capire la natura di tale movimento.

 

Indubbiamente il bicchiere ruotava per mezzo di una forza involontaria, nessuno di noi, intenzionalmente lo muoveva come dicevano i detrattori con in testa Paolo del Marradini che si lanciava in discussioni, molto spesso anche animate, nella stanza sopra il Teatro del Popolo, dove in quegli anni era posizionato il biliardo. La maggior parte delle persone che praticava le sedute in buona fede credeva veramente ad una manifestazione extrasensoriale, ad un fenomeno paranormale. O per lo meno non sapeva esattamente a cosa attribuire quello strano movimento, sicuramente involontario, del bicchiere.

 

Che proprio di veri, autentici “spiriti” non si trattasse il dubbio era venuto subito, alla prima richiesta che da che mondo è mondo si fa al primo spirito che ci capita di incontrare: i numeri da giocare al lotto. E visto che questi numeri non venivano dati o non uscivano qualche dubbio era sorto.


Un ulteriore colpo alla credibilità del fenomeno si ebbe nell’aprile del ’70 al lancio dell’Apollo 13. Il lancio del vettore avvenne l’11 aprile del 1970 e la missione aveva lo scopo di raggiungere la luna mediante un mezzo secondario, un modulo lunare denominato Aquarius. Il 13 di aprile, appena due giorni dopo il lancio, durante l’orbita di avvicinamento alla luna un esplosione a bordo distrusse il serbatoio principale dell’ossigeno danneggiando anche quello secondario.


Houston, we have a problem!” ,“Houston, abbiamo un problema” è la famosa frase pronunciata dal comandante al centro spaziale di Houston nel Texas nel segnalare il guasto. Il mondo intero seguì per televisione i drammatici sviluppi della vicenda, trepidando per gli astronauti in pericolo di vita. Dopo molte incertezze fu deciso di modificare la traiettoria e di tentare un rientro sulla Terra mediante il modulo lunare che non era però adatto a contenere tre persone, non aveva filtri e ossigeno sufficiente, non aveva un motore adatto, non era perfettamente protetto dall’immenso calore che si sviluppa al contatto della navicella con l’atmosfera. Fu un momento di grande tensione che coinvolse, tramite le dirette che si susseguivano sul piccolo schermo, tutti i popoli della Terra: era arrivata l’Era Televisiva!


Il 17 aprile finalmente arrivò la buona notizia dell’avvenuto ammaraggio con la salvezza dei tre astronauti. Dall’episodio nel 1995 è stato tratto un film con Tom Hanks diretto da Ron Howard (Richard Cunningham, il rosso lentigginoso di Happy Days, serie televisiva in onda dal ‘74 all’80).

 

Gli “spiriti” in quei tragici momenti furono ripetutamente interrogati sulla sorte dei tre astronauti ma nessuno fu in grado di dare una risposta certa, sicura. Si scoprì così, facendo delle prove, che i partecipanti alla seduta erano in grado di condizionare il movimento del bicchiere, non volontariamente, ma solo pensando ad una risposta invece che ad un’altra. Nel caso dell’Apollo, nessuno prevaleva perché le forze non erano univoche. Forse, non volendo, il proprio dito trasmetteva al vetro un piccolo impulso che, sommato a quello degli altri, faceva muovere il bicchiere in un senso invece che in un altro.


Fu una soddisfacente spiegazione logica ma anche una mezza delusione perché avere in mano il potere dell’occulto dava una certa eccitazione, era almeno una curiosa novità.
Le sedute andarono avanti ancora per un po’ ma poi, vuoi per stanchezza, vuoi per consiglio amichevole dell’Autorità, furono definitivamente abbandonate.
 
Aneddoto
Accanto alla stazione c’era un piccolo pezzo di terra, fra l’Aurelia e la ferrovia, dove mio nonno Oreste faceva un po’ d’orto. Un anno, in primavera, mise a dimora una bella serie di piantine di pomodoro che ben presto fecero i primi pomodorini verdi. Qualche mattina dopo mio nonno venne chiamato in tutta fretta a vedere perché, incredibilmente, tutti i pomodori erano maturati! Con stupore e incredulità Oreste vide che ogni piantina mostrava il suo piccolo e rotondo pomodorino rosso!
Francesco Di Fatta, capostazione a Migliarino e noto burlone, con la complicità di Mario d’Anchise (del Luperini) durante la notte avevano verniciato con lo spray rosso tutti i pomodorini verdi di Oreste.

 

 
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