La Pro Loco Ripafratta “Salviamo La Rocca” organizza per sabato 18 maggio una conferenza dal titolo “Crocevia di cammini - Il confine pisano-lucchese tra itinerari e cammini, beni storici, turismo sostenibile e volontariato culturale”. L’evento si terrà a Villa Roncioni, nel borgo di Pugnano, comune di San Giuliano Terme, alle ore 10
28 DICEMBRE 1943: VENGONO FUCILATI I FRATELLI CERVI.
DEDICATO A CHI HA IMBRATTATO LARGO COLLODI
Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Agostino, Ovidio e Ettore. Sette fratelli e due Sorelle, Diomira e Rita: i figli di Genoveffa Cocconi e Alcide Cervi.
Una famiglia numerosa che nel 1934 decise di abbandonare la conduzione in mezzadria per affittare un podere in zona Campi Rossi, nel comune di Gattatico, in provincia di Reggio Emilia. Un vero e proprio salto di qualità per una famiglia contadina del tempo: la possibilità di fuggire dalla povertà e dallo sfruttamento.
I Cervi sanno leggere, cosa non scontata per l’epoca, e della lettura sanno trarre non soltanto piacere ma anche profitto: la piccola biblioteca casalinga si arricchisce di continuo di libri e opuscoli sull’agricoltura. Il podere, inizialmente poco florido, cresce continuamente grazie all’introduzione di metodi di avanguardia nella conduzione dei campi e delle stalle. Una crescita testimoniata dai riconoscimenti ottenuti da Alcide e che trova il suo simbolo nel trattore Balilla che la famiglia acquista nel 1939 e che verrà sostituito, due anni dopo, da un più potente e prezioso Landini.
La biblioteca si arricchisce però anche di altri libri: libri in cui si parla di emancipazione sociale, della necessità di essere liberi e pensare fuori dagli schemi. Padroni del proprio lavoro, padroni delle proprie idee. Aldo, il terzogenito, è il primo a maturare una precisa coscienza antifascista ed abbracciare, lui che era stato per lungo tempo un attivista dell’Azione cattolica locale, l’ideologia comunista. Ben presto casa Cervi diventa un laboratorio di antifascismo applicato, attirandosi le inevitabili attenzioni delle autorità.
Allo scoppio della Seconda guerra mondiale il podere dei Campi Rossi diventa subito uno dei più importanti centri di dissenso armato al regime fascista della zona. Con i sette figli maschi, Alcide costituisce la cosiddetta “Banda Cervi”: una formazione partigiana a cui si aggregheranno diversi prigionieri fuggiti dai campi di prigionia italiani.
Il 25 novembre 1943 un plotone di militi della Guardia Nazionale Repubblicana, su indicazioni di alcuni delatori locali, circonda casa Cervi. I fascisti e gli assediati si scambiano colpi di fucile e mitraglia: la reazione dei partigiani è però breve, perché gli assalitori incendiano la stalla mettendo a repentaglio la vita delle 5 donne e dei 10 bambini presenti nella casa. I Cervi, per evitare il peggio, si arrendono: con loro Quarto Camurri, Dante Castellucci (Facio), il russo Anatolij Tarassov, l’irlandese Samuel Boone Conley e i sudafricani John David Bastiranse e John Peter de Freitas.
Gli stranieri e Dante Castellucci (che per straniero riuscì a farsi passare) furono trasferiti al carcere di Parma: i Cervi e Camurri vennero invece spediti nel carcere politico di Reggio Emilia. Ribelli sediziosi e comunisti: Quarto Camurri addirittura disertore della Milizia Volontaria !
Il loro destino è scritto il 27 dicembre, quando i partigiani uccidono il segretario comunale di Bagnolo in Piano Davide Onfiani: il giorno seguente, alle ore 6.30, nel poligono di tiro di Reggio Emilia, lontano da sguardi indiscreti, i fratelli Cervi e Camurri saranno fucilati per rappresaglia. Un atto incredibile di cui gli stessi fascisti capirono subito la portata, tanto da procedere ad una frettolosa tumulazione delle salme. Da Brescia, dove si improvvisano le sedi istituzionali della Repubblica di Salò, giunge una sola domanda, scarabocchiata sul verbale dell’esecuzione: “sono 7 fratelli?”.
In carcere, all’età di 68 anni, Alcide soffre i rigori della prigionia: a dargli pensiero è soprattutto l’assenza di notizie dai figli, che non ha più visto tornare al carcere dopo quel 28 dicembre. Sarà il bombardamento alleato di Reggio Emilia, il 9 gennaio 1944, a dargli la possibilità di fuga. Dalla prigione colpita dalle bombe, Alcide ripara a casa. Durante il lungo periodo della convalescenza la famiglia gli nasconderà l’accaduto per non aggravare le sue condizioni.
Alla notizia, Alcide torna al lavoro: non può abbandonare la casa dove ha cresciuto i suoi sette figli. Non lo farà neanche quando i fascisti, nell’ottobre 1944, la incendieranno di nuovo e quando, di li a poco, Genoveffa lo lascerà ancora più solo. Il 25 ottobre 1945, quando finalmente poté essere celebrato il funerale dei suoi figli, pronuncerà la frase che ne segnerà il resto dell’esistenza, trasformando nel volto iconico delle generazioni antifasciste successive: “dopo un raccolto ne viene un altro”. Ai suoi funerali, il 27 marzo 1970, parteciperanno 200.000 persone.
La mattina di Natale qualcuno ha disegnato delle svastiche in Largo Collodi, a San Giuliano Terme: dedico a lui queste righe, con la speranza che possa leggerlo e riflettere almeno un momento sulle persone che sacrificarono il loro bene più prezioso, la vita stessa, per garantire a lui quella libertà che ha così malamente sprecato.
Il sindaco Sergio Di Maio