none_o

La Pro Loco Ripafratta “Salviamo La Rocca” organizza per sabato 18 maggio una conferenza dal titolo “Crocevia di cammini - Il confine pisano-lucchese tra itinerari e cammini, beni storici, turismo sostenibile e volontariato culturale”. L’evento si terrà a Villa Roncioni, nel borgo di Pugnano, comune di San Giuliano Terme, alle ore 10

. . . il sig Marino vuole metter becco dove da anonimo .....
Correva voce, al Circolo, che Bruno della Baldinacca .....
Il tuo forse lo ha guadagnato ultimamente ed il mio .....
Cara manuela
io non so con esattezza i pro e i contro .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
A cura di Erminio Fonzo
none_a
da Museo del Bosco
none_a
Di Gavia
none_a
di Michelle Rose Reardon a cura di Giampiero Mazzini
none_a
Pisa
none_a
Marina di Pisa, 17 maggio
none_a
Pontedera, 17 maggio
none_a
Cascina, 15 e 16 maggio
none_a
Villa di Corliano, 30 giugno
none_a
Credevo di riuscirci mare
Ma non ti potei solcare
Ma è vero giuro è vero
Pur cambiando la vela e mura
Se gira il vento dritta
Al cuore
Per amarti .....
La Proloco di San Giuliano Terme, attenta alla promozione e alla valorizzazione dell'ambiente indice il concorso "il giardino e il terrazzo più bello" .....
none_o
Ponte sul Serchio

7/4/2016 - 22:55



Rieccoci a leggere le scorribande di Mario Bitossi nel suo “Gli uomini e il mondo” e rieccoci a leggere di Migliarino, del suo cibo e dei suoi personaggi in una maniera dolce, nostalgica, un poco demodé, ma piena di fascino tanto da aver toccato l’animo gentile del lettore dal burbero nomignolo.  


[…] Ponte sul Serchio di Migliarino Pisano, sosta di rustica poesia, come è sano e bello vagare su l’acqua cerulea e tranquilla del fiume, aspettando che l’ora del desinare scocchi sul quadrante immaginario dell'appetito, regolato da una cuoca sagace, regina linda e polpacciuta in un mondo di pentole, di padelle, di casseruole, di tegami, di teglie, con un mestolo per scettro e un trono che non si vede ma s’indovina, ampio per contenerla tutta senza indiscreti sconfinamenti. Questa frusciante acqua, questa seta liquida scorrente sulle ghiaiette rotonde, vien giù chiara e fresca dai monti di Lucchesia ove sembra che i poeti fioriscono come i rosolacci nel grano, e ridice tutti gli stornelli, gli strambotti, i rispetti, le ottave villerecce raccolte man mano che passava tra i campi, rasentava le vie, le case, i borghi:
“Quando t’amavo io t’amava il sole,
ti amavano le stelle, i pesci, il mare ».
Qui a Ponte sul Serchio il fiume sente già la salsedine marina, come l’aria è satura degli effluvi balsamici delle pinete di S. Rossore e del Gombo tra le due foci gemelle e le grasse trote di Castelnuovo della Garfagnana han ceduto le pasture alle anguille, ai muggini, ai lucci, ai pesciolini argentei ed anonimi onde fa si ricca mattanza la  rete a bilancia sempre pronta a soddisfare l’umana  ghiottoneria. D’altronde l’agricoltura celebra in  questa plaga felice uno dei suoi trionfi più splendidi; messi opime, frutteti a dovizia, ortaggi saporiti e bestiame grasso di Albavola, di Malaventre, di Migliarino, di Metato, di Nodica. Fra l’appetito e la ricchezza dei mezzi per soddisfarlo, anche il più spirituale dei poeti sente una certa inclinazione verso la scuola di Ragueneau. 
Andiamo dunque a vedere quel che ha saputo combinare di buono la nostra cuoca, nell’ospitale cucina all’ombra dei platani dalle chiome lussureggianti: la tovaglia candida è già distesa come una bandiera di pace, Maria (si chiama cosi?) sorride per concedere agli ospiti un aperitivo della sua grazia ingenua non ancora quadrilustre.
Sincere sono le sue labbra, sinceri i suoi occhi, il colorito delle guance, i capelli, e sincero è il vino nel litro dall’ampia gola. La sue pelle è bruna e dorata come la crosta del pane fragrante. 
Non so del suo cuore, me lo immagino tenero come quel pollastro che per noi ha sacrificato la  nobile e canterina esistenza ed ora intravediamo  sul fornello tra il fervore dell’olio caldo, circondato da una corte odorosa di patatine. È  inutile dire che giacche, cravatte, cappelli sono  volati lontano da un pezzo e che prudenza consiglia il cauto allentamento di uno o più fori della  cintola dei pantaloni: il rimboccar le maniche e   lo sbottonare il collo della camicia fan parte di   una voluttà che cerca di riunire tutti i coefficienti per essere completa in ogni  particolare.
E, accolto da esclamazioni di giubilo, ecco arrivare trionfante, pittoresco, allettante, il capace vassoio colmo di spaghetti con le vongole. 
La vita e bella: il prossimo, che mi hanno insegnato ad amar come me stesso, cerca di straziarcela con le sue ipocrisie, con le sue convenienze  mendaci, con le barbare usanze degli uomini civili,  le conferenze, la radio, le motociclette, i filodrammatici, i concerti dei fanciulli prodigio, i premi letterari, i romanzi degli scrittori moderni, le novelle delle scrittrici fra i venti e i settanta anni,   il fosgene, l’iprite, la musica del jazz, l’abolizione dei monumenti vespasiani e le fiere di beneficenza, ma davanti ad un vassoio di spaghetti con le vongole ci si sente disposti al perdono e all’oblio, alla pace e alla gioia. Il “sor” Ugo, prima amico e poi trattore, fa capolino per bearsi del nostro godimento. Hanno messe tante lapidi per ricordare che qui Shelley ha scritto il Prometeo liberato, là Francesco Domenico Guerrazzi  L’Assedio di Firenze  e la Predica del Venerdì Santo: propongo di inaugurare una lapide sulla unica casa di  Ponte sul Serchio, unica ma ospitalissima, con l’epigrafe:  “Qui vive e vivrà per lunghi anni  la sorridente figura di Ugo Marchetti  il poeta degli spaghetti con le vongole  il mago dell’ anguilla fritta”. Faremo, quel giorno, una bella cerimonia alla presenza del consultore comunale, del capostazione, del vicebrigadiere dei Reali Carabinieri, e ne parleremo a lungo sui giornali perché non è detto che se il “sor” Ugo e modesto come la violetta, il merito debba sempre rimanere sconosciuto.
E la sera, dopo una generosa distribuzione di vino bòno e poncini alla vera cimosa, balleremo sull’aia le vecchie polche e i venerandi valzer dei nostri  nonni, che la sapevan lunga e non si facevano portare davanti al Pretore quando ballavano colle loro ballerine strizzandole un po’ più dell’onesto.
La seduta, davanti alla tavola imbandita, è lunga: a tavola non s’invecchia, anzi, più si va  avanti e più ci si sente giovani, disposti all’allegria e alla confidenza. Malgrado lo stellone del sole, che s’indovina feroce sulle strade bianche a perdita d’occhio, si gode un fresco delizioso, ché gli alberi ci offrono la loro ombra amichevole. Così le portate si susseguono e i litri colmi spariscono  per incanto: dopo il cacio pecorino con le pere, il conteggio dei gotti asciugati si fa più difficile, anche perché gli occhi si socchiudono per l’ imminente  pisolino del post-prandium. Dolce è il passaggio tra la veglia e il sonno e i cari sogni della felicità  si affollano, scorrono sulle bobine di un cinematografo invisibile e misterioso, fausti presagi di tesori rinvenuti entro una vecchia ciabatta, di numeri   che verranno immancabilmente estratti alla ruota  di Firenze, di fanciulle appena conosciute che sorridono per chiederci amore, di lepri grosse come  capretti, in posa come davanti all’obbiettivo del   fotografo, a dieci metri dalle bocca del nostro fucile rimasto silenzioso per tutta la mattina. Le immagini si sovrappongono: allunghi una mano per ghermire la bella figliola e stringi in pugno la zampetta della lepre che fugge, lasciandoti come preda il suo arto miracolosamente staccatosi da lei mentre una voce sconosciuta risuona e ti consola:
“Non disperarti; donna, lepre e zampetto, sette, settantatré, settantasette”.
Stasera, indorati dal sole occiduo cha sta per tuffarsi dietro la pineta, torneremo passo passo verso casa. […]


Qui termina la “giornata di caccia” che l’autore aveva detto a sua moglie di voler fare in campagna e,  alla domanda se avesse preso qualcosa risponde ”che vuoi, l’asciuttore, la polvere, ma ho tre numeri garantiti” e alla successiva se avesse almeno mangiato qualcosa “sì, ho fatto uno spuntino…”

+  INSERISCI IL TUO COMMENTO
Nome:

Minimo 3 - Massimo 50 caratteri
EMail:

Minimo 0 - Massimo 50 caratteri
Titolo:

Minimo 3 - Massimo 50 caratteri
Testo:

Minimo 5 - Massimo 10000 caratteri

11/4/2016 - 11:47

AUTORE:
roberto

Ma per caso è il ristorante da Ugo?Oggi Cinese?