L'analisi del nuovo articolo di Franco Gabbani si sposta questa volta nel mondo di un associazionismo antesignano, le confraternite, necessarie per togliere dall'isolamento e dal mutismo le popolazioni delle campagne, anche se basate esclusivamente sui pricipi della religione.
E d'altra parte, le confraternite, sia pur "laiche", erano sottoposte alla guida del parroco.Sono state comunque i primi strumenti non solo di carità per i più bisognosi, ma soprattutto le prime esperienze di protezione sociale verso contadini ed operai.
Dopo la frega primaverile che faceva ammassare le tinche in quantità enormi in calme pozze d'acqua, questi bellissimi pesci verdi, deposte migliaia di uova color rosso mattone ai piedi delle cannelle, immerse nel padule o fra le profonde erbe dove potevano stare non viste mimetizzate dal loro color marobbio e dall'immobilità che le caratterizzava, si sparpagliavano nuovamente nelle acque del lago.
La voglia di riunirsi in branco non era però solo un fatto legato alla riproduzione, dove giovava essere in molti per potere essere visibili in quell'acqua torbida prediletta da quei pesci. Trovare in un ammasso di fango, foglie di canne, parapotte ed erbe palustri, un proprio simile e per di più dell'altro sesso, era molto difficile se si aggiungeva anche la miopia di quei pescioni che per alimentarsi non avevano bisogno di vista acuta perchè bastava loro la sensibilità delle labbra per sapere se quello che toccavano era commestibile o meno.
In tutto il restante periodo dell'anno, fino ai mesi più freddi che facevano affondare e affangare le tinche nella calda fanghiglia del fondo, i pesci stavano comunque in compagnia ed era rarissimo prendere solo un esemplare, sia che si pescasse col verme di terra o con palline di polenta in una diurna statica e paziente pesca di canna, oppure con la bilancia in faticose tirate di braccia nelle fredde e nebbiose notti primaverili.
In marzo cominciava il raduno che si protraeva fino ad aprile, quando i grossi maschi finivano di spargere il loro latte sui grappoli delle uova appena deposte. Finito il ciclo dell'amore, la fame prendeva il sopravvento per la spossatezza del parto o della fecondazione ed allora si scatenava la caccia a chiocciole, vermi, larve di insetti acquatici, ed eravamo arrivati a maggio.
Se la tinca era la regina delle acque, il luccio non poteva che essere il suo re.
D'indole opposta, gusti opposti, abitudini opposte, era solo la stessa acqua che teneva insieme quei due magnifici pesci.
Lei era miope ma lui aveva la vista acutissima e quindi l'acqua che lo ospitava doveva essere limpida per individuare la preda da lontano.
Lei lenta e pacifica e lui tutta una massa di velocità e scatto tanto da non poter visualizzare l'attimo della sua fugata su qualche persichetto, scarbatretta o crognoletto.
Anche la voracità che faceva ingoiare al luccio interi grossi topi d'acqua, si contrapponeva allo spilucchìo della tinca su esche che duravano delle ore a fare tentennare debolmente il sugherino della lenza prima di essere ingollate e neanche fino in fondo alla gola, ma solo su di un lato della bocca.
Papille olfattive e gustative lei e denti aguzzi, fini, tanti e ricurvi all'indietro lui, perché non doveva scivolare via neanche la gallinella malaccorta che si attardava a scavare un vermetto ostinato.
L'estate portava un colore scuro alle calme acque per la macerazione delle erbe, i pesci erano più numerosi ma non molto visibili e quindi bisognava aspettare settembre, quando il pulviscolo presente in sospensione si adagiava sul fondo e si rischiarava finalmente lo strato superiore dell'acqua, dove si affollavano ora milioni di pesciolini di mare che venivano a depositare le uova.
I crognoli di settembre erano buoni, troppo buoni, e bastava aprire bocca e correre più forte che si potesse. Queste volate a fior d'acqua erano visibilissime anche da lontano e la filaiola della rete tirata su velocemente poteva servire da traguardo della corsa dell'ultimo pasto e un crognolo d'acciaio lanciato da una flessibile canna reagiva mordendo più dolorosamente di quanto avrebbe fatto lui stesso.
Da qui gli accostamenti dei periodi migliori per la pesca, ma distorti da paesani che vivevano sul fiume e che conoscevano le abitudini dei pesci altrettanto bene dei vincoli di parentela che legavano gli abitanti dei paesi rivieraschi. Questo arrocco di parole era una simpatica maniera di giocare su un modo di dire che scandiva l'eterno ciclo naturale degli spostamenti dei pesci.
Chi lo sapeva capiva e chi non capiva non importava che lo sapesse.