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L'articolo di oggi non poteva non far riferimento alla festa del SS. Crocifisso che Pontasserchio si appresta a celebrare, il 28 aprile.Da quella ricorrenza è nata la Fiera del 28, che poi da diversi anni si è trasformata in Agrifiera, pronta ad essere inaugurata il 19 aprile per aprire i battenti sabato 20.La vicenda che viene narrata, con il riferimento al miracolo del SS. Crocifisso, riguarda la diatriba sorta tra parroci per il possesso di una campana alla fine del '700, originata dalla "dismissione" delle due vecchie chiese di Vecchializia. 

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Lei non è "abbastanzina informato" si informi chi .....
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per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Colori u n altra rosa
Una altra primavera
Per ringraziarti amore
Compagna di una vita
Un fiore dal Cielo

Aspetto ogni sera
I l tuo ritorno a casa
Per .....
Oggi è venuto a mancare all’affetto di tutti coloro che lo conoscevano Renato Moncini, disegnatore della Nasa , pittore e artista per passione. .....
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COSE CHE FURONO

14/12/2017 - 22:44


Passa il tempo e con esso passano gli uomini e le cose. Tutto finisce all’infuori dell’eternità, si suol dire. Infatti, se riandiamo col pensiero nel tempo, vediamo che il mondo continuamente cambia usi, costumi, modi di pensare e mezzi di lavoro. Vecchi mestieri scompaiono per dar luogo a nuove attività, a nuovi strumenti di lavoro, a modi diversi di agire, di pensare, e col mondo, cambia la vita stessa dell'uomo. Oggetti usati da secoli sono passati ai musei; mestieri di artigianato, un tempo fiorenti e fruttuosi, hanno ceduto a un progresso indiscriminato che ha fatto man bassa di tutto ciò che sapeva di vecchio. Tanti lavori casalinghi, orgoglio e perizia delle nostre donne, sono scomparsi. Il fuso non brilla più nelle mani della vecchina con la rocca al lato; l’annaspatoio non gira, il cannellaro non frulla, il guindalo non lo conosce più nessuno. L'orditoio, attaccato alla parete della casa, dove le donne andavano e venivano per un'intera giornata, tirandosi dietro la posta dei fili, col rullio di venti rocchetti, è stato abbattuto. Il telaio, che per anni fu il vanto delle nostre donne, le quali per settimane e mesi batterono le casse, calcarono i pedali, tirarono la spola e ne ricavarono rotoli di tela, chinea, fustagno e arigatino, ornamento della casa e corredo delle spose, è andato anche lui a finire nella catasta della legna. È  scomparso il bancaccio dinanzi al focolare dove ci si raddrizzava la schiena dopo una giornata di fatica, la conca in cui bolliva il bucato con la cenere, il panchetto che serviva a sciacquare i panni e a sedere la sera a veglia, la cassapanca, piena di tovaglie e dove si sedeva a tavola. E più si pensa e più s’affacciano alla mente dolci ricordi: il paiolo che rovesciava sulla tavola il tombolo di polenta gialla come una luna piena; la caldaia che per carnevale bolliva i tortelli per sfamare dodici o quindici bocche e il maiale appeso alla trave e squartato. Che dire poi dei vari artigiani che venivano a prestare la loro opera a domicilio o si ricorreva alla loro bottega? Passava l'ombrellaio e aggiustava gli ombrelli; il magnano che rattoppava i paioli o rimetteva insieme i cocci dei pentoli e tegami di terracotta con una speciale trivella con rotella a frullino. Al suo arrivo, da ragazzi, si cantava la seguente canzoncina:
Ecco il magnano che vien da lontano,
che assetta paioli e padelle;
strizza l 'occhio alle più belle;
e ne gira dal monte al piano.
Donne belle, chi vuole il magnano?
Anche lo stacciaio passava urlando: Stacciaio, donne, e portava sulle spalle un mucchio di stacci e crivelli; vendeva i nuovi e aggiustava quelli vecchi e rotti. Un ricordo particolare e, direi quasi di pietà, va allo spazzacamino. Sentiamo la sua commovente canzone:
Ho freddo, ho fame, son poverino,
giro pel mondo, spazzacamino.
In riva al lago dove son nato
ho la mia mamma abbandonato
per guadagnarmi qualche quattrin.
Le mani ha nere, la faccia scura;
ai fanciulletti faccio paura.
Ma per conforto delle mie pene
ho anch'io una mamma che mi vuol bene.
Spazzacamino, spazzacamin!
Porto la fune sopra la spalla
e sotto il braccio tengo una balla.
Vado vagando; é il mia destino.
Spazzacamino, spazzacamin!
Milano è grande, ma il mio paesello
dove son nato mi par più bello.
E sempre e sempre vado col cuore
in riva al nastro Lago Maggiore.
Era un essere misterioso, che veniva da lontano, con una fune a tracolla, una balla alle spalle, la faccia nera dove risaltava il biancore dei demi; le vesti inoltre  tutte caligine, s'infilava dentro la gola del camino per una fetta di polenta e un po' di paglia per giaciglio. Di solito portava con se un ragazzo per farlo entrare nelle gole strette e nei camini dove non stava il corpo di un uomo grande. Ma anche molti artigiani con fissa dimora sono scomparsi. Tolti dalla circolazione le bestie dagli zoccoli, è venuto meno il lavoro dei maniscalchi. Gli zoccoli ferrati non battono più per le strade; allo scalpitio delle bestie è sottentrato il rullo dei motori. Anche il maniscalco veniva a domicilio con i ferri del mestiere nella sporta. Ogni contadino teneva un anello fissato al muro presso la stalla, dove veniva legata la bestia per la moraglia. La gamba da ferrare veniva legata da una fune e tre o quattro uomini la reggevano alzata. L'esperto piallava l'unghia della bestia con uno speciale scalpello e ci inchiodava il ferro. In caso di una bestia molesta si portava presso l‘officina e si metteva al travaglio, legata con funi sotto la pancia, fermata a quattro pali. È scomparsa pure l’officina del fabbro con la sua mezza porta e mezza finestra dove era sistemata la morsa. in mezzo alla stanza vi era il ceppo con l’incudine dove batteva il ferro arroventato nella fucina al fuoco della carbonella in cui soffiava un grosso mantice azionato a forza di braccia. Inoltre vi era la mola per arrotare i ferri da taglio. Questa, a mezzo di una fune era collegata ad una grande ruota scanalata, la quale, azionata da due uomini, faceva girare la prima. Anche il cenciaio passava a raccogliere i cenci da buttare e li pagava con aghi, spille, pettini, spilloni e pettinine, molto usati dalle donne del tempo per fissare sulla testa il ciuffo dei capelli. Passava l'ovaio col canestro a comprare le uova, ed anch'esso dava in cambio refe in baruffi, come usava in quel tempo, bottoni, triccioli o ferri per maglieria. Molto abile e interessante era il caratore, che costruiva carri agricoli, barrocci, aratri, erpici, ecc. Era un vero scultore e architetto. Doveva ricavare un timone da una quercia, un aratro da una ceppa, le ruote da un'acacia. Interessante il sellaio che fabbricava finimenti per cavalli, sella e basto per asino e mulo; il corbellaio costruiva corbelli e corbelloni usati in agricoltura, ceste, canestri e culle di vimini, con i quali rivestiva anche damigiane e piccoli contenitori di vetro; le cosiddette fiasche. Veniva a domicilio lo scrannaio a fare scranne o a rivestirle di paglietta, con la quale le fiascaie rivestivano i fiaschi. Il cannicciaio intrecciava cannicci con canne e biodolo. I segantini, con apposita sega a quattro mani segavano le saliche in tavole. Il concino, con i pettini, o ferri uncinati, conciava la canapa della quale è scomparso anche il seme. Una miriade, insomma, di modesti, ma esperti e eccellenti artigiani, meglio si direbbe di artisti, dimenticati e scomparsi, dei quali ora si cercano i resti delle opere per esporle nei musei e attribuirne, ma troppo tardi, il meritato valore. Comunque è meglio tardi che mai, dice un proverbio. È un mondo che scompare e chi sa che non dobbiamo ricercarlo con mesto rimpianto. L'uomo è cosi nato male che apprezza il valore delle cose dopo che le ha perdute. Anche le cose son come la salute ei quattrini; per sapere quanto valgono bisogna perderli.

Sarà forse questa la causa per cui si torna con tanta premura alla ricerca di cose vecchie? Ebbene, se ciò potesse servire a moderare le nostre sfrenate e mai sazie aspirazioni e a renderci la vita alquanto più serena e meno avara, facciamolo pure.

Esempi, fatti e oggetti da studiare non ne mancano. L'augurio è che non manchi nemmeno la buona volontà.

 

Gino Dell'Aringa
 
 
 
 
 

 
 

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