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L'articolo di oggi non poteva non far riferimento alla festa del SS. Crocifisso che Pontasserchio si appresta a celebrare, il 28 aprile.Da quella ricorrenza è nata la Fiera del 28, che poi da diversi anni si è trasformata in Agrifiera, pronta ad essere inaugurata il 19 aprile per aprire i battenti sabato 20.La vicenda che viene narrata, con il riferimento al miracolo del SS. Crocifisso, riguarda la diatriba sorta tra parroci per il possesso di una campana alla fine del '700, originata dalla "dismissione" delle due vecchie chiese di Vecchializia. 

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per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Colori u n altra rosa
Una altra primavera
Per ringraziarti amore
Compagna di una vita
Un fiore dal Cielo

Aspetto ogni sera
I l tuo ritorno a casa
Per .....
Oggi è venuto a mancare all’affetto di tutti coloro che lo conoscevano Renato Moncini, disegnatore della Nasa , pittore e artista per passione. .....
Le Parole di Ieri
Tela

21/2/2018 - 16:33


TELA
Lett: nc.
Dalle nostre parti la “tela” non era solo, come dice il vocabolario, un [lavoro di fili tessuti insieme, specie di lino o canapa] ma anche quella eccezionale cacciata collettiva alle folaghe che veniva organizzata periodicamente sul lago di Massaciuccoli.
Era una caccia crudele e spettacolare. Veniva programmata nel periodo di massimo afflusso degli uccelli quando sullo specchio del lago se ne trovavano a migliaia, nell’ordine anche di 5-6 mila esemplari. Veniva messo un avviso sulla data prescelta e tantissimi cacciatori della zona vi partecipavano, sia professionisti che altri cacciatori per passione che arrivavano numerosi anche dai paesi vicini. La caccia avveniva direttamente sullo specchio d’acqua spostandosi per mezzo di un barchino o barchetto (piccola barca a fondo piatto, adatto alla navigazione in acque basse e mossa con un solo remo, o remetto).
Non tutti possedevano un’imbarcazione adatta allo scopo ma era possibile noleggiarla direttamente sul lago, spesso munita di vogatore che ne era anche il proprietario.
Chi non voleva spendere (oltre il barchino c’era anche il costo della partecipazione alla tela, dato che il lago era gestito da un Consorzio che ne curava la manutenzione), si accontentava di prendere posto ai margini del lago, sulla riva, e di sparare alle folaghe che sfuggivano alla caccia sull’acqua. Spesso partecipavano alla caccia anche signori locali, talvolta con ospiti di riguardo.
La cacciata aveva inizio con la concentrazione dei barchini nelle quattro postazioni stabilite alla periferia del lago: Chalet, Piaggetta, Radicata, Massaciuccoli.
Uno scoppio di mortaretto o un colpo di cannone dava inizio alla caccia e le barche si muovevano rapidamente per raggiungere, convergendo, il centro del lago. Era una gara per i vogatori poiché i più forti e più abili riuscivano ad arrivare per primi vicino alle prede ed i cacciatori che portavano avevano più tempo, e quindi più colpi, a disposizione. Gli uccelli, disturbati dalle barche che si avvicinavano, dapprima si riunivano tutti al centro del lago e poi, quando queste erano molto vicine, si alzavano tutti in volo contemporaneamente come un enorme fungo e venivano colpiti dalle raffiche dei cacciatori. I primi che arrivavano avevano addirittura la possibilità di sparare alle folaghe ancora in acqua prima che si alzassero. Sparavano come si diceva, sulle porche degli uccelli, cioè su nastri di uccelli ravvicinati, simili ad una porca (la porca è la terra che rimane rilevata fra solco e solco nei campi). Naturalmente, anche se le barche distavano tra loro una cinquantina di metri, era difficile distinguere la proprietà delle prede ed anche in questo caso la potenza e velocità del vogatore (ed anche la grossezza e la prepotenza del cacciatore) erano fondamentali per il recupero degli uccelli. Questi ultimi, per la loro natura poco diffidente, non si allontanavano dall’acqua ma andavano raccogliendosi a piccoli gruppi in altre parti del lago, dove venivano nuovamente raggiunti dai barchini più veloci e fatti oggetto di nuove fucilate. Si calcola che almeno 3-4 mila uccelli venissero contemporaneamente abbattuti con questa poco nobile caccia.
Le poche folaghe sopravvissute finalmente lasciavano il lago, ma prima dovevano traversare la schiera dei cacciatori presenti sulle rive, talvolta tre o quattro file di fucili, che infliggevano ancora perdite a questi poco prudenti animali. Spesso, alla fine della tela, si contavano anche dei feriti, in parte dovuti ai frequenti litigi per il possesso delle prede, in parte a qualche pallino sfuggito al controllo del cacciatore. Di straordinario effetto viene riferita la caduta dei pallini di piombo delle cartucce sullo specchio del lago, come una forte pioggia, a testimonianza della enorme quantità di piombo che veniva scaricato su questi poveri animali.
Le prede poi venivano infilate in un filo di ferro fatto passare nelle narici e le pigge degli uccelli neri ornavano, come trofei, le biciclette o le auto dei cacciatori che tornavano alle loro case.
Alla fine della tela i cacciatori si ritrovavano a commentare l’avvenimento, lodando i più bravi o fortunati, a contare gli eventuali feriti, a discutere delle zuffe e a trattare l’ingaggio dei migliori rematori per la cacciata successiva.
 
La tela è stata praticata fino agli anni 60, poi è stata interrotta sia perché proibita (siamo negli anni in cui c’è la nascita di un sentimento di maggior rispetto per la natura) sia anche per le mutate condizioni ambientali che hanno determinato un cambiamento delle abitudini migratorie delle folaghe che non hanno più trovato nel lago il loro nutrimento principale, rappresentato da piccole erbe palustri. Inquinamento da diserbanti, spesso derivati dal dilavaggio dei campi coltivati circostanti ma anche utilizzati impropriamente per tenere puliti i calatini, pesticidi ed eutrofizzazione hanno modificato l’ambiente naturale del lago allontanando la maggior parte di questi animali migratori che ora preferiscono altre rotte, ci auguriamo per loro più sicure del lago di Massaciuccoli.


Il lago, negli anni Trenta, è stato utilizzato anche come luogo di addestramento per le squadriglie di idrovolanti di Italo Balbo, che su quello specchio d’acqua provavano gli arrivi e le partenze di gruppo.
Serviranno per la grande impresa italiana della traversata dell’Atlantico che vedrà alla partenza dall’aeroporto di Roma, alle ore 4,38 del 1° luglio del 1933 ben venticinque velivoli Savoia-Marchetti, giusto vanto della nostra industria aeronautica in quegli anni all’avanguardia sia come mezzi che come piloti. Sotto la guida di Italo Balbo attraverseranno Olanda, Irlanda, Islanda ed affronteranno l’Atlantico puntando sul Canada ed infine su Chicago. Ritorneranno passando da Lisbona ed il loro trionfo in campo internazionale inorgoglirà Mussolini per il successo ottenuto dal Paese, ma lo renderà geloso di un personaggio che col tempo rischierà di oscurare lo stesso Duce nel cuore degli italiani.
Il New York Times scriverà “Era tutto un popolo a volare sopra le nostre teste”.
Italo Balbo morirà a Tobruk, dieci anni dopo, in un episodio oscuro, in circostanze ancora non del tutto chiarite, colpito e abbattuto dalla nostra stessa contraerea per un errore di identificazione.


E’ dagli anni ‘20 che il lago è utilizzato come idroscalo, praticamente dalla nascita degli idrovolanti, “le barche con le ali” che si vedono volteggiare nei cieli della cittadina turistica portando frotte di bagnanti in giri turistici a pagamento. Ed è una fortuna perché questo utilizzo commerciale farà allontanare il pericolo di un prosciugamento del lago, più volte proposto per incrementare l’agricoltura della zona.


Nel 1927 vengono costruiti due piccoli hangar e nel ’31 l’idroscalo viene trasformato in base militare ospitando squadriglie di idrovolanti, fra cui due giganteschi aerei a 12 motori Dornier Do.X, enormi, che impressionano gli abitanti e i visitatori. Era il più grande e potente idrovolante del mondo, costruito da una ditta tedesca sul lago di Costanza con i 12 motori fissati sopra l’ala. Con l’arrivo del primo Do.X  il 31 agosto del 1931 la Regia Aeronautica prendeva possesso del lago facendone una base per i suoi reparti. Nel ’32 se ne aggiunse un secondo ma la loro utilità fu piuttosto scarsa, limitandosi a voli di propaganda lungo la penisola ed esperimenti di ricognizione strategica a lungo raggio con risultati modesti. I costi di gestione erano molto alti e i due apparecchi fondamentalmente furono acquistati (dietro forti pressioni di Balbo), unicamente per ragioni di prestigio. Nel ’37 i furono smantellati per recuperarne le parti metalliche.
La loro presenza nel lago fu comunque un motivo di sviluppo economico per la zona di Torre del Lago poiché significò l’arrivo di numeroso personale al seguito, che fu alloggiato in alcuni edifici esistenti sul lago, e di turisti incuriositi da quei grandi apparecchi. La località fu anche usata, fino alla fine della guerra, come luogo di ritrovo e di avvicendamento del personale proveniente dal fronte.
Su una parete di un ristorante sul lago c’è ancora un dipinto naif dove si vedono squadriglie di idrovolanti levarsi in volo.
    
FOTO: Il Dronier Do.X sul lago di Massaciuccoli
 
 

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22/2/2018 - 18:54

AUTORE:
Storico

IL VOLO DI BALBO
E’ il 14 agosto del 1933 quando Italo Balbo, straordinario aviatore, torna dalla trionfale impresa che con 24 idrovolanti Savoia-Marchetti S.55 e 116 uomini di equipaggio lo ha portato da Orbetello a Chicago-New York-Roma in 13 tappe e 20mila chilometri per 97 ore di volo. Il re Vittorio Emanuele III lo accoglie e lo saluta come colui che ha segnato l’inizio di una nuova era per l’aviazione.

E’ un periodo d’oro per l’Areonautica Italiana che può vantare i migliori piloti e i migliori aerei del mondo. Gli “atlantici” sfilano come gli antichi guerrieri romani sotto l’Arco di Costantino e Balbo riceve da Mussolini il berretto di Maresciallo dell’Aria. Tuttavia la su carriera di aviatore si può considerare conclusa con questa straordinaria impresa poiché Mussolini, geloso della sua enorme popolarità, lo allontana dall’Italia nominandolo governatore della Libia.

Il 28 giugno 1940 Italo Balbo rimase ucciso mentre era di ritorno da un volo di ricognizione a Tobruk, quando il suo aereo (un S.M.79) venne abbattuto da un fuoco amico, da un cannone antiaereo italiano. Il giorno dopo il bollettino delle Forze Armate diramò il seguente bollettino:


« Il giorno 28, volando sul cielo di Tobruk, durante un'azione di bombardamento nemica, l'apparecchio pilotato da Italo Balbo è precipitato in fiamme. Italo Balbo e i componenti dell'equipaggio sono periti. Le bandiere delle Forze Armate d'Italia s'inchinano in segno di omaggio e di alto onore alla memoria di Italo Balbo, volontario alpino della guerra mondiale, Quadrumviro della Rivoluzione, trasvolatore dell'Oceano, Maresciallo dell'Aria, caduto al posto di combattimento »

Il giorno successivo, un aereo inglese paracadutò sul campo italiano un biglietto di cordoglio a nome dell'esercito inglese:

« Le forze britanniche esprimono il loro sincero compianto per la morte del Maresciallo dell'Aria Italo Balbo, un grande condottiero e un valoroso aviatore che conoscevo personalmente e che il fato pose in campo avversario...Air Officer-Commander-in-Chief British Royal Air Force...Sir Arthur Laymore »

Il governo di Roma sostenne che l'incidente fosse un caso di fuoco amico, ma la vedova di Balbo, Emanuela Florio, ritenne che si trattò di un assassinio intenzionale ordinato da Mussolini per l’enorme popolarità che il personaggio aveva in Italia, rischiando di offuscare lo stesso Duce.