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In questo nuovo articolo di Franco Gabbani le vicende storiche, incentrate tra la fine del '700 e l'inizio dell'800, travalicano i confini della Valdiserchio, come già accaduto in diverse occasioni, e d'Italia, espandendosi in Europa.E' la storia di un giovane costretto a seguire la carriera militare per problemi e ripicche amorose, con l'inevitabile nefasta conclusione, raccontata utilizzando le stesse parole dell'ussero, che ci danno uno spaccato di un'esistenza iniziata negli agi della famiglia gentilizia e terminata sui campi di battaglia 

Comune di Vecchiano
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Massimiliano Angori sindaco
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La ricerca è attiva in tutta Italia
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Migliarino Nodica Pisa e Vecchiano.
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. . . dalla parte della Palestina ? Perché il governo .....
Com’è noto il generoso 110% e i suoi fratelli, .....
Bravo Bruno da o di ovunque tu sia, sono con te. .....
. . . prima che siano passati almeno 30/ 40 anni chiederà .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Vivrò con la faccia che tu amavi
Coi miei giochi sempre nuovi
Col difetto di sognare
Lo so che ho imparato a dirti amore
Quando ormai ci era di andare
Dove .....
Se i limiti di velocità servono a tutelare la sicurezza, non capisco perchè le auto della Polizia Municipale si debbano nascondere per poi rilevare .....
la Pagina di Michele
"La vita"

19/5/2018 - 19:04

      
Dopo ogni nebbia, in quella bassa val di Serchio, pioveva.


            Anche quella sera il tempo si era messo a brutto. Grandi nuvoloni neri si ammassarono all’orizzonte, il buio scese lesto e l’aria gonfia di umidità non faceva sperare nulla di buono. Tanto fece che la notte piovve.


            Concetta, come ogni mattina, si avvicinò ai vetri della finestra. Pioveva ancora. A quell’ora la via dei Ponti era molto transitata. Prima passavano gli operai diretti a Pisa, poi quelli della zona industriale di Migliarino e per ultime le operaie destinate alla raccolta giornaliera delle verdure, prevalentemente spinaci. Quando pioveva, come quella mattina, Concetta appoggiava la fronte al vetro per osservare attentamente quest’ultimo passaggio. Le spinaciaie, così si potevano anche chiamare, erano ingoffate sotto enormi mantelli impermeabili, tanto da sfigurarsi. Le biciclette sembravano spinte da un ammasso di forza informe. Silenziose, quasi sottomesse a un volere misterioso, sparivano come fagocitate dallo scuro orizzonte.  Di loro aveva compassione.


            Lei non sapeva cosa fosse quella vita, ma la sua sensibilità le faceva avvertire i disagi di quelle persone che riteneva condannate, come avessero la stessa sua malattia. Si, da più di quindici anni una brutta poliartrite e un’asma cronica l’avevano costretta in casa. Non era mai riuscita a rassegnarsi e in quelle giornate sentiva il peso della sua condizione. I vetri piangevano e tutto fuori era morto. Le pareva di specchiarsi in se stessa. Aveva voglia di passeggiare, di vedere gente, di amore, di dimostrare il suo valore, non ne aveva avuto mai l’occasione. A trentacinque anni era già in quelle condizioni. Mentre i suoi pensieri si slanciavano lontano il suo corpo era rimasto immobile sulla solita poltrona, ad aspettare Adele. L’unica amica che l’aveva capita e che riusciva a consolarla.    

 
            Adele non aveva un orario preciso. Spesso l’attesa era lunga e c’era anche la possibilità che non venisse. Quei momenti erano i peggiori. Riaffiorava il suo atteggiamento di rifiuto nei confronti della realtà, in cui era costretta, che si affiancava a sdegno e rabbia perché l’aveva sempre vissuta come un’ingiustizia. Navigava in quella burrasca di emozioni da quando aveva preso coscienza di ciò che le era accaduto e tutto, in qualche modo, aveva compromesso anche il suo intelletto. Era convinta che non ci fosse una attenta ripartizione del bene e del male e che non fosse necessario comportarsi bene per meritare il bene. E’ strano pensava, ci viene data la vita e poi essa giorno dopo giorno ti uccide portandoti dolori, rinunce, tragedie, tormenti e disgrazie di ogni genere. Perché?


            Non volle insistere. Si portò allora davanti allo specchio e si ravviò i capelli. Un operazione che richiedeva pochissimo tempo perché non sopportava di vedersi. La pelle olivastra, le borse grigie sotto gli occhi e le evidenti rughe sulla fronte avevano trasformato la Concetta di qualche anno prima, di quando il futuro, per lei, era attesa e speranza. Di quando aveva desideri e scopi, insomma di quando era felice. Poi la malattia, improvvisa e devastante. Da subito capì che non si sarebbe potuto fare molto. Negli anni aveva perso quella che lei chiamava la mia spinta perché quell’evento l’aveva allontanata sempre più dagli altri, dalla vita!
            In quel momento sentì suonare il campanello della porta! 
           
Michele Baglini         

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19/5/2018 - 19:37

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Bravo ma un po' ridondante.